Eventi e concerti dopo il Covid-19, videointervista a Matia Campanoni

Eventi e concerti dopo il Covid-19, videointervista a Matia Campanoni.

In questi giorni di incertezza e di impossibilità ad avere contatti con le altre persone, ci si chiede sempre più cosa succederà ad un settore che fa dell’aggregazione la propria vita, il mondo degli eventi.

Ho approfittato della quarantena per fare due chiacchiere con Matia Campanoni, promoter e organizzatore di eventi come il WOODOO FEST a Cassano Magnano (VA) o l’itinerante STREET FOOD PARADE, di quello che succederà dal 4 Maggio 2020 in avanti, data di partenza della tanto attesa fase 2 di questa emergenza Covid-19 e di come si evolverà il settore degli eventi e dei concerti al termine di questo periodo di quarantena.

Di seguito l’intervista integrale presa dalla nostra pagina Facebook:

Eventi e concerti dopo il Covid-19, videointervista a Matia Campanoni.

Allucinazione mortale

Era iniziato come tutte le cose, quasi per gioco. Una festa, degli amici, le ragazze e un po’ di sostanze così dette “droghe leggere” tanto per riscaldare l’ambiente.

Non aveva problemi a bere qualche bicchierino o fare qualche tiro di canna, l’aveva già fatto e sapeva come reagiva il suo corpo e quando dire basta. In realtà usava quelle sostanze per sciogliersi un po’ e calmare i nervi. Aveva un carattere solare e tutti lo vedevano sempre ridere, ma pochi sapevano che non sfogava mai i suoi sentimenti negativi. Non parlava mai degli avvenimenti storti che la vita gli metteva davanti, per farlo parlare gli amici lo dovevano quasi minacciare. Anche quando era  palese che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, lui rispondeva sempre che andava tutto bene. Magari aveva gli occhi gonfi pronti a piangere sulla prima spalla che gli si presentava davanti, ma non diceva niente se non che andava tutto bene.

Solo il fratello e un paio di amici cari sapevano come prenderlo, ma anche a loro aveva omesso alcuni segreti che teneva ben nascosti dentro di sé.  Nel bel mezzo della festa venne uno dei suoi più vecchi amici, era appassionato della cultura dei  Nativi Americani, era un hippie mancato, sembrava fosse uscito dagli anni ’60. Ascoltava sempre la musica di quegli anni, capelli lunghi e vestiti larghi, aveva una strana passione verso le droghe allucinogene tanto da procurarsi il soprannome “acid”, diceva che lo aiutavano a viaggiare aprendogli le porte della percezione, aveva iniziato a scrivere poesie e suonare la chitarra, ma in realtà era disoccupato e rimediava ogni tanto qualche lavoro a giornata.

Si avvicinò a Davide mentre quest’ultimo era immerso nei suoi pensieri e si godeva la birra:

<< Ciao Davide come va ?>>

<< Oh ciao Acid, non ti avevo visto.  Non tanto bene, oggi è il secondo anniversario di mamma >>

<< Sono già passati due anni? Ancora ho in testa la sua voce che mi rimprovera per i miei tanti tatuaggi>>

<<  Già, infatti sono venuto solo perché è la festa della ragazza di Matteo, me ne sarei stato volentieri a casa, non sono proprio dell’umore da festa stasera >>

<<  Posso immaginare, ma secondo me a casa sarebbe stato peggio.  Se vuoi te la regalo io qualcosa per tirarti su, l’ho riportato dall’ultimo viaggio in Arizona, si chiama Peyote, alcune tribù indiane lo usano per pregare. >>

Tirò fuori dalla tasca dei petali di fiore.  Aveva sentito parlare di questo allucinogeno ma non lo aveva mai assunto. Quella sera non riusciva a rilassarsi, pensava continuamente alla madre, rivedeva gli ultimi strazianti momenti dopo un anno di lotta contro una malattia che non gli aveva dato scampo.

Neanche la birra e le canne erano riuscite a farlo evadere, vide quel petalo rosa tra le mani tese di Acid, lo prese e se lo mise in bocca masticandolo. Si poggiò sul divano e chiuse gli occhi.

La prima mezz’ora non sentì nulla, poi iniziò a viaggiare, vedeva le note della musica uscire dallo stereo e sorridergli, si alzò e andò in balcone. Affacciato sul davanzale guardava il vuoto, le nuvole gli parlavano, gli raccontavano storie di persone osservate nelle altre parti del mondo, fasci di luce colorata passavano in mezzo a loro ed illuminavano il volto sorridente di Davide, che rideva divertito come non aveva fatto  da due anni.

Nessuno badava a lui, c’era gente che si baciava e altri in condizioni peggiori.  Scelse di uscire e di camminare così senza metà, per le vie della città nell’umidità della notte che lo accoglieva con il suo strano calore. Non c’era molta gente in giro e questo gli piacque molto. Era una notte in mezzo alla settimana di inizio maggio, la gente iniziava ad uscire ma solo nel fine settimana, gli altri giorni preferivano restare in casa, lui passeggiava per i vicoli, era circa l’una di notte e le poche luci accese nelle case si spegnevano piano piano al passaggio. Scese le scale dal primo ponte e si mise seduto in riva al fiume che passava tagliando la città a metà, vedeva i pesci illuminarsi come lampadine nell’acqua torbida e nuotare veloci. Non sentiva più la musica della festa, ma vedeva le note musicali di una serenata fatta da un gatto per la sua micetta, sentiva parole d’amore e promesse di fedeltà e gli venne da ridere pensando che l’amore era uguale per tutti che tu sia uomo, donna o animale. Risalì le scale lasciando i gatti nella loro intimità, il gatto maschio lo ringraziò con un occhiolino.  Proseguì la sua passeggiata per le vie del centro, si imbatté in un barbone che si stava mettendo a dormire su una panchina, si tolse la giacca e la porse sul suo corpo. Più giù trovò un cane vagabondo intento a rosicchiare un osso trovato in qualche cassonetto dell’immondizia.

Si mise  ad osservarlo fino a che il cane indispettito, si girò e gli chiese non troppo educatamente:

<< Che c’è, non hai mai visto un cane rosicchiare un osso?>>

<< No scusa, riflettevo sulla vita che fai>>  rispose educatamente Davide, il cane incuriosito lo raggiunse e si accucciò vicino a lui:

<< Come sarebbe la mia vita? >>

Domandò il cane tra una rosicchiata e l’altra,  <<  Sempre in giro, senza preoccuparsi di lavorare per mangiare e dormire in posti diversi. Non è forse bello ? >>

Il cane si fece una risata, non credeva alle sue orecchie, un uomo che aveva tutto ciò che voleva, una casa calda, un pasto buono tutte le sere, invidiava la sua insulsa vita.

<< Vedi caro uomo, il vostro problema è il controllo.  Volete controllare ogni cosa vivente e non, avete inventato un sistema come il denaro che vi permette di essere schiavi di altri uomini che a loro volta sono totalmente schiavi del denaro, da non apprezzare più le cose belle della vita. Le cose che mi invidi, potresti averle anche tu e in modo molto più comodo, ma ti manca il coraggio di abbandonare il vostro canone di vita, la vostra “civiltà” >>

Le parole di quel cane lo colpirono come un fulmine a ciel sereno, aveva ragione lui, avevano perso la cognizione del tempo, ci eravamo allontanati dal nostro compito, invece di godere e rispettare Madre Terra, la stavamo distruggendo nell’illusione di controllarla.

Si alzò e continuò per la sua strada, ormai erano diversi minuti che camminava, guardò l’orologio e si accorse che erano passate due ore. Mentre avanzava ancora senza metà si imbatté in una prostituta che aveva davanti un possibile cliente, iniziò ad elencare i suoi servigi al prezzo di pochi soldi.

