Abbiamo chiesto ad Arianna Pasini di rispondere ad alcune domande sul suo primo album, “Verso una casa”, uscito il 15 marzo per Brutture Moderne, Crinale Lab e Urlaub Dischi e presentato il 17 marzo all’Arci Bellezza di Milano.
Abbiamo parlato di cos’è casa e di ricerca, di ciò che immobilizza e di ciò che muove. Ne abbiamo concluso che “Verso una casa” è un disco accogliente, luogo sonoro in cui perdersi e trovarsi, frutto di cura e sperimentazione.
Intervista ad Arianna Pasini in occasione dell’uscita del suo primo album “Verso una casa”
Partiamo dall’inizio, dal titolo di questo lavoro, “Verso una casa”. Quello di casa è un concetto carico di molti significati e interpretabile in molti modi. Qual è, se ce n’è una in particolare, l’idea di casa che sta dietro a questo album e a cui personalmente tendi?
Inizialmente la ricerca era finalizzata al ritrovamento di una casa fisica, luogo non identificato che potesse accogliermi e accudirmi. Dopo diversi trasferimenti e traslochi per ragioni di studio e d’amore, ho capito che il nido andava cercato altrove. Così la casa da spazio fisico è diventato per me luogo intimo, in grado di offrire protezione, con pareti di cristallo che consentono di guardar fuori senza giudizio esterno, permettendo di crescere, sperimentare, sbagliare. Il viaggio è ancora lungo, ma credo di averne gettato le basi.
Tutto il disco, ma in particolare alcuni brani, penso a “Gravità”, “Burrone“, “Spettatrice”, sembrano descrivere una condizione di immobilismo, di fatica ad aderire alla realtà e di smarrimento in una dimensione immateriale, di puro pensiero. Riconosci effettivamente questi aspetti e credi possano essere definiti tratti generazionali?
Credo tu abbia colto perfettamente le mie sensazioni in quei momenti specifici; non potrei esprimere in miglior modo il concetto che sta dietro ai tre brani citati. Il senso di spaesamento e immobilismo possono essere indubbiamente tratti comuni alla mia generazione, ma trovo anche siano ciclici e trasversali e se ne possa percepire traccia in ogni epoca.
Se dovessi associare un’immagine a questo disco, quale sarebbe e perché?
Fatico a pensare ad una sola immagine. Se dovessi paragonarlo a un movimento artistico direi informale, o action painting, ma a tratti anche arte povera. Qualche giorno fa, poco prima del concerto di presentazione, mi è stato chiesto di associare un artista all’album e non avendo molto tempo a disposizione ho risposto, senza esitare, Franz Kline. A distanza di giorni trovo sia una risposta abbastanza calzante. Kline, esponente informale americano, famoso per le sue grandi tele bianche imbrattate di segni neri, era sì, un action painter ma, a differenza di altri che si affidavano completamente al caso, agiva in modo controllato; preparava infatti bozzetti prima di concepire il lavoro finale. Le canzoni di Verso una casa sono nate di getto, testo e musica insieme, come frutto di un’autogenesi, ma ho in seguito voluto elaborarle al dettaglio in fase di registrazione. Trovo quindi punti in comune tra queste modalità di lavoro. Un altro artista che assocerei è Germano Sartelli, nato e vissuto nella mia zona. Ricercatore outsider, spesso inquadrabile nell’ambito povero per utilizzo di materiali di scarto, era solito ricreare opere e installazioni scultoree sempre gradevoli e delicate nonostante avessero come protagonisti ferri, legni, ragnatele, o cicche di sigaretta. Trovo quindi un parallelismo con questo disco per scelta di strumenti inusuali, antichi e spesso precari.
La condizione di incertezza che sembra al centro di molti brani è sostanziata da testi diretti e sinceri ma anche dalle ritmiche, in grado di creare una connessione molto intima con l’ascoltatore. Vuoi parlarci del lavoro di produzione di questo album e degli elementi che l’hanno guidato?
Come detto nella risposta precedente, la spontaneità e l’utilizzo di strumentazione perlopiù anni sessanta, talvolta non intonata e precisa, sono gli elementi chiave di questo disco. Insieme a Francesco Giampaoli e Marco Giudici, produttori, che hanno colto perfettamente il senso del disco, avevamo come obiettivo quello di una resa sincera, diretta, onesta dei brani. Siamo riusciti a restituire la fragilità e precarietà di alcuni testi e canzoni attraverso la registrazione in presa diretta nella stessa stanza, non veicolati da metronomo, mantenendo sporcature e imperfezioni, e questo credo abbia conferito più intimità al tutto.
In che modo senti che gli anni da strumentista ti abbiano portato a questo album?
Credo non sarei mai uscita dal guscio senza le esperienze da strumentista. Ho imparato tanto suonando con e per altri, in studio e dal vivo. Ogni esperienza, anche negativa, mi ha aiutata a cogliere qualcosa di buono e ampliare il mio gusto e ricerca musicale. Oggi, nonostante la pubblicazione di questo album, mi ritengo più una musicista che una cantautrice o cantante. Non ho mai amato stare davanti, ho sempre preferito il concetto di gruppo, di insieme, dove nessuno prevarica sugli altri. Per questo ho forse esitato nell’emergere come artista solista.
Un’ultima domanda. Qual è il brano che secondo te esprime in modo più emblematico il concept di Verso una casa?
Domanda difficilissima! Credo Verso una casa sia un grande contenitore, dove ogni brano è una stanza in cui addentrarsi. Giganti, ad esempio potrebbe essere una misteriosa camera chiusa a chiave in cima ad una vecchia villa abbandonata e scricchiolante, mentre Abbracci è un umile salotto dopo una festa di compleanno con strascichi di festoni, coriandoli e grida. Insomma, questo disco è luogo aperto dove l’ascoltatore, libero di vagare senza sosta, se vuole può trovare il proprio angolo.