Frah Quintale è tornato ed è “Contento”

In questi giorni un po’ caotici, in cui sembra difficile poter essere davvero sereni e spensierati, Frah Quintale è tornato con indosso un sorriso ed un cappellino blu ed ha deciso di essere Contento.

Contento è infatti il titolo del brano che il cantante bresciano, all’anagrafe Francesco Servidei, ha rilasciato ieri, giovedì 5 marzo, pubblicato per Undamento.

Frah Quintale si lascia andare e ci racconta di essere uscito da un periodo non proprio sereno. Come quando ti svegli una mattina e lasci tutto alle spalle, non ci pensi più e decidi semplicemente di essere Contento. Dopotutto il paradiso è qui ed ora, e non ha senso restare sdraiati su un pavimento freddo a fissare il soffitto.

Puoi ascoltare Contento, il nuovo brano di Frah Quintale, direttamente da qui:

Testo:

Non ricordo dove sono stato tutto questo tempo
Mi sono svegliato con due dita di polvere addosso
Casa mia più che casa mia è un bombardamento
Ma se mi impegno sono pure bravo a rimettere a posto

La luce in fondo al tunnel
Io ricomincio a correre
Scrollo di dosso la polvere
Ho un po’ di cose da risolvere

Se non assaggi il fondo
Non ti fai un giro all’inferno
Come puoi dire che bello
Che il paradiso è già questo

Oggi io sono contento
Oggi io sono contento
Ho tutto quello che ho chiesto
Oggi io sono contento

Non ricordo dove sono stato tutto questo tempo
Ma ora che ho rimesso i piedi a terra giuro non mi sposto
Ho perso il sorriso, non ricordo dove l’ho messo
Forse è stato sempre fermo nello stesso posto

La luce in fondo al tunnel
Io ricomincio a correre
E vado sempre più forte
Ho un po’ di cose da risolvere

Io non ci resto sul fondo
Lascio i miei diavoli all’inferno
Per poter dire che bello
Il paradiso è già questo

Perché oggi sono contento
Oggi io sono contento
Ho tutto quello che ho chiesto
Oggi io sono contento

Quando sono caduto a terra m’ha fatto male
Sopra ad ogni ferita aperta verso del sale
Guarderò i tagli scomparire, cicatrizzare
Ritornerò a starci dentro
Perché ogni cosa ha il suo tempo

Ma oggi io sono contento
Oggi io sono contento
È tutto quello che ho chiesto
Oggi io sono contento

Frah Quintale è anche nel nostro articolo dedicato agli artisti che devi assolutamente conoscere.

PER ELISABETTA. Il mondo della musica piange la voce e il basso dei Sick Tamburo.

Poche, rotte, sommesse parole, per salutare una giovane e immensa donna.
Elisabetta Imelio (Pordenone, 1975 – Aviano 2020), bassista e fondatrice del gruppo “Prozac+” prima (1995 insieme a Gian Maria Accusani ed Eva Poles)  e “Sick Tamburo” poi (2007 insieme a Gian Maria Accusani), ha dedicato tutta la sua vita alla musica.
In realtà Elisabetta ha dedicato tutta la sua vita alla vita.

Elisabetta Imelio disegnata da Fausto Collarino per il video “La fine della chemio”, Sick Tamburo+10.

Lei era il viso mosso che si intravedeva nel video di “Acida” (1998) che ha portato i Prozac+ all’apice del successo e un’intera generazione a riconoscersi in quella rappresentazione “scossa, agitata e un po’ nervosa”. Lei era il volto femminile nascosto sotto la maschera dei Sick Tamburo. Eppure era inconfondibile: con il suo tocco, la sua musica, la sua presenza, faceva tremare la voce e le gambe anche a Gian Maria, suo compagno d’avventura fin dall’inizio, ogni volta che parlava di lei e che condividevano un palco.
Lei era il luminosissimo sorriso che brillava sotto il passamontagna e che incantava tutti. Come incantavano le sue mani che agili si muovevano sulle corde del basso o le sue gambe lunghissime che solcavano, danzando, i tanti palchi dei Prozac o dei Sick.
Il suo corpo, la sua persona, la sua voce, la sua musica erano essenza, scenografia, coreografia e teatro di una performance umana e artistica dove lei e gli altri componenti (Gian Maria soprattutto) si intrecciavano, diventando un tutt’uno di musica e di amore. La musica prendeva letteralmente corpo, in un corpo che ha sprigionato vita ed energia anche durante la malattia.
Elisabetta si ammala di cancro nel 2015. Da quel momento la musica si fa abbraccio e lotta, andando a stringere il sodalizio tra Paura e Amore che ha dato il titolo all’ultimo album (2019). 

Intervista a Gian Maria Accusani dei Sick Tamburo a cura di Maria Chiara Gianolla e Radiosonar.net (Ifest – Independent Festival Roma, 2019).

Nel 2017 Gian Maria scrive per lei “La fine della chemio” e nel 2018 il brano viene ripubblicato in una versione che coinvolge vari artisti (Jovanotti, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manuel Agnelli, Samuel, Elisa, Meg, Lo Stato Sociale, Pierpaolo Capovilla, Prozac+).  Parte dei proventi vengono devoluti all’associazione “Donne in rosa” (che sostiene le donne operate al seno) e in particolare al gruppo di canottaggio “Drago rosa Burida”: associazione sportiva di riabilitazione per donne operate di carcinoma mammario, ma soprattutto un gruppo di amiche che non ha mai lasciato sola Elisabetta, neanche durante i concerti. Le ultime date a Pordenone, infatti, hanno visto la partecipazione attiva delle donne e dei loro familiari che, rigorosamente in versione Sick con passamontagna, sono salite sul palco a cantare insieme alla band.

Il gruppo di canottaggio “Drago rosa Burida” sul palco insime ai Sick Tamburo, durante il brano “Anche Tim Burton la sceglirà” (Pordenone, 23/08/2019).

Così  Elisabetta ha salutato il suo pubblico, a Pordenone, lo scorso 23 agosto, prendendo e regalando amore: “l’amore, l’amore, non c’è niente senza l’amore”.

La scorsa notte Elisabetta è morta. Era il 29 febbraio, un giorno strano che sul calendario quasi non esiste, che sembra non arrivare mai. La verità è che nessuno si aspettava che sarebbe mai arrivato questo giorno.
E invece è arrivato.
Ma la festeggeremo lo stesso “La fine della chemio” e festeggeremo ogni giorno, ogni “minuto per sempre”, perché “finché il sole si alza, non si muore, non si muore. E il tuo sorriso ha vinto”.

La Rappresentante Di Lista si racconta: tra curiosità e utopia

La Rappresentante Di Lista è una band che nasce nel 2011 dall’incontro fra la cantante Veronica Lucchesi e il chitarrista Dario Mangiaracina. La loro musica è una sintesi tra cantautorato e sonorità elettroniche: sono tra le band più interessanti nel panorama musicale contemporaneo.