Ma Davide non sentiva quell’istinto, quelle pulsazioni, aveva voglia di parlare, di sentire la sua storia.

Così anche se non facevano parte dei suoi servizi pagò la prostituta per parlare, andarono in un parco lì vicino e seduti sulla panchina iniziarono a raccontarsi le loro storie.

Si chiamava Patrizia e veniva dall’est, precisamente dal Kosovo,cresciuta in una famiglia normale aveva la passione per il ballo. Prima che scoppiò la guerra, frequentava una scuola di danza, il padre impiegato  in una azienda edilizia, pur tra mille sacrifici, era contento quando vedeva la figlia ballare. Poi vennero i combattimenti e in un attimo cambiò tutto, una bomba fece crollare la sua casa, si salvò solo perché lei in quel momento era in palestra ad allenarsi.

Fu un duro colpo, cosa avrebbe fatto ora che era sola al mondo in un paese che era diventato un polveriera? Si fece convincere da una sua amica a partire per l’Italia dove c’era la possibilità di rifarsi una vita. Così prese tutto quello che gli era rimasto, i risparmi della sua famiglia e si imbarcò in una nave diretta nel Bel Paese. Una parte dei soldi andarono  agli scafisti. Ma le cattive notizie non erano finite, perché una volta arrivati in Italia la sua amica che già era stata lì, la vendette ad un gruppo di albanesi che dopo avergli rubato tutti i soldi rimasti,  la portarono nella città dove si trovava ora e la misero a battere.

Finì la sua storia come finiscono sempre queste brutte storie, con la voce rotta e le parole bagnate dalle lacrime.

Lui l’abbracciò e improvvisamente sentì di parlare, di raccontargli tutto di lui come non aveva ma i fatto con nessuna persona, neanche con i suoi amici o suo fratello.

Gli raccontò dell’infanzia difficile passata a dividere i genitori  mentre litigavano, delle botte e delle volanti di polizia che entravano di continuo in casa sua.

Gli raccontò del sollievo che aveva provato quando il padre era uscito una sera per comprare le sigarette e non era più tornato.

Da quella sera le loro vite, la sua, quella di sua madre e di suo fratello erano cambiate totalmente. Senza quell’uomo tutto era andato bene, lui e suo fratello erano cresciuti, il fratello era diventato un ingegnere  lui animalista convinto stava studiando per diventare veterinario.

Ma la sua fragile vita subì un’altra dura scossa, avvenne una mattina, dopo due giorni di attesa erano arrivati i risultati delle analisi che la mamma si era fatta dopo dei disturbi respiratori che andavano anvanti da due giorni. Le portarono dal medico che, dopo un consulto telefonico con un suo collega, si tolse gli occhiali e li fece sedere:

<< Prego sedetevi>>

<< Allora dottore è grave ?>>

Domandò la mamma guardando la faccia seria del suo medico mentre Davide in silenzio ascoltava preoccupato.

Non gli era piaciuto il tono con cui il dottore li aveva invitati a sedersi, stava sulle spine e temeva in qualcosa di brutto:

<< La situazione è molto grave signori, sarò onesto perché vi conosco da tanto tempo e non voglio darvi false speranze. Sua mamma ha un ematoma molto grosso nei polmoni, un tumore maligno per la precisione, non operabile in quanto si è esteso in entrambi i polmoni, se si era esteso su un solo polmone potevamo estrarlo e lei sarebbe vissuta o perlomeno potevamo tentare di farlo, ma entrambi i polmoni voi capirete che non si possono togliere.  Dobbiamo aspettare un donatore ma le liste sono lunghissime e l’estensione dell’ematoma non ci da tanto tempo. Mi dispiace signora ma lei può avere al massimo sei mesi di vita ancora. Mi scusi per  la brutalità delle parole ma avete il diritto di sapere come sta la situazione.>>

<< Ma come è possibile, come è successo?>>

Si lamentò la madre tra lacrime e colpi di tosse quasi ad evidenziare le parole del dottore. Davide si teneva la testa tra le mani e sentiva il suo mondo crollargli addosso.

Da quella mattina in poi era andato tutto storto, passò il tempo accanto alla madre tra terapie, visite in svariati ospedali da molteplici esperti che emettevano tutti la stessa condanna fino ad una mattina di due anni fa, quando sua mamma si addormentò nel suo letto per non risvegliarsi più, tra le braccia dei suoi due figli.

Rimasero abbracciati ancora per vari minuti, un ragazzo come tanti abbastanza sfortunato ed una prostituta che veniva pagata per la prima volta nella sua triste vita per parlare di se e per ascoltare i dolori degli altri.

Non si capiva bene chi consolava chi, ma sentivano entrambi che quella chiacchierata gli aveva fatto bene. Si salutarono così come si erano incontrati, lei tornò al suo lavoro e saltò dentro una macchina costosissima di un impaziente cliente. Lui guardò l’auto  sfrecciare via e continuò la sua passeggiata verso l’ignoto. Era tardi, tra un’ora circa sarebbe sorto il sole e lui aveva deciso di aspettare il nuovo giorno al mare, in spiaggia. Prese la corriera, salutò il conducente, pagò il biglietto e si sedette vicino al finestrino. Vedeva le sagome sfuocate del paesaggio salutarlo, lui ricambiava il saluto dall’altra parte del finestrino.

Arrivò a destinazione, scese dall’auto e si incamminò verso la spiaggia. Incrociò un fornaio, che a quell’ora stava aprendo bottega. Lo salutò come se lo conoscesse da una vita, il fornaio ricambiò distrattamente il saluto mentre era concentrato nelle sue abituali faccende mattutine.

Raggiunse la spiaggia, si tolse le scarpe e i calzini, sentì il freddo della sabbia, il sole stava sorgendo ma era ancora una piccola parte di sfera lontana all’orizzonte.  All’improvviso, mentre osservava il mare colorarsi piano piano di arancione, vide la sagoma di una donna che all’inizio non riconobbe.

Quando questa figura si avvicinò non ci furono più dubbi per lui, si trattava della mamma.

<< Mamma, mamma, sei tu?>>

Gridò all’improvviso Davide alzandosi in piedi e correndo verso l’acqua,

<< Mamma perché non rispondi ? >>

Ma la mamma, o quella figura che le assomigliava, non rispondeva, rimaneva lì immobile sospesa sopra le onde al largo. Prese una decisione, l’avrebbe raggiunta lui qualsiasi cosa fosse, assomigliava alla madre e lui voleva vederla.

Entrò in acqua con tutti i vestiti e prese a nuotare sempre più forte, ma più nuotava e più quella figura le sembrava lontana. Nuotò con tutte le sue forze ed era abbastanza lontano dalla riva quando perse le forze e si adagiò chiudendo gli occhi sentendo l’acqua entrargli nei polmoni. Non sentiva più il freddo e vedeva la mamma sempre più vicina ora che il corpo scendeva sempre più giù.

Squillò il telefono dentro la casa di un rinomato ingegnere alle 8:07 del mattino. Mentre quest’ultimo, come tutte le mattine, si stava facendo la doccia. Non sveva sentito il fratello rientrare ma non se ne preoccupava, lo avrebbe chiamato dall’ufficio più tardi certo che era rimasto  a dormire da un suo amico. Rispose in fretta ed era incuriosito data l’ora:

<< Pronto?>>

<< Buongiorno qui è la capitaneria di porto, lei è l’ingegnere Walter Bianchi ?>>

<< Si perché ? >>

<< Mi dispiace essere io a darle questa notizia, ma abbiamo trovato qui al porto, il corpo senza vita di un ragazzo impigliato ad una corda, in acqua vicino ad una barca. Secondo i documenti trovati in suo possesso, si tratta di suo fratello, dovrebbe venire qui subito>>

<<  Arrivo subito!>>

Riattaccò il telefono e pianse a lungo.  In un momento di follia, andò  nello stanzino dove teneva i fucili da caccia, ne prese uno e se lo posizionò sotto il mento. Voleva raggiungere suo fratello e sua mamma. Suo figlio di appena due anni sia affacciò e lo guardò negli occhi. Ancora non parlava bene, ma il viso terribilmente somigliante a Davide, disse tutto quello che doveva dire. L’ingegnere posò il fucile nello stanzino, si promise di buttare via tutto e di abbandonare la caccia per sempre. Accarezzò dolcemente suo figlio e lo riportò a letto. Uscì di casa e andò a dare l’ultimo saluto al fratello.

