Maestro Pellegrini, un essere umano di professione – Intervista

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“Fragile” non è solo un progetto discografico autentico e vario nelle sonorità; è un punto d’accordo tra storie che erano e storie che non sono ancora accadute. “Fragile” è la narrazione della vulnerabilità adamantina, una storia raccontata sapientemente da Maestro Pellegrini, un’epopea divisa in Vol.1 e Vol.2. Si tratta di due racconti che si apprestano a essere pietre miliari della musica indie-rock italiana.

Che poi, il genere musicale diventa quasi irrilevante. A volte bisogna ascoltare e basta.

Dunque, “Fragile” è un percorso di formazione di un antieroe che impara da ogni errore, proprio o degli altri.

Maestro Pellegrini, un musicista, un essere umano di professione, un’anima che canta “Fragile” si è raccontato a noi di Indielife.

Maestro Pellegrini, mi racconta un aneddoto della sua carriera?

Un aneddoto abbastanza intimo. Circa dieci anni fa io studiavo contrabbasso in una scuola di musica jazz e Francesco Motta studiava pianoforte da mio padre, che insegnava in quella scuola. Io volevo fare musica nella mia vita ma era tutto molto sospeso. Quell’anno andai al saggio di musica e vidi questo personaggio che sembrava essere mio fratello. Ride. Sembravamo divisi alla nascita. Ma forse perché eravamo un po’ fuori contesto, a vent’anni in una scuola di jazz. Ci incontrammo, io timidissimo, lui molto espansivo. Ci prendemmo una pizza e così sono nati quelli che sono stati i primi Criminal Jokers e poi la mia vita ha preso la piega che ha adesso, appunto.

Qual è il suo accordo preferito?

Ah bello. Gli accordi a quattro note sono più belli di quelli a tre note. Sceglierei un accordo diminuito. Senza tonica.

Un po’ drammatico, no?

Un po’ drammatico, sì, sarebbe un accordo di dominante senza la tonica. Addirittura gli accordi diminuiti sono stati definiti nella storia anche gli accordi del mal, con connotazioni diaboliche. Ma aiutano molto nella scrittura, personalmente mi consentono di sviluppare strade nuove e di non cascare sempre sulla dominante.

A volte ti capisco. Il brano parla dell’incomunicabilità ed è un po’ drammatico anche nelle sonorità. Com’è nato questo brano?

Il brano l’ho scritto un paio di anni fa e come gli altri del disco, l’ho scritto pianoforte e voce. All’inizio sembrava un brano molto diverso, quasi un brano di Piero Ciampi. Ci sono tanti passaggi su accordi diminuiti, che nella musica moderna non si usano quasi più. Poi però è stato l’ultimo che abbiamo prodotto, proprio perché non sapevamo come approcciarci a qual brano. In seguito ha assunto una connotazione completamente diversa dal punto di vista della produzione, come si può sentire.

Per quanto riguarda il significato, purtroppo parla di una storia che per me è stata molto triste, con una persona con cui c’è stata una relazione di quattro anni e con la quale non c’è stata una condivisione vera e profonda, forse per la troppa paura. È un brano che rappresenta la volontà di prendere in mano la propria vita e capire che si devono affrontare i problemi. A volte è la strada più complicata che porta a stare meglio. Se ci si accontenta sempre, non cambia mai nulla.

Chiudiamo con una domanda improvvista. Circa un anno fa ho incontrato Appino e Ufo, quindi intervistare il Maestro Pellegrini oggi per me è un onore. Allora, mi racconta com’è collaborare con gli Zen Circus?

Sì, allora, io collaboro con gli Zen, mi definiscono il fratello minore. In parte è così: gli Zen sono una famiglia, anche col pubblico; io per loro sono stato una serie di figure: sono stato un fan, un backliner, sono stato il chitarrista del gruppo che apriva i loro concerti, coi Criminal Jockers. Poi siamo diventati amici, c’è stata condivisione. Loro mi hanno visto crescere, sono state le mie figure di riferimento. Quando ho intrapreso il mio percorso, non c’è stata alcuna resistenza, anzi: è sembrato come un padre che vedeva il figlio andare via di casa. Un po’ se l’aspettavano. Per me sono persone importantissime.

Grazie!

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