Il brano che apre Go Go Diva, il nuovo album

Forse li seguite da sempre, forse dal concertone del Primo Maggio 2019 a Roma oppure li avete notati a Sanremo 2020 a fianco di Rancore. Ma oggi La Rappresentante Di Lista si racconta, tra curiosità e utopia. Così noi di Indie Life abbiamo intervistato Dario Mangiaracina.

Ciao Dario! Iniziamo subito: la vostra musica è evocativa, cosa volete rappresentare?

Ciao! Dunque, vorremmo proporre una visione alternativa della realtà. Negli ultimi anni si avvertiva la necessità di creare musica “figlia del nostro tempo”: noi vorremo renderla “madre del futuro”, visionaria, generatrice di cambiamento, quasi di utopia.

Allora come nasce una vostra canzone?

Abbiamo diverse modalità: a volte Veronica di ritorno dalla sua corsa mattutina propone una melodia, un racconto; oppure io immagino parole e armonia direttamente a partire dalla chitarra. Poi si procede con il labor limae e con la produzione di Roberto Cammarata, Fabio Gargiulo e il lavoro in sala con il resto della band.

Una curiosità: ci spieghi il rapporto fra te e Veronica?

È un rapporto conflittuale, come è giusto che sia. Abbiamo un gusto affine, spesso abbiamo una visione simile delle cose. C’è fiducia reciproca: siamo complementari.

Da che genere di musica vi lasciate influenzare?  

In genere non mettiamo limiti ai nostri ascolti: ci lasciamo influenzare da ciò che ci sorprende. Due nomi? Margherita Zanin, che aprirà alcune date del nostro tour e ci ha colpiti per la semplicità e la potenza; poi Tha Supreme, per “incomprensibilità” e capacità di spaziare.

Di recente vi abbiamo visti a Sanremo, com’è stato l’impatto col palco dell’Ariston?

In una parola? Emozionante. Però ho rassicurato i miei colleghi della band, casomai ci dovessimo tornare assieme (ride, ndr), che si tratta di un palco, proprio come se fosse un palco in piazza o in un club di Milano: si tratta di andare lì e suonare.

Che aspirazioni avete?

Resistere, che in Italia non è facile per un progetto musicale. Per noi il successo è qualcosa che ci succede, dunque che abbiamo compiuto.

Il 7 Marzo parte il tour de La Rappresentante Di Lista! Tre aggettivi per definire un vostro live?

Performativo, sudato, sorprendente.

Per concludere, una curiosità inedita su go go diva?

Ti parlo della copertina: non doveva essere questa, ma una in cui Veronica reggeva una bandiera con scritto go go diva. Poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare Claudia Pajewski che ci ha scattato la foto che vedete.

Perfetto. Grazie Dario, a presto!

Grazie a voi!

“LRDL 2020” – I CONCERTI

07/03 Livorno – The Cage

14/03 Roma – Monk *SOLD OUT

15/03 Roma – Monk – NUOVA DATA

19/03 Milano – Alcatraz

20/03 Padova – Hall

26/03 Bologna – Locomotiv – NUOVA DATA

27/03 Bologna – Locomotiv *SOLD OUT

28/03 Bari – New Demodé

02/04 Parigi – La Boule Noire

05/04 Londra – The Garage

10/04 Brescia – Latteria Molloy

17/04 Torino – Hiroshima Mon Amour

24/04 Senigallia (AN) – Mamamia

25/04 Firenze – Flog

Così La Rappresentante Di Lista si racconta, tra curiosità e utopia.

Fonte: Ufficio stampa e promozione Big Time

IL RIFUGIO

Continuano le ricerche in tutto l’appennino del criminale Carlo Brugnoni. Le forze dell’ordine stanno setacciando tutta la zona, ma il mal tempo riduce la visibilità e così Carlo Brugnoni è ancora libero e si nasconde tra i boschi.”

La televisione accesa di una famiglia, annunciava la fuga di Carlo davanti a dei volti distratti che si gustavano un piatto di pasta. Ignari del fatto che, proprio il Carlo di cui parlava la televisione, stava passando vicino la loro abitazione per raggiungere il parco nazionale e nascondersi nel grande bosco dietro il loro paese.

<< Dannazione devo sbrigami o quegli sbirri maledetti mi prenderanno. Questa gamba non mi dà tregua!>>. Carlo sta scappando da quasi un giorno, è ferito ad una gamba. Un carabiniere l’ha colpito al polpaccio destro e lui ora zoppica visibilmente. Il suo complice è morto subito dopo, colpito in pieno volto dallo stesso carabiniere che ha centrato la sua gamba. Ora è solo in fuga tra i boschi e non sa dove andare. Ricorda che il suo complice gli ha parlato di un rifugio lontano verso nord, spera di trovarlo ma non sa esattamente dove si trova. Con lui ha solo una vecchia mappa con una croce disegnata sopra. Deve seguirla, non ha alternative.

Nel frattempo tutte le forze dell’ordine emanano un suo identikit e sorvolano la zona con i loro elicotteri. Ma Carlo è molto furbo, conosce bene il suo mestiere e si muove di notte. Di giorno rimane nascosto, di solito nelle grotte, sempre con le orecchie tese e il cuore a mille.

La gamba gli fa un male tremendo e decide che deve fare qualcosa. Vuole estrarre da solo il proiettile e curare la ferita, lo ha visto una volta in un film. Seduto ai piedi di un albero si appresta ad effettuare l’operazione. Tira su il pantalone e cerca di vedere attraverso il foro. È proprio al centro del polpaccio, prende il suo coltello ed inizia a scavare nella carne viva. Il dolore sale come un fulmine in testa e gli trafigge il cervello. Deve resistere, se riuscirà a fare quello che ha in mente, zoppicherà ancora ma senza ulteriore dolore. Dopo alcuni dolorosi minuti, la punta metallica del pugnale tocca il proiettile della Beretta in dotazione alle forze dell’ordine. Allarga il buco, la sofferenza di Carlo è tremenda. Il sangue scorre a terra ma per il momento non è un problema. Carlo penserà anche a quello, ma dopo aver finito quel lavoro. Riesce in qualche modo ad estrarre il proiettile, mentre morde un pezzo di legno e chiude gli occhi. << È quasi finita vecchio mio>> si ripete nella mente, mentre prepara l’occorrente per chiudere il buco. Dal suo fucile prende un proiettile e lo apre versando la polvere da sparo all’interno del buco nel polpaccio. Si rimette in bocca il pezzo di legno e con un accendino dà fuoco alla polvere. Una grande fiammata, poi il buco si richiude e Carlo soffoca nel legno un urlo disumano che avrebbero sentito per molti chilometri. Si rialza a fatica e si appoggia qualche secondo al grande albero, sopra di lui sente gli elicotteri che sorvolano l’area. Deve sbrigarsi. Si guarda a terra e vede il sangue che ha perso durante l’operazione. Deve coprirlo in qualche modo, i cani dei poliziotti potrebbero fiutarlo e scoprire le sue tracce. Si ricorda della bomboletta nel suo zaino, lui usa solo accendini Zippo e porta sempre con sé una bomboletta per ricaricarli. La prende e svuota una parte del liquido a terra, proprio sopra il suo sangue. L’odore è forte proprio come pensava e coprirà sicuramente quello del sangue. Copre completamente tutta la scia e si avvia per la sua strada. Pochi metri più avanti trova una grotta, decide di entrare sperando di non incontrare un orso che l’ha scelta come sua casa.