Clementi Simone

Immagini prese da Google Immagini

In radio il nuovo singolo dei Pinguini tattici nucleari: “Ridere”

Che cosa resta della fine di una storia d’amore?

La risposta viene data dai Pinguini Tattici Nucleari all’interno del loro nuovo attesissimo singolo “Ridere”, estratto da “Fuori dall’Hype Ringo Starr”, che dal 17 aprile è in rotazione su tutte le stazioni radiofoniche.

Una ballata nostalgica, malinconica, dalle note dance, che richiama un pizzico di leggerezza e voglia di sorridere nonostante tutto, nonostante la separazione. I ricordi e i bei momenti passati prendono il sopravvento, lasciando da parte quell’amaro in bocca che si tende a trattenere al termine di una relazione. Si ripercorrono mesi di vita trascorsi insieme ricordando tutto ciò che ha accomunato due ragazzi, ciò che li unisce ancora e tutto quello che li terrà legati sempre: i viaggi, le cene, i progetti per un ipotetico futuro e la quotidianità.

A un certo punto della vita due persone si lasciano, ma il cane che hanno adottato insieme continua ad esserci, così come la cronologia delle ricerche fatte insieme su Internet, gli oggetti comprati durante i viaggi, le gag della serie TV sulla quale si rideva insieme fino alle lacrime– racconta Riccardo Zanotti, frontman della band- Ci sono tante cose che testimoniano l’esistenza di una relazione, e con esse la sua importanza, e che tra i singhiozzi… un po’ fanno ridere”.

Non c’è rancore e nè tanto meno risentimento, ma tanta speranza, quella di non dimenticarsi mai!

Testo di Ridere

Ed un po’ mi fa ridere
se penso che ora c’è li un altro che ti uccide i ragni al posto mio
ma ci dovrò convivere
Maledetto cuore che ti sciogli ogni volta che dico addio
mia mamma e la tua fanno
ancora zumba insieme
e a volte forse parlano un po’ male di noi
sai già come finisce
che poi io mi emoziono
e invece tu ti annoi
Però tu fammi una promessa
che un giorno quando sarai persa
ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi
Alle giornate al mare,
a tutte le mie pare
alle cucine che non abbiamo potuto comprare
alle mie guerre perse
alle tue paci finte
a tutte le carezze
che forse erano spinte
Giuro che un po’ mi fa ridere

E ti cantavo Fix You
per farti dormire quando il mondo ti teneva sveglia
Ed ora sono solo un tizio
che se lo incontri dalla strada gli fai un cenno di saluto e via
E non ho voglia di cambiarmi,
uscire a socializzare
per stasera voglio essere una nave in fondo al mare

sei stata come Tiger
non mi mancava niente
e poi dentro mi hai distrutto
perchè mi sono accorto che mi mancava tutto

Però tu fammi una promessa
che un giorno quando sarai persa
ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi
alle giornate al mare
a tutte le mie pare
alle cucine che non abbiamo potuto comprare
lo shampoo all’albicocca
i tuoi capelli in bocca
alla tua testa dura
all’ansia e alla paura
giuro che un po’ mi fa ridere

Però tu fammi una promessa,
che un giorno quando sarai vecchia
racconterai a qualcuno cosa siamo stati noi

Le cene da tua mamma,
la nostra prima canna
la carbonara a Londra quando ci hanno messo la panna
i tuoi occhi, i tuoi nei
che non sono più i miei
ma alla fine ti giuro che lo rifarei
che lo rifarei

“Quando” la musica ruba le parole: l’ultimo singolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

In questi giorni di pandemia, nella testa di ognuno di noi, risuona un’unica e ossessiva domanda: quando?
Quando ne usciremo? Quando potremo riabbracciarci? Quando andremo di nuovo ai concerti? Quando smetteremo di avere paura?
Anche in questo caso, i TARM si sono fatti cantori di un sentimento attuale (come fanno da 25 anni), in collaborazione con Generic Animal (e il suo tocco emerge inconfondibile).

Disegno di Davide Toffolo sulla copertina di TATUAGGIMALE

“Quando” esce martedì 14 aprile, in un giorno che si colloca ben oltre il limite inizialmente prefissato per la fine dell’incubo collettivo, all’indomani di una Pasqua col cuore a pezzi per tutti e appena prima del completamento dei quaranta giorni (che il termine “quarantena” dovrebbe indicare).
Bene (si fa per dire). È passato il primo limite, sono esauriti i 40 giorni, ma ancora non si vede la fine. E allora quando?
Non c’è altra domanda che questa e la musica (che in tutto questo periodo ci ha accompagnati, aiutati e a volte salvati) non fa che darle eco. Quella stesso eco che da settimane rimbomba tra i terrazzi, le piazze e i balconi dove si canta e si suona; nell’audio distorto delle dirette streaming dei musicisti o delle radio domestiche improvvisate; facendoci sentire, a tratti, terribilmente uniti, quasi parte di uno stesso coro, seppur stonato.
Qui di stonato non c’è proprio nulla, anzi: c’è la voce calda di Davide, sulle corde morbide di Enrico e Andrea, tra il ticchettio stringente della batteria di Luca.
I TARM ci sono di nuovo tutti (seppur distanti) e con loro torna la voce femminile di Marcella De Gregoriis, ritrovata dai tempi de “Il mondo prima”.
Ma noi ce lo ricordiamo ancora il mondo prima? Esiste ancora? Possiamo davvero renderci conto di cosa è rimasto e come è diventato? Possiamo tornarci? E quando?
Queste ed altre domande, insieme a nuove speranze, sono contenute nel brano: pieno di suggestioni passate, di sapori attuali e di promesse nuove (con la solita attitudine da “Primitivi del futuro”).

Disegno di Davie Toffolo


“Quando” è una ballata dolce, malinconica ma vitale, timida ma energica, arrabbiata ma discreta, sofferente ma spensierata, gridata ma sottovoce, un po’ come tutto quello che accade in questo assurdo periodo. C’è un nesso forte tra il brano ed il suo tempo e Davide ce lo racconta così: “la canzone è nata su una triangolazione fra lo studio Blich di Gittana, sul lago di Como, dove Enrico Andrea e Meme hanno sviluppato il brano, suggerito da Generic Animal. Poi è successo sta cosa della pandemia e la canzone è nata.
Ho scritto e cantato il pezzo e nello studio di Paolo Baldini a Sanfoca (Pordenone) e la magia ha preso forma.
La canzone, che è un regalo che abbiamo fatto a noi e alla nostra gente, ha mosso tante persone. Mosso, mosso da fermi, una specialità di questi giorni.
Il video è un fan video, un regalo che abbiamo accettato”.

Video di Peris Alati


di

“Sonnambuli”: il nuovo singolo della band Gli occhi degli altri

É uscito da poco il nuovo singolo dal titolo “Sonnambuli” della band Gli occhi degli altri, un inno post adolescenziale che ci fa ripercorrere la strada all’interno dei ricordi. Un brano dalle note rock che ci invita dicendo: “Vieni via con me”! Una ripetizione costante, quasi ipnotica, che ci ha convinti. Siamo andati con loro, ci siamo addentrati nel loro mondo e nella loro musica e li abbiamo incontrati. I loro nomi sono: Alessandro, Pietro, Giorgio e Stefano.

