In occasione dell’uscita del suo ultimo singolo, abbiamo scambiato due chiacchiere con Francesco Aubry sul concetto di appartenza, radici e “D.N.A”: il risultato è il simposio che segue, utile a portare un po’ di freschezza “intellettuale” nelle calde e afose giornate di questo agosto pandemico. Buona lettura!
Ciao Francesco, domanda spaccaghiaccio che di questi tempi non è mai banale: come stai, a poche settimane dall’uscita di “D.N.A” e qual’è la prima cosa che hai pensato appena hai pubblicato il brano.
Ciao e grazie per l’intervista, sto bene e pieno di idee per il futuro. Quando si rilascia una canzone così autobiografica è come rivelare qualche pagina del tuo diario agli altri, mi chiedo se sia stato abbastanza bravo da trasmettere le mie sensazioni e se qualcuno si sia connesso alle mie stesse vibrazioni ascoltando la canzone.
“D.N.A.”, come suggerisce lo stesso titolo, richiama a ricordi lontani e ad un passato che hai scritto nel codice genetico. Ci racconti, per rimanere in tema, come ti sei avvicinato alla musica e quali sono stati i tre passaggi decisivi della tua crescita musicale? Possono essere ovviamente anche tre “persone” decisive…
Il primissimo ricordo della mia vita è di me bambino che ballo in braccio a mia madre “Voglio vederti danzare” di Battiato che è poi stato uno dei riferimenti successivamente; da ragazzino la scoperta della musica dei Queen mi ha cambiato la vita, per qualche anno ho ascoltato quasi esclusivamente i loro album e cercato di rifare sul pianoforte quelle armonie geniali; successivamente il primo incontro coi PFM ha fatto nascere in me l’amore per i sintetizzatori.
Oggi si discute tanto sul concetto di origini, e di radici. Che cosa sono per te, le radici? E se ti dicessi la parola “casa”, cosa ti verrebbe in mente?
Mi viene in mente la casa di Caserta dove abitavo prima di trasferirmi con i miei in Piemonte, ancora oggi quando sogno spesso abito ancora lì, è un legame che si è spezzato all’età di 12 anni ma che in un certo senso non si è mai interrotto, per non parlare di Napoli, dove sono nato e dove torno spesso.
“D.N.A.” raccoglie spunti musicali diversi, che vengono dagli anni sessanta per mescolarsi a sonorità più “Settanta”, anche se il trattamento delle voci rimanda al gusto del decennio dopo in un melpot riuscito di tendenze diverse. Com’è stato lavorare con Andrea Di Giorgio, e come nasce il brano?
Le influenze che mi ispirano alla scrittura derivano da periodi diversi e nel mio percorso artistico cerco di creare un sound originale e distintivo che non appartenga a nessuna tendenza in particolare ma che fonda insieme elementi da ciascuna di esse. È un processo in parte spontaneo e in parte studiato, soprattutto nella fase di mix e mastering che cura il produttore Andrea Di Giorgio da te citato, con cui ho un ottimo feeling e a cui concedo molta libertà anche se ci confrontiamo costantemente nella scelta su come dovranno suonare le tracce del brano. D.N.A. nasce come tutte le altre canzoni in totale e spontanea ispirazione, strimpellandola di getto mentre ero intento a guardare vecchi filmini di famiglia in 8mm. Non ricordo mai esattamente come ho scritto una canzone, è come se ci fosse sempre stata.
Il ricordo più bello che tieni nel cassetto da anni e che qui, ora, puoi condividere con tutti i lettori di Indielife.
Il ricordo musicale più bello è un concerto fatto a Ferrara con la tribute band dei Doors, spero di vivere ancora tanti momenti così in futuro, magari suonando live i miei pezzi.
E invece qual è la tua più grande paura?
Ogni giorno quando mi sveglio mi sento la persona più fortunata del mondo perché ho l’occasione di vivere un’altra giornata, bella o brutta che sia, e posso costruire o imparare qualcosa. La paura è che un giorno dovrò lasciare tutto questo ma insomma direi che ora sono al top quindi penso a godermi il presente.
Salutaci consigliandoci un posto dove ascoltare “D.N.A.” sia ancora più evocativo.
Qualsiasi posto che vi ricordi i momenti speciali della vistra infanzia, o magari guardando foto o filmati che avevate in un cassetto da anni, come è successo a me. Oppure a occhi chiusi ricordando quando i genitori vi portavano in vacanza e la vita era tanto tanto più semplice!