Entra prudente e a prima vista sembra disabitata. Si posiziona in fondo, al buio, e si accende un fuoco. Tira fuori una lepre che aveva catturato durante il tragitto e la prepara per cucinarla.

Dannazione sta andando tutto storto! Era un piano così perfetto, avevo studiato tutto alla perfezione. Potevamo sistemarci per tutta la vita io e Damiano. Con i soldi che avremmo ricavato dal colpo, ci saremmo rifatti una vita nel Paraguay. Quante sere abbiamo passato, negli ultimi tre mesi, ha fantasticare sulla nuova vita. Una volta arrivati lì, un nostro amico d’infanzia ci avrebbe aiutato a sistemarci. Poi bastava solo investire i soldi in un’attività redditizia e potevamo goderci la vita. Donne, droga e sole per tutto l’anno. Tutto questo è rimasto un sogno e per giunta non mi è rimasto neppure il mio amico. Non mi hanno nemmeno dato il tempo di salutarlo. Bastardi, la pagherete caro, Damiano era come un fratello per me. Siamo cresciuti insieme e abbiamo sempre lavorato in due. Ora invece è dentro un sacco nero in qualche caserma. Più ci penso e più non capisco dove abbiamo sbagliato, come facevano a sapere tutto. Siamo stati molto attenti, non abbiamo parlato con nessuno, come hanno fatto a capire. Ho lo stomaco chiuso ma devo sforzarmi di mangiare un po’ di questa lepre, sono stravolto ed ho perso molto sangue. Devo riposarmi e riprendermi o non raggiungerò mai il rifugio di Damiano. La casa del suo vecchio zio. Sarebbe stato un nascondiglio perfetto fino a che le acque non si fossero calmate. Si dovrebbe trovare nel mezzo del parco naturale, proprio nel bosco, isolata da tutto e tutti. Spero di trovarla e spero che Damiano mi guidi, ovunque sia in questo momento. Fortunatamente mi è rimasto un po’ di whisky nella fiaschetta che porto sempre alla mia sinistra. Dopo mangiato farò un brindisi a te amico mio. Riuscirò a raggiungere il rifugio e riuscirò a fare quello che avevamo in mente. Te lo prometto. Fammi controllare la mappa. Secondo le indicazioni dovrei proseguire verso nord-est e trovarmi la casa davanti. Detta così sembra facile. Questa mappa è vecchia di trent’anni ed io non sono mai stato in questi posti. Era Damiano l’esperto. Ha passato tutta l’infanzia qui con lo zio. I miei non mi hanno mai permesso di venire qui con Damiano, forse perché lo zio era un criminale ricercato da tempo. Anche durante l’inverno, pur frequentando la stessa scuola e lo stesso quartiere, non volevano che mi vedessi con lui. Soprattutto mio padre, un avvocato, aveva già capito che strada avessi preso e le tentò tutte per salvarmi dalle mie scelte. Ma ormai il mio destino era già scritto ed era legato a filo doppio con Damiano. Ricordo i primi colpi e i primi guadagni. Abbiamo passato anni bellissimi tra donne e serate fantastiche. Potevamo permetterci la miglior coca della città e le più belle puttane. Questa lepre è davvero ottima, mi è tornata la fame. Ora però è meglio che vado a dormire, domani mi aspetta un’altra faticosa giornata con quegli sbirri maledetti alle calcagna. Ho quasi finito il whisky. Pazienza è abbastanza per ricordare il caro e vecchio Damiano, quando sarò in Paraguay me ne comprerò quanto ne voglio, anzi mi metterò a produrre dell’ottimo Rum. Era la passione di Damiano e lo chiamerò proprio con il suo nome. Farò il rum più buono di tutto il Sud America.

A Te amico mio, fa buon viaggio e proteggimi da questi maledetti!!!

Mentre un sole nascosto dalle nuvole guida Carlo tra i boschi, nella piccola caserma dei carabinieri del paese le forze dell’ordine fanno il punto della situazione. Ufficiali dell’arma in collaborazione con polizia e reparto degli alpini cercano di trovare Carlo. La tensione è alta, il territorio del parco è grandissimo e il malvivente potrebbe nascondersi ovunque. Non sanno che pesci prendere, brancolano nel buio e la stampa li sta massacrando. Ogni giornale e telegiornale della nazione sta danzando sopra le loro teste, sfruttando al meglio ogni singola novità che traspare dalla vicenda. Non a caso, hanno scelto come quartier generale, la piccola caserma dei carabinieri di un piccolo paese alle spalle del parco nazionale. Hanno sbarrato le strade di entrata ed uscita del paese ed hanno impedito l’entrata ad ogni giornalista. Anche i pochi residenti del paese, per lo più persone anziane, vengono tenuti sotto controllo per paura che qualcuno possa divulgare notizie. La stampa, che staziona perennemente fuori il paese, perseguita i residenti e li riempie di domande inutili. Tutto questo è un punto a favore delle forze dell’ordine. I residenti, la maggior parte contadini e allevatori che vogliono solo essere lasciati in pace, non ne possono più dei giornalisti e di tutta quella storia. Rivogliono la tranquillità di un tempo, tutta quella improvvisa notorietà gli va stretta. In una sala grande, intorno ad un tavolo di legno massello, cartine topografiche della zona sono aperte in maniera confusa tra computer e telefoni che squillano continuamente. Tutti i grandi capi parlano e dicono la loro, avvalendosi dei loro gradi. Il ministro dell’interno e quello della difesa sono perennemente in collegamento con la sala. Il governo sta perdendo la faccia su questo caso e le opposizioni incalzano nella speranza di farlo crollare. Il generale dei carabinieri entra nella stanza e tutti si alzano in piedi. I carabinieri e i militari gli fanno il saluto, mentre i poliziotti si limitano ad un “Buongiorno dottore”.

<< Allora riusciamo a catturarlo questo bastardo?>> strilla il comandante andando verso il grande schermo dove un proiettore trasmette a rotazione le immagini del parco visto dall’alto. Il generale è teso, ha tutta la faccenda sulle sue spalle, probabilmente si sta giocando anche la poltrona. Se cade il governo per colpa di Carlo Brugnoni, cadrà anche la sua testa. Un tenente cerca di prendere tempo e di spiegargli la situazione facendo ulteriori segni su una delle mappe sul tavolo.

<<Generale, stiamo setacciando l’intera area ma il Brugnoni è un osso duro e si muove nella notte. Secondo noi sta cercando di scappare in qualche modo dal paese. La strada è lunga ma è probabile che ci abbia pensato>>

<< Non diciamo stronzate Tenente! Un uomo non può sparire di fronte ad un’intera nazione che lo sta cercando e oltretutto passare la frontiera come se nulla fosse. Per fare ciò dovrebbe superare il parco nazionale ed attraversare molti paesi e cittadine senza farsi vedere. Stiamo forse cercando l’uomo invisibile? >> Le urla del Generale si sentono fin fuori dall’edificio. Probabilmente escono dalla finestra aperta e viaggiano in tutto il paese. Si guarda attorno e viene catturato da una delle tante immagini che ruotano sopra il grande schermo posto in fondo alla sala.