Parlatemi di voi. Perché questo nome così particolare al gruppo: “Gli occhi degli altri”?

Alessandro: Stefano, il cantante, ha studiato filosofia e, dopo una lezione all’università in cui si parlava di questo concetto, ce lo ha proposto durante le prove. Da quel momento ci è piaciuto subito e ci è sembrato un nome giusto per la band. Lo abbiamo trovato interessante proprio perché noi siamo sul palco e quello che abbiamo di fronte e che vediamo sono gli occhi delle persone che ci ascoltano.

Con il nuovo brano “Sonnambuli” cosa volete trasmettere? Qual è il significato più profondo?

Pietro: É uno dei primi brani, scritto successivamente il disco scorso, in cui volevamo imprimere positività, intraprendenza e buoni propositi nei confronti del futuro, sia per volontà di tutta la band e sia per una questione di crescita personale data anche la nostra età compresa tra i 24 e i 26 anni. È un brano di passaggio con il quale siamo passati dall’essere un po’ più aggressivi, più presi male, un po’ più sfoganti nel suonare e nell’esprimerci, al tirare i remi in barca e cercare di prendere coscienza di noi stessi per ciò che siamo oggi, cioè non siamo più adolescenti, ma ragazzi che oltre alla musica stanno intraprendendo percorsi di vita che prevedono maggiori responsabilità.

A: Abbiamo messo via la rabbia adolescenziale che era un po’ fine e sé stessa, per cercare di trasformarla in qualcosa di più utile, di più positivo e di più costruttivo. Sì, c’è della malinconia, c’è della tristezza, ma comunque guarda ad un domani più positivo, rispetto a prima che era un “vedo nero oggi ma anche domani, vado avanti arrabbiato con il mondo”. Questo guardare il futuro con positività lo abbiamo trasmesso sia al testo che ai suoni.

P: Ci siamo concessi la libertà di provare ad usare melodie che non erano presenti nei brani precedenti del disco scorso, come ad esempio quelle che fuoriescono dall’utilizzo dei sintetizzatori.

A chi vi ispirate quando scrivete le vostre canzoni? A me avete fatto pensare, anche se siete leggermente più soft, un po’ ai Blink 182 o ai Finley, diciamo l’alternative rock degli inizi anni 2000.

(ridono)

P: Entrambe le band citate, così come i Green Day, sono passate ai nostri ascolti durante la pre-adolescenza, nel periodo in cui la musica costituiva un grande sfogo, pertanto, guardando la parte positiva del loro percorso, hanno lasciato una certa impronta. Nello specifico, nel pezzo nuovo, non sono stati i riferimenti più espliciti. Hanno sicuramente uno stile che ci si porta dietro di sponda, ma non abbiamo utilizzato dei richiami chiari.

Ho letto che avete condiviso il palco con Marta sui Tubi, Endrigo, band note al pubblico dell’alternative rock. Qual è la prossima band o il prossimo artista con cui vorreste condividere il palco e/o fare una collaborazione?

P: Tutte le volte che ci è capitato di condividere il palco con band conosciute, è sempre stato per circostanze varie e inaspettate. Capitava l’occasione, venivamo chiamati e, il più delle volte, ci veniva detto che avevamo un tempo limitato per poter far vedere chi eravamo e cosa eravamo capaci di fare. L’esperienza meravigliosa che c’è dietro all’aver suonato con gruppi aventi tanta esperienza alle spalle e che fanno musica che noi ascoltiamo e apprezziamo, è data dal fatto di scoprire che sono persone molto umili che hanno a che fare con te in maniera molto semplice. Inoltre è ancora più bello vedere band che hai visto partire insieme ora decollare e andare tanto, come ad esempio gli Endrigo, con i quali noi abbiamo suonato in svariate situazioni. É davvero una bella soddisfazione.

A: Ci piacerebbe puntare a band internazionali.

Quali sono i vostri progetti futuri?

A: Abbiamo un altro singolo già registrato che non sappiamo ancora quando uscirà data la situazione attuale di lockdown. Oltre ai concerti si è fermata la possibilità di girare un videoclip, registrare altri brani in uno studio, ritrovarsi a fare le prove. C’è un attimo di stallo momentaneo che stiamo sfruttando per lavorare ognuno da casa propria e vedremo cosa fare quando ripartirà tutto.

Il vostro brano risulta una ventata di freschezza, data dalla venatura rock, mista a malinconia, considerando che nel testo si parla di qualcuno che non c’è ma che si vorrebbe accanto. Ho interpretato il vostro brano come un accompagnamento nei ricordi che riaffiorano in ognuno di noi, soprattutto in questo periodo un po’ strano e difficile in cui siamo rinchiusi in casa. Non a caso l’inizio della canzone è: “Quanto riesco a stare chiuso in questa casa davanti alla finestra con tutt’altro in testa”, una frase perfetta per il momento che tutta Italia sta attraversando.

A: Tenendo conto che è una canzone scritta due anni fa, registrata un anno fa, senza minimamente sapere cosa sarebbe successo, si potrebbe dire che il periodo “emo” adolescenziale ci ha preparato alla quarantena. (ride) Ma ora basta, guardiamo al positivo.

P: Ci inorgoglisce molto la considerazione. Mi hai ricordato il momento in cui è stato registrato il brano a Milano nel luglio scorso. In quel periodo avevamo affittato un piccolo appartamento, in cui abbiamo vissuto tutti e quattro insieme per una settimana. C’è una circostanza che mi piace ricordare spesso e che mi rimase impressa, riguarda il momento in cui, la sera, eravamo sul balconcino insieme ascoltando un po’ di musica che era venuta fuori in studio come ispirazione rispetto ai suoni che volevamo nelle registrazioni. Era uno dei momenti conviviali dove apprezzavamo il fatto di essere lì come band e come amici. Tutto questo mi è rimasto dentro e credo che buona parte dell’energia che trasmettiamo insieme è dovuta alla convivenza di quella settimana.

Lasciamoci con un augurio!

A: Speriamo finisca tutto presto, così da tornare a fare casino ovunque con la nostra musica.

Supermercati è il primo concept album dei Candreva: l’intervista

Supermercati è il primo concept album dei Candreva, band nata nel 2017 e composta da Nicola Donati e Michele Ciaffarafà. Dopo un’intensa attività live in giro per l’Italia ha riscosso un buon riscontro da pubblico e critica. Il duo nell’ album d’esordio affronta tematiche decisamente attuali, come la mercificazione dei sentimenti e il consumismo impulsivo.

Noi di Indielife li abbiamo intervistati.

Supermercati parla del consumismo dei sentimenti, considerati quasi come una merce. Da dove deriva questa riflessione?

L’album parla di quanto mentiamo a noi stessi e ai nostri bisogni. Racconta di quanto tendiamo a mercificare ed esaltare alcuni nostri sentimenti pur di farci notare in questa socialità 2.0.  Abbiamo difficoltà a relazionarci ormai con le persone in modo naturale e quindi riempiamo questo vuoto emotivo sui social, essendo pronti a “brillare” solo grazie ad uno schermo o mettendo dei “filtri”, parola dal doppio significato approfondiamo nella canzone “Bollicine”.

“Ostriche senza perla” – potete spiegare questa espressione?

