In “Guerra” al fianco di Frambo

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Frambo ha la stoffa del campione, e te ne rendi conto appena parte “Guerra”, il suo primo singolo per La Clinica Dischi. E un po’, ti viene anche da invidiarlo, dopo aver letto la sua anagrafica: diciott’anni appena compiuti che ti fanno pensare a quanto tempo tu, anonimo e pigrissimo – almeno quanto me – ascoltatore, hai buttato via dalla finestra. 

Sia chiaro, quello che fa Frambo per la gente della mia età (i 25 già pesano, di fronte a proposte musicali come questa) è neologismo musicale, avanguardia pop; un nuovo modo di interpretare sé stessi, una fonetica geneticamente modificata (ma li sentite gli Psicologi, come cianciugano – scorie dialettali liguri – tutte le parole?!), un’estetica più glamour, più pulp, già cult nel suo essere espressione patinata di un disagio fortemente punk. E’ un punk diverso, d’accordo, che i 25enni come me (impegnati, in qualche modo, a voler definire punk il Vasco Brondi di allora, il primo Stato Sociale o gli albori dell’Officina) forse non riescono ancora a cogliere e comprendere fino in fondo, ma che non per questo possono cassare a priori: non inciampiamo nel rischio di diventare già ora i padri che, nel silenzio delle nostre trincee adolescenziali, abbiamo combattuto e ancora combattiamo. 

“Guerra” è un brano ben scritto, figlio di una gioventù che sembra proiettata verso il futuro: tutta la produzione, sapientemente intrecciata dalle mani esperte di ELLE, suona come un carillon digitale; in un girotondo di colori e riferimenti, Frambo saltella da strofa a ritornello giocando a campana con un flow affascinante che ricorda l’hip hop ma trascende nel melodico (con echi che vanno da De Leo a Calcutta, passando per il santissimo Mac Demarco), grazie ad un timbro che – finalmente! – riesce a lasciare il segno. Frambo ha identità, e a quanto pare possiede nel mezzo vocale (oltreché nell’eleganza di scrittura) la cifra specifica di un’identità già prepotente, nel suo volersi mostrare.

Frambo è il nuovo che avanza, “Guerra” è il primo vagito di un cucciolo già uomo e che presto – ne sono certo – ruggirà a tutta la foresta il suo nome; dal canto nostro, abbiamo il dovere di far da cerimonieri alla Storia che ci cambia e che cambiandoci, in qualche modo, si lascia cambiare.

Saremo padri migliori, o sbaglieremo provando ad esserlo.

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