<< Che cos’è quella casa che si vede? Tornate immediatamente all’immagine precedente!>>. Urla, come impazzito. Un appuntato lo accontenta immediatamente mentre un capitano con un fascicolo in mano cerca la risposta a quella domanda. La trova o almeno lo spera.

<< Quella signore è un’abitazione abusiva posta sotto sequestro da anni ma mai abbattuta perché le ruspe rovinerebbero il paesaggio naturalistico. Quella è una zona protetta, ci sono animali in via d’estinzione che vi abitano>>

<< Non me ne frega una mazza dei vincoli paesaggistici, a chi appartiene quella casa? Ci abita qualcuno? >>

<< No signore. È disabitata da anni, apparteneva ad un certo Nicola Amaldi>>

<< Cosa sappiamo di questo Amaldi? Voglio sapere tutto>> aggiunge il Generale dirigendosi verso un maresciallo che digita il nome sopra un computer.

<< Nicola Amaldi, pregiudicato e condannato più volte per: Spaccio, istigazione alla prostituzione, riciclaggio di denaro sporco e ad altri reati di stampo mafioso. Era affiliato ad un clan camorristico di Napoli ed è stato ucciso due anni fa, durante una guerra di camorra. Era anche lo zio di Damiano Amaldi il complice di Carlo Brugnoni che è stato ucciso da noi due giorni fa>> il Generale non crede alle sue orecchie, forse hanno trovato dove si nasconde quel farabutto.

<< E cosa stavano aspettando, Babbo Natale? Quel Bastardo si sta dirigendo proprio lì, se già non è arrivato. Fate convogliare tutti i mezzi su quella casa, voglio quel Porco vivo o morto entro stasera>>.

L’intera stanza si attiva immediatamente, telefoni che squillano e computer che accelerano i loro lavori. Dalla caserma iniziano ad uscire una grande quantità di mezzi, mentre dal campo sportivo si alza l’elicottero dei carabinieri con all’interno il Generale.

In pochi minuti un grande spiegamento di forze, raggiunge la casa apparentemente ancora disabitata. Non sanno se Brugnoni è già arrivato, continuano comunque le operazioni di accerchiamento della casa. Il Generale sorvola con il suo staff personale tutta l’area con l’elicottero ed è in contatto con un colonnello che dal basso coordina tutta l’operazione. l’Arma non vuole farsi sfuggire l’occasione di salire sul carro degli eroi quando avranno lo avranno preso . Sembra la scena di un film americano, soldati intorno alla casa e sulle montagne vicino. Il Brugnoni è spacciato, non può passare inosservato. Ma il Colonnello non è tranquillo per niente, i criminali come Brugnoni non si arrendono facilmente. Probabilmente avrà raggiunto la casa e si starà preparando a fare fuoco. Distribuisce tutti i soldati in modo da non far rischiare la vita a nessuno dei suoi uomini. Non gli importa della vita di quell’uomo, probabilmente arrivati a questo punto non interessa nemmeno a lui. Vuole prenderlo e mettere fine a quella storia.

Prende il megafono e prova a chiamarlo per vedere se c’è qualcuno in casa.

<< Brugnoni, sono il Colonnello Sganci >>

Da una finestra con i vetri rotti al secondo piano, parte un colpo di fucile che va a bucare una volante. Quella è la sua risposta e la conferma che non vuole arrendersi, non tiene minimamente alla sua vita, vuole solo vendicare il suo amico prima di crepare. Immediatamente rispondono tutti al fuoco ma il Colonnello li ferma. Per il momento non vuole assecondare le pazzie di quello squilibrato. Non sanno quante armi ha all’interno.

Maledetti schifosi, siete arrivati fino qui, ma questo posto sarà la vostra tomba. Avete spedito il mio amico all’inferno e probabilmente festeggerete quando ci andrò anch’io, ma potete giurarci che qualcuno di voi verrà con noi. Quanto ci divertiremo con le vostre anime giù agli inferi, io e il mio amico Damiano. Intanto il piccolo bastardo che abbiamo rapito sta già percorrendo la strada infuocata che lo porterà dritto da Satana. Quanto mi sono divertito con lui. Probabilmente ora sarà diventato la cena di qualche lupo o qualche orso.

Lo zio di Damiano ha nascosto parecchie armi qui su, ne ho trovate talmente tante da poter scatenare una guerra. Le ho sistemate lungo tutte le finestre, ma il tocco finale è ben posizionato al piano di sopra, dove la vista è più ampia. Prima però voglio divertirmi un po’, giocare con voi, così come voi avete giocato con me a questa ricerca del tesoro. Sparerò ogni volta da una finestra diversa, dovrò stare attento a camminare sempre con la testa bassa, ma ci sarà da diversi.

Continuate a parlare, pensate che io sia così stupido da rispondervi? Siete proprio degli ingenui. Avete distrutto il nostro sogno e ci avete spalancato le porte dell’altro mondo, ora la dovete pagare. Tutto questo casino l’avete voluto voi, anche la morte del piccolo Davide è colpa vostra. Io non volevo ucciderlo, mi avete costretto a farlo. Io e Damiano non volevamo torcergli un capello, anzi l’avremmo trattato bene fino all’arrivo dei soldi. Damiano amava i bambini. Ma voi avete deciso diversamente compromettendo l’intera operazione. La famiglia Bachman è ricca sfondata, per loro non sono nulla due milioni di euro. Mentre per noi avrebbero rappresentato i biglietti per il nostro sogno. Non avreste più sentito parlare di Damiano e Carlo. Saremmo stati un problema del Sud America. Ma voi siete affetti da una rara malattia che vi trasforma in “Eroi” anche quando non serve. Bene, sono pronto allora, imparerete che ogni scelta porta ad una causa ed ogni azione ad una reazione.

Ora basta con le chiacchiere, è ora di fare sul serio. Tieniti pronto amico mio, sto arrivando e porto con me alcuni compagni di festa!!

Immagini prese da Google Immagini

Clementi Simone

“Poker” è il nuovo singolo di Peter White

Si intitola Poker il nuovo singolo di Peter White, uscito lo scorso 21 febbraio per Sony Music Italy.

Peter White è il nome d’arte di Pietro Bianchi, artista romano emergente che ha esordito nell’aprile 2019 con l’album Primo appuntamento.

Il nuovo singolo di Peter White, prodotto da Niagara e Polare, racconta la vita dell’artista attraverso la metafora del Poker.

“Poker è una canzone nata sotto il sole di Giugno, cresciuta durante l’estate, terminata in autunno, uscita in inverno. È un brano che tiene gelosamente le sue carte in mano e che, un bluff dopo l’altro, cala sul tavolo tutte le sue sfumature attraverso colori e semi, fino a esporsi del tutto”.