La spiegazione in realtà è nel testo di Ostriche, contenuta nell’album: “ti venderò parti di me che cerco tra la gente, ostriche senza perla”. Quella parte è riferita ad alcune persone che mitizziamo o  tra gli amici, in politica, nella cultura pop, perché si impongono e sanno comunicare molto bene, ma che alla fine si rivelano vuote. La prima strofa di Ostriche parla in sostanza di quanto siamo sempre più così insicuri che abbiamo bisogno di illuderci con storie vuote che siano buone per noi e di quanto costruiamo castelli per farci amare dagli altri, ignorando le piccole cose, più concrete e soddisfacenti come poi approfondisco nel ritornello.

Parlando di sonorità, ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate?

Nicola: Da cantante, sono molto pignolo nella scrittura, ricerco ogni termine con precisione quasi compulsiva, individuo sia il significato più adatto, sia l’immagine che potrebbe creare. Personalmente amo tutta la generazione dei cantautori: citando appena due nomi, da De André a Gaber ma apprezzo molto anche alcune soluzioni date da autori più contemporanei come Bluvertigo, i Cani o i Baustelle.

Michele: Per quanto mi riguarda è  difficile dire quali sono gli artisti (o gli album) a cui mi sono ispirato durante la scrittura di Supermercati. Probabilmente si tratta di varie influenze musicali. Posso quindi dirvi qualche artista che mi ha influenzato piuttosto che ispirato. Artisti come Battiato, MGMT, Moderat, Daft Punk sono solo alcuni degli artisti che hanno segnato i miei gusti musicali.

Qual è il vostro punto di vista riguardo l’uso dei social per promuovere la propria musica, specialmente in questo momento di difficoltà?

Nicola: La situazione critica e il virus ci hanno messo davanti ad uno specchio e hanno decisamente amplificato questa lontananza emotiva di cui accennavamo prima, ma è solo un evoluzione di una tendenza già sviluppata. Se possiamo imparare qualcosa da tutto questo è una nuova consapevolezza di alcuni modelli comunicativi che abbiamo.

  Credo che sia bello che gli artisti facciano sentire la propria voce, anche noi stiamo preparando alcune piccole cose che usciranno nella metà di Aprile. Però comunque credo che ci sia bisogno di elaborare questo evento storicamente senza precedenti e fare i conti con se stessi.

Un traguardo nella carriera musicale a cui puntate?

Per quanto ci riguarda il nostro traguardo più bello è arrivare alle persone. Ti racconto un aneddoto: un anno fa siamo andati a suonare in Basilicata, in apertura a Willie Peyote. Pioveva ma nonostante questo il pubblico era più numeroso di quanto avessimo immaginato. Inoltre dopo aver macinato tanti kilometri eravamo molto tesi e stanchi. Ma poi vedere dal palco la gente che cantava l’unico brano uscito al momento, ci ha dato tanta energia e una gratificazione impagabile. Questo è uno dei nostri concetti di traguardo e un’idea che può farci capire quali per noi potrebbero essere quelli futuri. Purtroppo alcune date programmate sono saltate, ma non vediamo l’ora di tornare nel nostro spazio preferito: il live!

Grazie ragazzi! A presto!

Ciao, grazie te!

Instagram: @suonocandreva

Ora che ti guardo bene, a sorpresa il nuovo singolo di Gazzelle

In questi tempi buii Gazzelle ci regala uno spiraglio di luce musicale: “Ora che ti guardo bene” è il suo nuovo singolo uscito in questa giornata di metà aprile, già disponibile su tutte le piattaforme per Maciste Dischi e Artist First.

“L’ho scritta qui a casa in questi giorni tristi e prodotta a distanza insieme a Federico Nardelli”, scrive il cantautore romano, al secolo Flavio Pardini, lanciando un augurio: “È una canzone che spero vi faccia bene”. 

Gazzelle – Ora che ti guardo bene Lyrics | Genius Lyrics
Cover di “Ora che ti guardo bene”

Tutti i proventi della canzone andranno in beneficenza. “Ho deciso insieme alla mia squadra – scrive Gazzelle –  di devolvere tutti i proventi all’ospedale Spallanzani di Roma per fare bene anche e soprattutto a chi sta soffrendo”.

Una ballad dal sapore mattutino, un testo che assoimiglia ad uno sogno scritto appena svegli senza pensare troppo ai nessi causali. Una riflessione lenta sull’amore, chiuso nel suo nido, tra simili che si prendono. Una parentesi musicale, una finestra sull’amore ritrovato nella quotidianità ma con la consapevolezza che primo o poi la luna di miele finirà.

Facendo il verso a Vasco cantiamo insieme “na na na” e conosciamo un nuovo lato di Gazzelle, anche se non siamo abituati a testi positivo, ma a testi emo e deprimenti, ascoltati per con-patire le sofferenze dell’amore.

Il testo di Ora che ti guardo bene

Ti ricordi com’è che si fa
Vita mescolata insieme e poi divisa di nuovo a metà
Mentre corriamo in queste stanze, sta casa è così grande
Ma che lavoro fa il tuo papà
Mi piacerebbe andare sulla Luna
E portiamo un sacco a pelo
E rimaniamo là
Mentre sul mondo piove forte
Suoniamo il pianoforte
Cantiamo insieme na na na
Ora che ti guardo bene
Sembri proprio come me
E non so se è un male o un bene, ma sto meglio insieme a te
E ti ricordi che sapore ha
Quel bacio dato sotto casa mentre ridevi
Mentre la luce di un lampione, illuminava un fiore
C’è un gatto col tuo nome, miao, dove va
Ti piacerebbe stare sotto al sole, sdraiati in un balcone
Rimaniamo là
Mentre la strada brucia male
Non ti farò del male, giuro
Mai mai mai
Ora che ti guardo bene
Sembri proprio come me
E non so se è un male o un bene, ma sto meglio insieme a te
Ora che ti guardo bene
Sembri proprio come me
E non so se è un male o un bene, ma sto meglio insieme a te
Cantiamo insieme na na na
Cantiamo insieme na na na

Leggi anche la recensione di Post Punk di Gazzelle

L’UOMO CHE PARLAVA AGLI ELEFANTI

Un uomo che ama la natura, un ambientalista con una grande e difficile idea. Un libro insolito che ti porta in un mondo lontano dalle nostre quotidiane abitudini. Un’immensa riserva di caccia in Sudafrica da trasformare in un parco naturale. Sullo sfondo, un branco di elefanti “Difficili” comprati dallo stesso uomo che sogna un mondo diverso.

LAWRENCE ANTHONY

L’awrence Anthony era un ambientalista, un amante degli animali e della natura. È stato il fondatore dell’Earth Organization ed autore di tre libri. Nativo del Sud Africa, ha trascorso gran parte della sua vita cercando di salvare la maggior parte degli animali selvatici perseguitati dall’uomo e dalle guerre da esso scatenate. Divenne una vera e propria leggenda nel Sud Africa, soprattutto quando a metà degli anni ‘90, comprò una grande riserva di caccia e la fece diventare un grande parco naturale. Famose furono anche le sue gesta diplomatiche sia in patria che fuori dal continente. In Africa convinse molte tribù locali a non abbattere gli animali in via d’estinzione, come i rinoceronti. A Baghdad riuscì, in piena Guerra del Golfo, a collaborare sia con i militari statunitensi che con le milizie repubblicane irachene per salvare tutti gli animali superstiti nello zoo. Fece scalpore la collaborazione tra militari per salvare gli animali, gli stessi militari che nel resto del paese si consideravano nemici. Durante la veglia funebre, molti dei suoi amati elefanti percorsero numerosi chilometri per salutare il loro amico umano.

