Il tempo che sfreccia, risposte che sfuggono: un aperitivo domenicale con Murdaca

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In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo (il terzo, sempre per Revubs Dischi) dal titolo “Come si fa”, abbiamo fatto qualche chiacchiera con Murdaca per andare più a fondo, insieme a lui, nelle sue domande senza risposta.

Ci ha rivelato retroscena interessanti e scenari futuri che non vediamo l’ora si concretizzino; per ora, però, facciamoci bastare quest’intervista.

Bentornato su Indielife, Murdaca. Era da un po’ che non ci sentivamo (più o meno, dal tuo esordio). Cos’è successo in questi mesi e in che senso è possibile (sempre che sia possibile) rinvenire un filo rosso capace di collegare i tuoi tre singoli fin qui pubblicati.

In questi mesi ovviamente non potendo suonare, mi sono dedicato alle nuove produzioni sperando di poterle pubblicarle prima possibile. Sicuramente quello che accompagna i brani sono i grandi quesiti. Chi sono? E’ possibile non sprofondare nelle sabbie mobili dell’informazioni e dei momenti no? Come si fa a vivere come ieri e non sentire il peso del tempo?

“Identikit” cercava di tracciare, appunto, un identikit dei desideri più reconditi di Murdaca. “Sabbie mobili”, invece, fotografava la necessità di non smettere di ricercare, come direbbe il compianto Battiato, un “centro di gravità permanente” in mezzo alle sabbie mobili della disinformazione; oggi, “Come si fa” riporta il baricentro sull’intimismo, ma non cancella le domande che da sempre guidano la tua ricerca. Ma per Murdaca, alla fine, contano più le domande o le risposte? Esistono, secondo te, “risposte definitive” a qualcosa?

Penso che in qualche modo le domande mi tengano in vita. Le risposte definitive non penso esistano, o almeno spero. Mi fanno paura.

Il passato, “quello che è stato ieri”, in qualche modo ci segna anche se fingiamo di dimenticarlo. Qual’è il tuo rapporto con i ricordi? Ti mancano, “quei vecchi momenti”, oppure superarli è l’unico modo per “rimanere interi”?

A volte i vecchi momenti mancano, ma ciò che mi manca di più, è la spensieratezza di “quello che è stato ieri” di quando ero bambino. Penso che tutti in qualche modo vorremmo tornare a non sentire il peso del tempo e delle cose. Il tempo ci sfugge dalle mani, è difficile rimanere interi.

Sicuramente, la pandemia ci ha messo nelle condizioni di doverci fermare, adducendo spesso più o meno dolorose riflessioni su ciò che abbiamo fatto e quello che non siamo riusciti a concludere. In generale, questi sembrano essere temi ricorrenti della tua musica. Secondo te, sono più le porte che si aprono e quelle che si chiudono, a segnare chi siamo? E credi che la pandemia, a suo modo, ti abbia dato qualche occasione in più per riflettere su chi sei, su chi siamo?

Assolutamente, sono convinto che nella vita è necessario sbagliare tanto, per capire chi siamo davvero. Le porte che si chiudono sono essenziali tanto quanto quelle che si aprono. Sicuramente l’atmosfera “apocalittica” che si è creata attorno alla pandemia ha un po’ accentuato queste riflessioni.

La domanda che, dal mattino alla sera, ti attanaglia di più, tutti i giorni.

Come si fa a non farsi mettere in soggezione dal tempo che ci sfreccia davanti agli occhi? 

Riportiamo il baricentro sul presente, quello immanente ed imminente. Programmi per l’estate? Hai intenzione di portare in giro la tua musica? Insomma, ti vedremo su qualche palco?

Sicuramente vorrei concedermi un po’ di mare e scappare da questa grigia città. Poi spero vivamente di poter suonare, per ora nulla in programma.

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