Puoi ascoltare Poker, il nuovo singolo di Peter White, direttamente da qui:

Testo:

Oggi, che sembra un po’ ieri
Ho mischiato i pensieri
Come drink nei bicchieri
E va come va l’università
La famiglia e la casa
La tua vecchia amica
Quella sempre indecisa
In quella storia infinita
E tu nel sud Italia
Io che resto da solo
A cantare di notte
A inventarmi un lavoro
Ed è difficile che cambi tutto
É più probabile che cambi te
Che riempiresti con i tuoi pensieri
Tutte le camere di un Grand Hotel

Come quando fuori piove
Che non si vede niente
E la notte fa colore
Faccio poker con te
Come quando fuori piove
Che non si vede niente
Sotto una scala di stelle
Faccio poker con te

E fa un po’ tristezza la Grecia
Quando finisce l’estate
E guardiamo lo stesso tramonto
Ci riflette uno specchio di mare
É questione di tempo
E di come lo indossi
Di tempismo perfetto
Di guardarsi negli occhi
E sai
Sento l’eco di un corteo nel centro
Mi confondo in mezzo al rullo dei tamburi
Ma la manifestazione ce l’ho dentro
Con i cori che rimbalzano tra i muri e

Come quando fuori piove
Che non si vede niente
E la notte fa colore
Faccio poker con te
Come quando fuori piove
Che non si vede niente
Sotto una scala di stelle
Faccio poker con te

Quando il sole se ne va
Fuma l’ultima città
E dipinge le case
Poi chissà dove va
Quando il sole se ne va
Fuma l’ultima città
E dipinge le case
Ma le lascia a metà

Come quando fuori piove
Che non si vede niente
E la notte fa colore
Faccio poker con te
Come quando fuori piove
Che non si vede niente
Sotto una scala di stelle
Faccio poker con te

Leggi il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie da conoscere assolutamente.

Cos’è il cantautorato elettrodomestico estremo? Ne parliamo con Ceroli

Dal 29 Gennaio possiamo ascoltare il primo EP di Ceroli, artista abruzzese che definisce la sua musica cantautorato elettrodomestico estremo. Ma la domanda sorge spontanea: Cos’è il cantautorato elettrodomestico estremo?

In precedenza batterista del Management del dolore post operatorio, con i suoi brani apre i concerti di Luca Romagnoli e Marco Di Nardo, oggi noti come Management nel Sumo Tour.

Ed è nella data barese che noi di Indie Life abbiamo incontrato Ceroli alla scoperta di un approccio musicale innovativo.

Ben trovato! Parlaci della tua musica!

Ciao! Dunque, ho iniziato a scrivere brani intorno ai 19 anni, ma per un po’ sono rimasti nel cassetto. Poi col Management del dolore post operatorio ho registrato tre dischi e iniziato ad avere una certa esperienza. Tra un tour e un altro completavo le canzoni, col tempo ho costruito il mio piccolo studio di registrazione. Ho proposto i miei brani a un’ etichetta di Lanciano (paese d’origine, ndr), la Biscottificio Records che ha completato produzione e promozione.

Hai definito la tua musica “cantautorato elettrodomestico estremo”: di che si tratta? Perché estremo?

Il concetto di elettrodomestico è definito dai suoni elettrici, elettronici e poi acustici; domestico perché effettivamente produco tutto a casa mia. Estremo invece deriva dalle divergenze di genere relative ai brani: si può passare dal noise al melodico.

Ti definiresti un artista indie?

Perché no! Ma in generale, voglio essere un artista che compie scelte musicali in maniera libera.

Un esempio di cantautorato elettrodomestico estremo

Sappiamo che sei stato il batterista del Management del dolore post operatorio. È meraviglioso vedere te, Luca e Marco insieme sul palco, come esempio di amicizia. Da dove è nata dunque la tua esigenza di intraprendere un percorso autonomo?

Mi piacerebbe rispondere con un’immagine a me molto cara: se un albero sposta le sue radici muore, un essere umano invece metaforicamente muore se non trova radici altrove. Dunque la vita è questione di scelte: io ho sentito l’esigenza di cambiare. Tuttavia con Luca e Marco c’è una forte amicizia e continuiamo a suonare insieme.

La versione del brano “Un giorno dopo l’altro” di Management e Ceroli

“Passiamo i giorni a spiarci su Instagram” canti nel brano come fare l’amore con te e parli di guerra per i follower. Allora, com’è l’amore ai tempi dei social network?

Bella domanda! (ride, ndr) Questo tema è molto attuale e tornerà nei brani che pubblicherò prossimamente. Ma a dire il vero i social non influenzano molto il mio modo di relazionarmi.

Dalla tua musica traspare un atteggiamento introspettivo. Ne hai mai avuto paura?

Direi di no, sono molto introspettivo caratterialmente e amo la solitudine: se dovessi scegliere un tatuaggio, sarebbe la scritta “da solo”. Al momento questo si nota anche artisticamente ma forse in futuro potrei trovare una band.

Perché dovremmo continuare ad ascoltare Ceroli?

Perché sta arrivando una bomba!

Grazie Nicola, ci vediamo presto!

Grazie a voi!

Segui ceroli_musica su Instagram!

THE WKND, puntata del 22 Febbraio 2020

Fabio e Lello in onda tutti i Sabati dalle 14:00 ci raccontano il meglio della settimana Indie e della musica in generale. Ascoltaci in diretta sulle frequenze di RadioPunto FM!


PODCAST PUNTATA DEL 01 FEBBRAIO 2020 – 1° PARTE

PODCAST PUNTATA DEL 01 FEBBRAIO 2020 – 2° PARTE

PIETÀ PER GLI INSONNI

L’imminente arrivo di un tremendo uragano, nella tranquilla terra del New England, basta di per sé ad agitare chiunque. Ma a turbare gli animi dei lettori e dei protagonisti di questo romanzo, c’è molto di più. Oltre all’uragano, sta per abbattersi la più spietata follia umana. Un pazzo schizofrenico decide di evadere dal manicomio criminale per trovare e vendicarsi della donna che lo ha fatto finire lì dentro. Parte così una tremenda caccia all’uomo che, nel cuore della tempesta, lascerà dietro di sé un’enorme scia di sangue.

L’AUTORE:

Jeffery Deaver, nato è cresciuto a Glen Ellyn, una piccola cittadina vicino Chicago, muove i suoi primi passi nel mondo della scrittura come giornalista. Scrive alcuni articoli per delle piccole riviste, sviluppa una passione per la scrittura che lo porta ad iscriversi alla prestigiosa università di New York, la Fordham University. Vuole diventare un corrispondente legale del New York Times.