LA TRAMA:

La storia di questo libro, divenuto subito un bestseller, inizia dal coraggio di raggiungere un sogno. Come quasi tutti i sogni, anche quello dell’autore, è un obbiettivo difficile da raggiungere. Ci vuole tenacia, forza di volontà e grande carattere. Quella che divenne la riserva naturale Zhula Zhula, nel cuore dello Zululand, era una terra di caccia priva di molte specie di animali selvatici. Lì dove un tempo vivevano milioni di Elefanti, quando fu acquistata nel 1998 dall’autore, non c’era nemmeno un esemplare vivente. I primi elefanti selvatici che molte tribù zulù videro, furono quelli acquistati da Lawrence che portò, nella sua riserva, un branco molto difficile e destinato all’abbattimento. Gli animali erano fortemente traumatizzati e non riuscivano ad ambientarsi in nessun modo. Crearono subito numerosi problemi al tenace Lawrence che comprese immediatamente la gravità della situazione e la difficoltà estrema del compito che si era prefissato. Riuscirono in più casi a scappare dai recinti di legno ed il loro carattere aggressivo e diffidente mise a dura prova il loro amorevole proprietario. Ma l’Autore non si diede per vinto e tentò il tutto per tutto, rischiando la sua stessa vita. Decise di accamparsi tutte le notti vicino al loro recinto, così da trasmettergli tutto l’amore e l’affetto che questi animali avevano bisogno. Col tempo nasce un profondo rapporto tra lui e gli animali che si ambientano e si affezionano al loro proprietario. Riesce infine a liberarli donandogli la loro meritata libertà. Ogni giorno li vide bussare sulla sua finestra con la proboscite ed ogni volta che lui fece un viaggio, lo aspettarono all’entrata della riserva per salutarlo.

RIFLESSIONE PERSONALE:

L’amore ha molte facce e sceglie strade a volte difficili, questo libro evidenzia come può nascere un sentimento profondo tra esseri apparentemente diversi in tutto. Un uomo solo contro un branco di animali selvatici che, in realtà, chiedevano solo di essere amati e capiti. Pagina dopo pagina, percorriamo la difficile salita che quest’uomo coraggioso ha deciso di affrontare e vincere. La natura selvaggia ed incontaminata fa da sfondo ad un quadro perfetto dove, seppur con le dovute differenze e problemi, uomo e natura convivono perfettamente. La libertà in questo libro ha il sapore selvaggio dell’Africa, è calda come il sole cocente di quelle terre e ha il suono dei barriti di un branco di elefanti possenti, testardi e dolcissimi.

Immagini prese da Google immagini

Clementi Simone

CASA DI CARTA, FONDAMENTA DI CARTA

Ai posteri l’ardua sentenza

Ho scelto di chiedere in prestito le parole del poeta per questo articolo poiché la mia intenzione non è affatto dare un giudizio sulla “La casa di carta”, che anche se velato va inteso come assolutamente personale e non professionale dunque facilmente non condivisibile, solo mi interesserebbe stimolare qualche riflessione in merito a questa serie dal successo planetario.

Premesse

Premettendo che seguo le avventure del Professore e la sua banda fin dalla prima serie, devo ammettere che la quarta, attesissima stagione, è stata la coronazione di un presentimento che ha avuto inizio già durante la terza stagione: il fuoco si è spento, Dalì si è annoiato di dipingere.

Andiamo però con ordine, quale è stata la scintilla che questo fuoco ha fatto accendere? Come nasce il successo di una serie che parla fondamentalmente di rapinatori estremamente umani e al col tempo idealizzati? In questo senso credo che le prime due stagioni siano state il frutto di un lungo percorso, sopratutto immaginativo, che sia poi sfociato in Netflix. La trama è ricca, i personaggi interessanti, ognuno a suo modo, e le loro vicende accattivanti.

Nello svolgere della narrazione si susseguono colpi di scena e suspance, ogni puntata scorre tenendoti con il fiato sospeso, suscitando simpatia ed empatia verso quel gruppo di banditi così simili a ognuno di noi per paure, passioni, amori e debolezze. Senza disdegnare comunque qualche piacevole ammiccamento idealistico (Partito politico a parte sfido chiunque a non aver cantato Bella Ciao durante l’immolazione di Berlino).

La seconda stagione finisce dunque in trionfo, lasciando quel giusto retrogusto amaro che non guasta. Un bel fuoco con discreto calore, e abbastanza luce, molto più delle aspettative essendo fatto di carta, appunto. Evidentemente però non è bastato.

Dalì butta via il pennello

La terza stagione è partita con delle prospettive abbastanza interessanti: un nuovo colpo per salvare Rio, il compagno ostaggio della parte più oscura della giustizia spagnola. Un ambizioso piano di Berlino, che rivive in vari flashback e in qualche modo nel personaggio di Palermo. E non meno importante la banda che si riunisce dopo qualche tempo ambendo ancora più in alto; rubare l’oro della Banca di Spagna. Peccato che le prospettive sia rimaste tali, diventando di fatto il perno su cui ruotano tre stagioni (la quinta infatti è già stata annunciata).

Riproporre lo stesso identico modello, in maniera statica e francamente poco rifinita, delle prime due stagioni, non si è rivelata una buona idea. Ne è uscita una serie ibrida tra una copia di Tomb Rider e una telenovelas di secondo genere. I personaggi sono rimasti pressoché identici, nei loro ruoli e nel loro modo di essere. Tranne il professore innamorato, a cui sono stati sottratti fascino e intelligenza che lo contraddistinguevano. Una scelta discutibile. In quarantacinque minuti scarsi oscilliamo tra una sparatoria evitabile a una sviolinata dopo l’altra, più qualche flashback per tenere buoni i nostalgici. Ci si aspettavamo molto di più.

Ciò che però più mi ha deluso è stata la volontà di stupire e appassionare non con la trama come era stata nelle prime due stagioni, bensì con il budget. Elicotteri che volano quasi senza senso, location tra le più disparate, effetti speciali proposti e riproposti fino alla nausea. Tutto questo i personaggi appaiono più interessati a risolvere i loro problemi amorosi che il resto.

E’ inutile cercare di nascondere che dietro una serie di così grande successo c’è un flusso economico importante, e che il Professore e banda possono essere spremuti come galline dalle uova d’oro, ma che fine ha fatto Bella Ciao? Perché inquadrare Marsiglia e Professore oltrepassare i mulini a vento della Mancia? Non mi infervoro esigendo rispetto, ma consiglio almeno, se mi è concesso, un po’ di pudore.

Detto questo ribadisco che consiglio a tutti, se interessati, di guardarlo e farsi la propria opinione, a prescindere da un articolo magari troppo pretenzioso e idealista. Mi sia consentito un’ultimo, azzardato, parallelismo con il colosso della poesia inglese Alfred Tennyson che scrisse ” meglio amare e aver sofferto, che non aver mai amato”. Ecco allo stesso modo mi sento di dire, meglio due serie buone e il resto da buttare, che tutto da buttare.

ANDREA E LEVANTE

Vagava per il piccolo paese di montagna, come sua abitudine, nelle ore pomeridiane in un giorno d’estate di fine luglio. Da sempre le verdi montagne che circondavano il piccolo paese erano la sua casa, ormai lo avevano adottato. Lo conoscevano tutti e molti paesani avevano provato invano ad adottarlo per portarlo a casa, ma lui fin da cucciolo era sempre scappato preferendo la libertà alla compagnia degli esseri umani. Di tanto in tanto, si concedeva una passeggiata per il piccolo paese alla ricerca di un pasto sicuro o di una carezza, ma subito dopo spariva nel verde delle montagne. Grazie alla sua voglia di libertà, in tutto il paese lo conoscevano con il nome di Levante perché proprio come il vento viaggiava libero e solitario. Era nato da un incrocio tra un pastore tedesco femmina, scappato ad un contadino in una notte mentre era in calore, e un lupo che scendendo dalle montagne, si accoppiò con la femmina di pastore. La femmina dal nome di Zara, tornò dal suo padrone dopo tre giorni di vagabondaggio. Dopo alcuni mesi di gestazione, diede alla luce quattro cuccioli. Tre femmine e un solo maschio. Le tre femmine assomigliavano in tutto e per tutto alla madre, con una bellissima pelliccia marrone e un carattere docile e servizievole, fedele al loro padrone . Il cucciolo maschio, al contrario, era totalmente differente dalla madre e dalle sue sorelle. Aveva una folta e lucida pelliccia nera, un carattere schivo e ribelle. Non ubbidiva quasi mai agli ordini né della madre né del suo padrone. Amava vagabondare e scoprire sempre posti nuovi e per questo aveva l’inclinazione a scappare di continuo dal recinto costruito dall’uomo. Un giorno, quando fu abbastanza grande da non avere più bisogno della madre per procurarsi il cibo, scappò nella notte con l’aiuto delle tenebre e si diresse su per le montagne che divennero la sua nuova casa. Il contadino lo cercò per due giorni e due notti intere senza successo, il terzo giorno decise di non cercarlo più. Gli diede il nome di Levante e gli regalò la tanto amata libertà, da allora vaga per le montagne in cerca di cibo affacciandosi ogni tanto in paese.

Quel giorno di fine luglio, Levante, si trovava a passeggiare per le vie del paese, tre le vecchie case, la piccola chiesa e il municipio dove aveva sede il comune. In giro non c’era nessuno, a quell’ora gran parte della cittadinanza formata quasi esclusivamente da persone anziane, si rintanava nelle proprie case per riposarsi e godersi un po’ di fresco lontano dal sole cocente dell’estate. Levante proseguì indisturbato la sua passeggiata per il paese, raggiunse il parco giochi, dove i bambini amavano ritrovarsi e giocare sotto gli occhi attenti delle mamme che, tornando dal lavoro, si fermavano di tanto in tanto per chiacchierare. A quell’ora era deserto, il sole caldo rendeva l’aria molto arida e non adatta per i giochi all’aperto. Da lì a tre ore si sarebbe riempito ed avrebbe visto e sentito molte risate e molti bambini giocare felici. Levante amava i bambini e di tanto in tanto gli piaceva nascondersi tra le foglie ed osservarli giocare, ma non amava farsi vedere da loro, gli voleva bene certo, ma avevano la brutta abitudine di tirargli la pelliccia, salire sulla schiena e cavalcarlo con ripetuti calci nello stomaco. Mentre attraversava il parco, diretto alla scorciatoia che lo portava direttamente sulla montagna dove si trovava la sua tana, passò vicino alla giostre ed intraprese il sentiero lì vicino quando sentì delle strane lamentele che non aveva mai udito prima d’ora. Pensò che fosse una preda ferita e subito tornò indietro nella speranza di procurarsi un buon pranzo, ma appena raggiunse le panchine, vicino alle giostre nella parte posteriore del parco, la sua speranza venne spazzata via dall’immagine di un ragazzo. Seduto tutto solo su una panchina, stava piangendo. Il suo primo pensiero fu quello di andarsene e lasciare il ragazzo al suo destino, ma il suo cuore protestò.

È vero che l’essere umano è un animale cattivo e che molti di loro, provenienti dai paesi vicini, salivano sulle montagne per cacciarlo o per inquinare tutto il verde che c’era intorno, ma gli abitanti di quel paese erano stati sempre buoni con lui e rispettavano sempre le montagne e il verde circostante. Cercavano di non inquinare, di pulire la sporcizia lasciata dagli altri e di difendere gli animali che abitavano sulle montagne. Si fece coraggio, ricordandosi tutte le buone azioni che avevano fatto tante volte per salvarlo. Raggiunse il ragazzo, non era pratico dell’età che avevano gli umani ma dopo anni vissuti vicino a loro, aveva imparato che nel corso della vita attraversavano tre fasi; la prima quando erano cuccioli e vivevano sempre e costantemente vicino alle loro mamme, la seconda che iniziavano a crescere e a staccarsi dalle loro madri e la terza quando erano completamente adulti e vivevano da soli come aveva fatto lui. Quel ragazzo, a giudicare dal fisico, doveva stare nel pieno della seconda fase perché non era più un cucciolo ma non era ancora abbastanza grande da definirlo adulto. Si avvicinò piano per non spaventarlo, era conosciuto in tutto il paese, ma sapeva che la visione improvvisa di un lupo nero che camminava verso di lui, poteva agitare non poco quel ragazzo. Quando fu molto vicino, il ragazzo alzò la testa, portava una maglietta azzurra e un pantalone blu con scarpe da ginnastica ai piedi, un abbigliamento normale per un ragazzo, simile a tanti altri abbigliamenti che aveva visto addosso ad altri umani. La cosa che lo colpì furono quegli strani oggetti neri che gli oscuravano gli occhi, impedendo agli altri di vederli. Non aveva mai visto ad altri umani quegli oggetti come non aveva mai visto neanche quel ragazzo. Mentre Levante lo stava studiando, il ragazzo dopo aver girato un po’ di volte la testa in entrambe le direzioni, esordì con una frase che stupì non poco il lupo.

<< C’è qualcuno? So che stai davanti a me, ti sento, sento il tuo respiro e gli spostamenti d’aria che fai quando ti muovi. Se vuoi presentarti e dirmi chi sei, sarò felice di farlo anch’io, se sei venuto per prendermi in giro puoi anche andartene >>

Levante rimase qualche minuto in silenzio, stupito da quella strana presentazione, sembrava che non lo vedeva eppure stava davanti a lui, cercò comunque di presentarsi.

<< Ciao, sono Levante, il cane lupo che vive vicino al paese, non mi riconosci ? >>

<< Sì, lo conosco Levante, ma tu sei solo un altro che vuole prendermi in giro, i cani non parlano>>

<< Credimi, sono io Levante, se ti togli quegli strani oggetti da davanti agli occhi, mi potrai vedere>>

<< Si chiamano occhiali e anche se me li togliessi non cambierebbe nulla, sono un non vedente dalla nascita, ai miei occhi manca una parte importante che si chiama pupilla. Gli occhiali li porto per far notare alle altre persone che ho problemi di vista. >>

<< Scusa, non lo sapevo, comunque se allunghi una mano proprio davanti a te potrai toccarmi e accarezzare la mia pelliccia >> il ragazzo allungò la sua mano e accarezzò dolcemente la schiena di Levante, lo tastò lungo i fianchi e sul muso. Levante rimase fermo, facendosi fare tutto quello che il ragazzo voleva fare, aveva capito che quel ragazzo aveva imparato a guardare con le mani e in quel momento lo stava conoscendo. Smise di toccarlo e un grande sorriso gli si disegnò sul suo volto, Levante ne fu contento, aveva smesso di piangere. Il ragazzo proseguì il suo discorso, adesso poteva presentarsi.

<< È vero, sei proprio Levante, mi avevano parlato di te me è la prima volta che ti incontro. Scusami per prima, ma ormai sembra diventata un’ abitudine quella di prendere in giro le persone in difficoltà come me. Comunque piacere io mi chiamo Andrea, sono nato in una città lontana che si chiama Lucca, sono venuto qui ad abitare da mio nonno. Prima vivevo con i miei genitori, ma purtroppo sono morti e sono venuto qui dal nonno. >>

<< Per questo stavi piangendo poco fa ? >> chiese Levante intristito ed incuriosito al tempo stesso.