Inizia a dedicarsi interamente alla scrittura nel 1990, diventando da subito un prolifico autore ed una delle penne più importanti nel genere Thriller. Ha vinto numerosi premi tra cui: tre volte il Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year, nominato per sei volte all’Edgar Award ed altri numerosi premi. Le sue storie sono tradotte in tutto il mondo in più di 200 lingue e tengono con il fiato sospeso milioni di fan. È famoso per numerosi cicli, molto importanti nel genere Thriller e Gialli, che vede il Detective protagonista occuparsi di vari generi. Attualmente sta lavorando al ciclo che vede la Detective Kathryne Dance. L’ultimo romanzo di questo ciclo, uscito nel 2015, vede proprio la detective affrontare un nuovo caso che, come una lunga partita a scacchi, non permette la minima distrazione.

LA TRAMA:

Romanzo pubblicato nel 1994, vede per protagonista uno stupratore schizofrenico che, approfittando dell’imminente uragano che si sta abbattendo e di un calo di attenzione da parte delle guardie, decide di evadere dal manicomio criminale dove è rinchiuso. Ossessivo- compulsivo, Michael Hrubeck è un gigante fissato per il numero sette e per la guerra di secessione. Parte così una furiosa caccia all’uomo che vede per protagonisti, oltre alla polizia locale, il marito della donna che ha fatto rinchiudere Michael ed un addestratore canino alimentato dal desiderio di impossessarsi dei soldi promessi dalla polizia stessa. Michael ha solo una cosa in testa, trovare la donna che lo ha costretto a vivere tutto quel tempo in quell’inferno e non si fermerà davanti a nulla. Ma nel bel mezzo dell’uragano, ogni cosa può essere capovolta, anche la verità.

RIFLESSIONE PERSONALE:

Questo romanzo è uno dei tanti tesori che puoi scoprire su una bancone mentre passeggi tra i vari mercatini estivi. È una di quelle storie che ti chiamano, senti il loro silenzioso richiamo quando ti avvicini incuriosito ed in breve tempo vedi la sua copertina, nascosta per metà. Pur mantenendo tutti gli elementi classici del genere, il grande autore disegna una trama originale ed avvincente che mescola la follia umana e la distruzione che la natura spesso scatena. Pagina dopo pagina ti ritrovi a correre sotto la pioggia, prima a fianco del protagonista e poi a fianco degli inseguitori. Come in una raffinata partita a carte, nulla è come sembra ed anche i ruoli del bene e del male posso essere invertiti.

Clementi Simone

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AUTOSTRADA JEFFERY

Una Caddilac nera sfreccia nella notte sull’autostrada. È partita da Denver Colorado ed è diretta, apparentemente, verso il Tennessee. Una piccola cittadina del Tennessee per la precisione. Ma chi sta alla guida non è molto certo di tornare a casa, non sente la nostalgia di quel posto di provincia dove è cresciuto fino all’età di vent’anni. Jeffery Bruce è uscito di casa mezz’ora fa con la classica scusa, una scusa che ormai non regge più con nessuno tranne che con l’insospettabile moglie.

<< Amore mi sono scordato di comprare le sigarette, esco a comprarle>> la moglie Carla, una donna che lo comanda a bacchetta, si limita a gridargli dietro mentre sta guardando una serie poliziesca alla TV, sdraiata sul divano.

<< Portami un gelato e fai presto!!!!>>

<< Certo amore, faccio una volata!>> si limita a rispondere l’uomo mentre prende le chiavi della macchina e chiude la porta a chiave. All’insaputa della moglie, ha già messo nel portabagagli due grosse valigie; una piena di vestiti ed una piena di libri. Sono perlopiù gialli tascabili e fumetti, Jeffery ne va matto. Ha organizzato tutto nel pomeriggio, mentre la moglie era ancora impegnata al lavoro. Lui ha chiuso prima il negozio ed ha preparato tutto. Ha atteso il momento migliore, dopo cena, mentre la moglie guarda la sua serie preferita. L’ultimo epilogo di una vita da schiavo, forse l’unico momento in tutta la sua esistenza, dove ha preso una decisione seguendo il suo istinto. Jeffery è il classico omino medio borghese, una vita difficile che inizia fin da subito con sua mamma. Mamma Alma perde improvvisamente suo marito in un incidente di lavoro quando lui ha appena cinque anni. Non gli rimane che questo figlio, che protegge in maniera ossessiva dalla mattina alla sera. Nella piccola cittadina del Tennessee si conoscono tutti e così mamma Alma può sapere sempre dove si trova e cosa sta facendo suo figlio, anche se sta in ufficio. È una commercialista che cura la contabilità della maggior parte dei negozi della città, la conoscono tutti e sono tutti d’accordo nel fatto che sta letteralmente soffocando il piccolo Jeffery.

Al ragazzo piace girovagare per la città tutto il giorno, specialmente nei caldi pomeriggi estivi. Questo provoca ad Alma ulteriori preoccupazioni. A dodici anni Jeffery ha un discreto gruppo di amici, sono in cinque e condividono tutti le stesse passioni: fumetti, film horror e romanzi d’avventura. Amano giocare con i giochi di ruolo e scambiarsi fumetti e figurine di baseball. Sono i classici Nerd e il resto della scuola li chiama “Il club dei perdenti”, soprattutto i ragazzi più grandi che li prendono di mira continuamente con scherzi pesanti.

Jeffery ha una vera passione per i fumetti, gli piacciono soprattutto i disegni e da grande vorrebbe fare il disegnatore professionista. Ha già un progetto con il suo amico Peter, un membro del “Club”. Peter è appassionato di scrittura e insieme vogliono creare un fumetto. A volte si vedono a casa di Jeffery e buttano giù qualche idea. Quei caldi pomeriggi passati con l’amico nella sua stanza, sono i preferiti per mamma Alma che in questo modo può controllarlo meglio. Diversa la situazione quando al ragazzo viene voglia di giocare a baseball nel parco cittadino. In quei casi Alma va su tutte le furie e alla sera quando torna dal lavoro fa a suo figlio una lavata di testa.

Mentre guida, Jeffery, ripensa a tutta la sua vita. Non ha rimorsi per quello che ha fatto. È scappato per salvarsi. Forse ha aspettato troppo per decidersi, ma qualcuno gli ha detto che i quarant’anni sono la nuova giovinezza e lui si sente come un ventenne in gita scolastica. Apre il finestrino ed assapora l’aria fresca che entra, mentre una stazione locale passa un blues di un gruppo texano. Jeffery alza il volume e sorride, forse per la prima volta dopo molti anni. L’occhio gli casca sull’orologio in macchina e vede che è mezzanotte passata, sta viaggiando da circa un’ora e sente la stanchezza salirgli dal profondo. Vorrebbe fermarsi e dormire per poi ripartire con il fresco della mattina, ma deve avere pazienza. È sempre stato un tipo meticoloso e con mille paure.

Porta pazienza vecchio mio, hai fatto pochi chilometri. Ancora una mezz’ora e sarai alla giusta distanza tra te e quel mostro di tua moglie. A quel punto potrai fermarti e dormire sereno”.

Si ripete quella frase già da un quarto d’ora. Sente la sua voce echeggiare nella mente ma è convinto che quelle sono parole di suo padre. Ha sempre avuto un’idea astratta del padre; un mix di sbiaditi ricordi e racconti della madre, conditi da alcune foto che trovava in giro per casa. Nei momenti più difficili, quando il mondo sembrava crollargli addosso, ha sempre sentito la sua voce nella mente dargli consigli preziosi. Anche un’ora fa, quando per un momento, rimase seduto nell’auto sotto casa con un briciolo di rimorso.