<< Si ma non solo per quello. Piango perché sento molte persone vicino a me che mi dicono guarda quanto è bello quello, guarda che bello quest’altro. Ma io non vedo nulla e così non riesco mai a capire cosa significa veramente la parola bellezza. Non so com’è fatto un oggetto o una persona bella. Capisci ? Morirò senza apprezzare le cose belle, perché nessuno mi ha mai insegnato come poterle vedere alla mia maniera. Perfino mio nonno, che mi vuole bene, tutte le volte che provo a chiedergli qualcosa mi risponde sempre che è indaffarato e non ha tempo per me >>. Finì la frase e ricominciò a piangere, Levante decise che avrebbe fatto qualcosa per quel ragazzo ed aveva già un’idea per realizzare finalmente il suo sogno.

<< Non preoccuparti Andrea, adesso ti aiuterò io e ti farò vedere cosa vuol dire bellezza. Ti fidi di me ? >>

<< Si, sento che di te posso fidarmi. Ma come farai a farmi vedere le cose belle ? >> chiese incuriosito Andrea, aveva smesso di piangere e gli era tornato nuovamente il sorriso.

<< Non preoccuparti, vieni con me, ci divertiremo! >> . Andrea fiducioso scese dalla panchina, si mise di fianco a Levante e con una mano sulla sua schiena, lo seguiva piano un passo alla volta. Presero il sentiero dietro al parco, camminarono lungo il fianco della montagna ed uscirono dal paese. Andrea iniziava a sentire profumi nuovi, sentiva l’aria più leggera, voleva chiedere a Levante dove fossero diretti, la curiosità lo stava divorando ma non volle dirgli niente. Amava le sorprese.

<< Vedi Andrea, la bellezza non è nient’altro che un mondo pieno di sapori e sfumature diverse. Esistono molti tipi di bellezza, io te ne mostrerò alcune che sarai in grado di apprezzare anche tu che non puoi vedere. La prima si trova qui vicino. >> Scesero lungo il sentiero, superarono una montagna e avanzarono verso una piccola vallata piena di vegetazione e di fiori profumati. Si fermarono ed Andrea, mentre si sedeva sull’erba e si chinava per sentire gli odori dei fiori, chiese al lupo dove si trovassero. Levante si accucciò vicino a lui e gli descrisse la vallata che li circondava.

<< Ci troviamo in una piccola vallata vicino al paese. Intorno a noi ci sono le grandi montagne con sopra la neve perenne. Qui, dove ci siamo seduti, c’è un grande prato verde con tanti fiori dai mille colori diversi e profumi buonissimi. Qui vengono molti animali a brucare l’erba fresca. Lepri, camosci e pecore. Lo senti questo verso strano ? >>

Andrea alzò la testa d’istinto verso la direzione da dove proveniva quel rumore.

<< Si lo sento, cos’è ? >>

<< È l’aquila, che vola sopra di noi >> Andrea non credeva ai suoi sensi, a quello che stava sentendo, agli odori che percepiva e a quello che le sue mani toccavano. Stava conoscendo le varie facce della bellezza.

<< Non so come ringraziarti Levante, grazie a te sto capendo cosa vuol dire bellezza>>.

<< Non ringraziarmi, non abbiamo ancora finito. Vieni, ti porto in un posto qui vicino ancora più bello >>.

Arrivarono, dopo pochi minuti di camminata, sulle rive di un piccolo ruscello che nasceva da un montagna e scendeva giù a valle lungo il crinale, formando un piccola cascata. Andrea sentì il rumore dell’acqua che scendeva dalle pareti, incuriosito chiese a Levante cosa ci fosse davanti a loro e dove lo avesse portato questa volta.

<< Davanti a noi c’è un piccolo fiumiciattolo che, scendendo giù dalla montagna, crea una spettacolare cascata. >>

<< Allora quello se sento è l’acqua che scende e sbatte sulla montagna ? >>

<< Esatto >> .

<< Ma è fantastico! Posso avvicinarmi e toccare l’acqua ? >>

<< Certo vieni, ti guido io, accucciati davanti c’è il fiume dove potrai immergere le tue mani e bere se hai sete. Quest’acqua è purissima >>

Andrea si chinò sotto le indicazioni di Levante e si portò alla bocca un sorso d’acqua raccolto con le mani. Assaporò il suo dolce sapore e si lavò il viso. Levante ne approfittò e bevve anche lui, poi guidò Andrea verso il prato, si misero nuovamente seduti e si riposarono per alcuni minuti.

<< Levante, ci sono altre cose belle come questa che posso vedere anche io ? >>

<< Certo, vieni con me >>. Si alzarono entrambi e il lupo guidò Andrea verso un albero di mele poco distante.

<< Questo è un albero di frutti, se alzi le mani troverai i suoi rami e appesi troverai i suoi frutti dalla forma rotonda. Staccane uno e assaggialo. Questa è un’altra cosa che non solo è bella ma è anche buona. >>

Andrea staccò il frutto e lo assaggiò, riconobbe subito dal suo sapore di che frutto si trattasse, l’aveva mangiato anche in città, quando viveva con i suoi genitori.

<< Queste le conosco, si chiamano mele, mia mamma me le faceva mangiare sempre. Ma non erano buone come queste. >> Risero entrambi .

<< Si è fatto tardi Andrea, dobbiamo tornare in paese. Tuo nonno sarà preoccupato>>

<< Hai ragione, a quest’ora torna dalla terra che sta coltivando e se non mi trova in casa si preoccupa.>> Si avviarono verso il sentiero e lo percorsero insieme uno accanto all’altro. Arrivarono nel parco giochi dove si erano incontrati, altri bambini stavano giocando. Andrea venne chiamato da una signora che lo riconobbe, abitava vicino alla casa di suo nonno. Lui riconobbe la sua voce e la chiamò per nome dirigendosi verso di lei.

<< Barbara, come stai ? >>

<< Andrea, cosa ci fai qui? Tuo nonno è tanto preoccupato, vieni che ti riaccompagno a casa >>

<< Aspetta Barbara, prima devo salutare Levante >>

<< Levante ? Ma chi il cane lupo ? >>

<< Si proprio lui, mi ha portato in giro e mi ha fatto conoscere molte cose belle. >>

<< Andrea ma lì non c’è nessuno e poi Levante è morto anni fa. Lo trovò morto mio marito e lo seppellì in una valle qui vicino proprio sotto ad un albero di mele >>

<< Ma come è possibile? L’ho accarezzato, sono andato in giro insieme a lui per tutto il pomeriggio. >>

<< Lo avrai immaginato e sarai andato in giro da solo. Quante volte dobbiamo dirti di non passeggiare da solo ? Anche se hai il bastone per guidarti, ancora non conosci il posto e puoi perderti proprio come hai fatto oggi. Vieni che ti porto a casa. >>

Andrea ancora incredulo allungo la mano cercando quella di Barbara ma trovo la pancia. La toccò e sentì un colpo provenire dal suo interno. Colto alla sprovvista ritirò la mano.

<< Barbara cos’hai dentro la pancia? Ho sentito qualcosa >>

<< Niente Andrea, aspetto un bambino. Si è solo mosso ed ha scalciato. >>

<< Posso sentirlo di nuovo? >> chiese timidamente Andrea affascinato dalla scoperta che aveva appena fatto.

<< Certo che puoi toccarlo, sempre delicatamente, mi raccomando >> Andrea allungò di nuovo la mano ancora una volta verso la pancia di Barbara e sentì il bambino che si muoveva al suo interno.

<< È una cosa bellissima vero ? >>

<< Certo Andrea, è la cosa più bella del mondo. >>

Andrea prese la mano di Barbara, si voltò ancora una volta verso le piante dove aveva incontrato Levante, non lo vedeva ma sapeva che stava lì per proteggere tutti gli abitanti del paese. Lo salutò sicuro che lui avrebbe ricambiato il suo saluto e forse si sarebbero incontrati ancora una volta per un’altra gita.

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Clementi Simone