Metti in moto e parti coglione! Cosa stai aspettando?”

A volte suo padre è brusco, ma come ogni padre, lo fa per il suo bene. La strada è apparentemente deserta, solo qualche macchina o camion che lo supera di tanto in tanto. Un cartello attira la sua attenzione, recita MOTEL VIRGIN tra venti chilometri. Decisamente un colpo di fortuna, si sente dire “Grazie papà”, mentre la radio trasmette del buon country. Ascolta con gusto un paio di pezzi e verso la fine del secondo, vede un cartello illuminato per metà e messo all’inizio della prossima uscita sulla destra. Si legge solo “MOT” ma è palesemente il cartello del motel. La Cadillac gira a destra e imbocca una stradina isolata e buia, non perfettamente asfaltata. Intravede nella foschia della notte un edificio non molto grande con un ampio parcheggio di fronte. Ancora un’altra scritta, questa volta meglio illuminata. Oltre alla sua Cadillac, ci sono solamente due automobili. Meglio così, questi piccoli motel sono ottimi perché sono poco frequentati e il personale non fa troppe domande. Prende le due valige dal porta bagagli ed entra dalla piccola porta. Sulla destra un piccolo “salotto” con due divanetti, uno di fronte all’altro, ed al centro un tavolino con delle riviste. Dietro uno dei divanetti, una scaffalatura a parete che ospita alcuni romanzi. Sulla sinistra il bancone della reception e al centro le scale che portano al piano di sopra. Non ci sono molte camere, circa trenta divise in due piani. Dietro il bancone lo accoglie un ragazzo dallo sguardo furbo e il sorriso di chi ne ha viste talmente tante da poterci fare un film. Lavorare di notte in un motel deve essere eccitante da un certo punto di vista. In filo diffusione, ironia della sorte, si sente la stessa stazione radio che stava ascoltando lui in macchina. Il viaggio musicale continua.

<< Buonasera e benvenuto al Motel Virgin signore >> lo accoglie il ragazzo con ancora quello strano sorriso sul volto. Avrà un trentina d’anni, capelli lunghi e maglietta a maniche corte di una famosa rock band. Gli allunga la mano e si presenta. Nonostante le apparenze, sembra comunque un ragazzo educato.

<< Sono Tommy Duglas come posso esserle d’aiuto?>>

<<Buonasera, mi chiamo Jeffery Bruce e avrei bisogno di una stanza per una notte>>

<< Certamente signor Bruce, mi dia un documento che la registro>> Recita il ragazzo con un tono meccanico di chi ripete quella frase molte volte al giorno. Si gira e prende una chiave tra le tante che sono appese proprio dietro di lui. Jeffery tira fuori il portafoglio e poggia sul bancone la sua patente. Tommy si gira con le chiavi e meccanicamente prende la patente ed inizia ad inserire, sul computer che ha davanti, i dati.

<< Ecco a lei la chiave della 29, vuole il servizio sveglia per domani? >>

<< Si grazie, gradirei la sveglia alle otto e mezza. C’è anche un servizio colazione? >>

<< Sì, dalle otto alle dieci, proprio nel nostro piccolo ristorante >> recita ancora meccanicamente il ragazzo indicando la porta alla destra della scala e scrivendo un appunto su un taccuino.

Sveglia alla 29 per le 08:30

Jeffery prende le chiavi, le valige e si avvia verso le scale salutando il ragazzo che si rimette a sedere sulla poltrona con un romanzo in mano. L’occhio di Jeffery però cade proprio sul libro che il ragazzo sta leggendo. È un horror di Peter Hill, il suo amico d’infanzia. Proprio quel Peter che doveva creare un fumetto con lui, prima di partire per New York e diventare uno scrittore di fama mondiale. A lui è andata diversamente. Mentre sale le scale, la mente torna indietro con gli anni. Precisamente agli anni del collage. Fu dura scegliere il collage giusto, è una scelta difficile per tutti i ragazzi. Per Jeffery però fu una vera e propria guerra. Una guerra tra lui e sua madre, ovviamente, che finì con un armistizio. Aveva scelto di frequentare lo stesso college di Peter e di andare a New York. Avevano programmato tutto insieme. Nello stesso collage, infatti, tra i tanti corsi c’erano anche letteratura e disegno. Sembrava perfetto ma non avevano calcolato mamma Alma. Per lei infatti la Grande Mela era troppo distante. Prese informazioni e scoprì che lo stesso corso di studi che aveva scelto suo figlio a New York, era presente nel collage di Nashville. Alma preferiva per suo figlio una carriera simile alla sua, aveva già pianificato l’idea di lasciargli la sua attività, ma dovette arrendersi ai sogni di Jeffery. Così accettò, mal volentieri, l’idea che suo figlio studiasse disegno ma doveva andare a Nashville così poteva raggiungerlo con due sole ore di treno quando voleva. Il minuto ragazzo di provincia provò suo malgrado a combattere la protettiva madre ma decise che l’aver ottenuto il percorso di studi, era già una grande vittoria per lui. Parlò con Peter e si promisero di rimanere in contatto per continuare il loro progetto. Ovviamente non fu così. Arrivati al college i due ragazzi partirono da zero e si fecero nuove amicizie. Più che altro Peter fece nuove amicizie e vide la sua carriera crescere smisuratamente dal terzo anno in poi. Per il Nerd Jeffery fu come al solito un duro inferno anche il collage. L’unica nota positiva era la sua ragazza Carla, una ragazza di origini italiane che frequentava il corso di matematica. Si conobbero ad una festa universitaria durante il quarto anno. Iniziarono a frequentarsi e Jeffery s’innamorò follemente di lei. Era una ragazza in carne e per niente popolare. Proprio come lui veniva presa in giro da molte persone e non aveva un gran giro di amici. Ma cosa più bella, per Jeffery, era il carattere duro e protettivo che aveva con lui.

Iniziò a comandarlo a bacchetta, questo piacque molto al ragazzo. Carla divenne un punto di riferimento soprattutto dopo il terzo anno di fidanzamento, quando a soli sessantaquattro anni, mamma Alma morì d’infarto lasciando il suo adorato Jeffery nelle mani di Carla. La mente matematica e pragmatica della ragazza iniziò a lavorare duramente sul futuro del suo fidanzato. Lo convinse con il tempo a non seguire la pista del disegnatore, almeno per il momento, ma di aprirsi un’attività. La sua politica era concentrata sulle cose pratiche e non c’era spazio per i sogni. Suo padre era un grosso imprenditore ed aveva una grande azienda di copertoni. Dopo la laurea si sarebbero trasferiti a Denver, dove viveva la sua famiglia e il padre gli aveva regalato una casa. Lì avrebbe aperto il suo negozio. Si sposarono presto e il grande sogno di Jeffery si sbriciolò velocemente in polvere senza che lui neanche se ne accorgesse. Si accontentò con gli anni di avere un negozio di fumetti, non era certamente come diventare un grande disegnatore, ma era il suo angolo di paradiso dove la moglie Carla non entrava mai. La rabbia, la frustrazione e i sogni infranti hanno tutti una cosa in comune. Non spariscono del tutto nella vita di un uomo, si nascondono per anni in angoli bui della mente e covano rancore in attesa di riaffiorare. Se non riesci a domarli, saranno loro a domare te, prima o poi.

Il telefono della stanza 29 squillò preciso alle otto e mezza. Jeffery aprì gli occhi tornando al mondo reale da un sogno con suo padre.

<<Pronto?>> disse con una voce assonnata

<< Servizio sveglia signor Bruce, sono le otto e mezza come aveva chiesto lei>> una voce giovane e femminile entrò squillante dandogli il buongiorno. Troppo squillante per i suoi gusti. Ringraziò educatamente e si alzò dal letto dopo aver riattaccato la cornetta. andò in bagno e si preparò ad una nuova giornata di fuga in circa quindici minuti. Scese le scale e scoprì che la voce squillante che aveva sentito al telefono, apparteneva ad una ragazza carina che assomigliava molto al ragazzo della notte precedente, probabilmente erano fratello e sorella e quello era un motel a conduzione famigliare.

<< Buongiorno Signor Bruce, la colazione è servita in cucina ed è offerta da noi>> lo accolse la ragazza con fare gentile e meccanico, indicò la porta bianca aperta vicino alle scale.

<< Buongiorno anche a lei e grazie>> si limitò a rispondere Jeffery. Si sforzò di essere gentile anche se la mattina non aveva molta voglia di parlare. Si avviò in cucina, prese un vassoio e si servì dal tavolo apparecchiato e sistemato in fondo alla sala. Prese un muffin, una fetta di crostata alle more e un caffè caldo. Ad accoglierlo in cucina c’era una donna un po’ avanti con gli anni. Probabilmente la mamma dei ragazzi che aveva conosciuto alla reception. Si salutarono cordialmente e Jeffery si accomodò per gustarsi la colazione. Dopo tornò in camera per prendere le valigie e si diresse di nuovo dalla ragazza.

<< Sono venticinque dollari signore, si è trovato bene da noi? >> chiese la ragazza mentre preparava le carte per il check-out. Questa volta il tono sembrava sincero e non meccanico. La ragazza aveva preso a cuore il suo lavoro e cercava di far sentire a casa tutti i clienti.

<< Certamente, sono stato molto bene. Consiglierò questo motel a tutti i miei colleghi rappresentanti>>. Non era un rappresentante ma solo un marito in fuga dal suo incubo peggiore. Ma una piccola bugia non è grave se serve a strappare un sorriso a chi la riceve.

<< Grazie Signor Buce, mi fa molto piacere>> rispose la ragazza sorpresa.

Lui si limitò a sorridere ed a salutare la ragazza mentre si avviava verso l’auto. Voleva partire immediatamente e mettere altri chilometri di distanza tra lui e la moglie. Avviò il motore rombante della Cadillac ed uscì dal parcheggio del motel. La stazione radio tornò a donargli un po’ di buona musica mentre lui stava meditando di cambiare strada, così per creare un po’ di confusione a chi fosse venuto in mente di seguire la sua pista. Non tornò indietro verso l’autostrada, girò a destra e proseguì per la via poco asfaltata. Non aveva la minima idea di dove stesse andando ed era proprio quello il bello. Era eccitato come non gli capitava orma da anni. Sentiva una strana forza dentro di lui, una forza che non aveva mai avuto. Aveva i finestrini completamente abbassati e si godeva l’aria fresca e il sole di quella splendida giornata.

Dopo alcuni chilometri percorsi in mezzo alla campagna isolata, notò da lontano una piccola casa rossa sviluppata su due piani, nulla di strano se non fosse per la coppia che ci viveva. Erano entrambi fuori in giardino e Jeffery notò dai loro gesti che stavano litigando. Rallentò incuriosito e quando passò davanti alla casa, vide che l’uomo stava picchiando la donna. Jeffery fermò la macchina e scese, andando incontro all’uomo che si voltò. Il picchiatore era un uomo grasso e molto alto che non mostrò alcuna preoccupazione verso quel minuscolo omino che si stava avvicinando. Lo guardò con disprezzo tenendo sempre per il collo la donna che aveva dei grossi segni sul viso e sangue che gli colava. Jeffery sembrava impazzito, si avviò verso l’uomo con fare aggressivo.

<< Lascia in pace quella donna, lurido verme>>

<< Fatti gli affari tuoi, microbo, questa è mia moglie e la picchio quanto mi pare e piace>> L’uomo lasciò momentaneamente la donna e si mise davanti a Jeffery che non sembrava per niente intimorito.

<< Ti ripeto, lascia in pace quella donna o per te si mette male>> non aveva mai sopportato le ingiustizie, anche perché lui era stato il primo a subirle. L’uomo violento gli diede una forte spinta senza rispondere. Jeffery volò per alcuni metri a terra mente l’uomo, convinto che sarebbe finita lì la questione, riprese a picchiare la moglie. Jeffery impazzì del tutto, si guardò in torno e vide un’accetta a terra. La prese e mentre l’uomo era di spalle, gliela conficcò nel cervello. La moglie inorridita dalla scena iniziò a strillare contro Jeffery dandogli dell’assassino e giustificando il marito per il suo comportamento. Jeffery non ci pensò due volte, tolse l’accetta dalla testa del marito e fece la stessa cosa alla moglie, mentre lei ancora strillava in lacrime. Si voltò e si diresse verso la macchina, si cambiò la camicia sporca di sangue e riprese il suo cammino. Da quel momento il piccolo uomo venuto da Denver, che aveva paura della moglie, divenne il serial killer conosciuto con il nome di “Autostrada Jeffery”.

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Clementi Simone

“Eden” di Rancore è nella top ten della classifica dei brani più ascoltati in Italia

Il brano Eden di Rancore feat. Dardust, presentato al 70esimo festival di Sanremo nella categoria Big, ottiene un riscontro positivo sulle maggiori piattaforme digitali: rientra nella top ten della classifica dei brani più ascoltati in Italia (“Top 50 Italia” di Spotify).

Il rapper, partito dai concerti abusivi armato di megafono, ha sempre prestato attenzione alla scelta delle parole per i propri brani. Quest’anno ha ottenuto il meritatissimo premio “Sergio Bardotti” per il “miglior testo” al 70esimo Festival di Sanremo.

Rancore afferma: “Se pensate alla complessità di ‘Eden’, al nome che porto, a come sul palco c’erano solo le mie rime, c’ero solo io, senza sovrastrutture, tutto questo poteva essere fantascienza“.

Inoltre dedica il premio al Rap Italiano, un linguaggio complesso ma che può essere veicolo di messaggi incoraggianti, non solo per le nuove generazioni.

Perché “la musica – continua il giovane rapper- cambia ogni giorno e non si ferma mai”.

Fonte: Ufficio Stampa e Promozione Big Time