La Rivoluzione di Opera: l’arte prima, sinossi di un Manifesto

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Opera è un artista che merita di essere ascoltato non solo per quello che canta, ma anche per quello che ha da dire. Lo so, le due cose dovrebbero andare di pari passo, ma ridurre la musica a didascalia del pensiero è un’operazione che può piacere solo ai funzionalisti e ai ragionieri del pensiero; quelli, insomma, che mettono sé stessi e il proprio insanabile narcisismo prima dell’arte, reclamando per il messaggio una priorità sul mezzo (questo, in effetti, diventa la canzone) che forse poteva essere comprensibile – se contestualizzata – cinquant’anni fa, ma che oggi appare come un’abitudine tragicamente retorica e talvolta decisamente stucchevole.

Capisco che la prefazione di questa mia intervista a Ciro (nome anagrafico di Opera, giovanissimo rapper scuola Strongvilla napoletano d’origine, mantovano d’adozione) possa sembrare quanto meno “arzigogolata” fino ai limiti del contraddittorio: proverò a spiegarmi meglio, anche se, ne sono sicuro, vi basterà leggere le risposte che Opera ha saputo restituirmi per capire al meglio cosa intendo dire qui sopra.

Ciro comincia il suo percorso artistico ormai più di un anno fa, pubblicando i primi singoli in piena pandemia e dando inizio ad un percorso sfaccettato, articolato fra urban, hip hop, soul e tanta, tanta voglia di parlare “con” la musica, e non solo attraverso di essa; non vi aspettate il “cantautore impegnato”, tutto denuncia e rivoluzione: per Ciro, la “rivoluzione” è un fatto personale, che risiede nell’approccio alle cose più che nel pronunciare frasi giuste, indossando i panni del banditore di folle di turno.

E l’approccio di Opera è sempre stato quello del lavoro sodo, rispettoso dell’ascoltatore e devoto ad un’idea di arte che potesse essere finalmente svincolata dalle pose del genere, dalle mode del tempo, dall’egemonia di un mercato che ha reso l’artista emergente un sedotto e (inconsapevolmente) umiliato operaio della grande fabbrica del successo, intento a timbrare con sempre più zelo (ai limiti dell’isterismo) il proprio cartellino discografico per sentirsi inserito in una macchina volta a distruggerne le libertà creative, promettendogli in cambio una settimana di permanenza in playlist contraffatte o in qualche vetrina di facciata dall’opinabile utilità reale ed organica.

Ad Opera – e al suo fedele, appassionato e preparato team discografico – poco interessa di tutto questo, ma nemmeno basta aver fede nelle proprie certezze per sentirsi redenti; che cos’è bellezza senza condivisione, direbbe Truppi? E che senso ha il singolo, se non può riferirsi ad una precisa idea di reale comunità? Ecco allora che Ciro insieme a Strongvilla ha preso coscienza sempre più, ad ogni nuova pubblicazione, che “L’arte prima” dovesse diventare un mantra collettivo capace di farsi collettivo; “Gazza di Monet”, l’ultimo singolo del rapper, si trasforma così nell’ariete di sfondamento utile ad introdurre la pubblicazione di un docu-video/manifesto in uscita il 23 settembre (seguite le pagine social di Strongvilla e di Opera per saperne di più) e di un disco, “L’arte prima”, che lascerà il segno. Almeno, in chi avrà la voglia di ascoltarlo mettendosi in discussione.

Insomma, ho messo fin troppa carne al fuoco per continuare a dilungarmi. Lascio spiegare lui, che sicuramente si conosce meglio di quanto possa credere di conoscerlo io. Buona lettura!

Ciao Opera, è un piacere averti qui su Indielife. E che dire, quello che stai facendo è “indie” davvero: non solo un brano appena pubblicato, ma anche un manifesto comunicante un’idea ben precisa, seguito da un video quanto meno “particolare”. Da dove escono tutte queste folli e affascinanti idee?!

Ciao! Tutte queste idee vengono create da Strongvilla, l’etichetta di cui faccio parte come artista. In particolare queste due sono venute ad uno dei miei due produttori, Virgo. Ad ogni modo ci piace discutere e realizzarle insieme a tutto il team, coerentemente con quanto enunciato nel Manifesto dell’Arte Prima.

Il tuo nome, in qualche modo, comunica già un certo modo di dare “centralità” all’arte che sembra titolare anche lo stesso Manifesto “Dell’arte prima”. Ma da dove partire, se non dalla tua storia? Come nasce il progetto Opera e qual’è il percorso fatto fin qui?

Il progetto nasce circa due anni fa dall’incontro tra me e Strongvilla, l’etichetta sopracitata. Ho cominciato aprendo qualche loro serata e poi ci siamo trovati insieme in studio. Quando il rapporto fra di noi è diventato sempre più collaborativo sono entrato nel roster e abbiamo lavorato a diversi singoli. Dopo un po’ le cose si sono fatte ancora più serie e abbiamo pensato al disco. Siamo partiti dall’HipHop che è il background che abbiamo in comune tutti, ma ben presto ci siamo accorti che insieme potevamo navigare verso altri lidi, allargare la visione. Cosi abbiamo lavorato sulle melodie, su tematiche diverse, su strumentazione nuova, senza preoccuparci troppo di essere Rap, Indie, Soul o qualcos’altro. Questo approccio de categorizzato sta alla base della nostra produzione musicale.

“Gazza di Monet” è il tuo quinto singolo, e in qualche modo sembra (forse per via del titolo) essere quello che preludia ad un certo tipo di contenuto che il Manifesto tende a sottolineare: la ricerca di una qualità che devii dalle mode e sposi appieno la libertà dell’arte di non rendersi merce. Quali pensi siano, oggi, i sintomi più preoccupanti di questa degenerazione?

Il fatto che molti artisti dedichino ampio spazio ai risultati numerici ottenuti, parlando di quanti platini, quanti stream, sia nei loro spazi che nei testi stessi è identificativo del problema. Ricordiamo sempre che l’arte non è competizione. Inoltre viene appoggiata una lente di ingrandimento su cose inutili, come ad esempio l’hype costruito attorno al gossip, quantità e importanza dei featuring, che fanno perdere l’efficacia dell’opera d’arte e dell’arte stessa. Con questi esempi davanti, alle persone non interessa più scavare nel senso di un brano, come succedeva ad esempio con i cantautori italiani di un tempo. È verissimo che il periodo è diverso, ma è onere dell’artista in questo caso evolvere certe cose mantenendo comunque una coerenza artistica. Noi pensiamo ci sia una responsabilità nei confronti dell’arte e dell’atto artistico, se non durante la sua creazione, sicuramente durante la pubblicazione e la promozione. 

Parliamo ora del brano. L’amore, comunque, sembra rimanere al centro delle tue tematiche e il pop rimane, pur nelle sue venature più hip hop, la vocazione principale della tua musica. A volte, si tende a credere che un concetto più articolato, come quello espresso nel manifesto, possa sposarsi poco con il “linguaggio delle masse”. Che cosa ne pensi, e qual’è il significato che tu dai alla parola “pop”?

Oggi chiamiamo Pop un po’ di tutto. Non voglio regalare aggettivi negativi. Anzi, molta della musica che ascolto ricade in questo genere. Io faccio solo due distinzioni: musica fatta bene, e musica fatta male.

Credo che l’ambito Pop sia il contesto che ha sofferto di più questo graduale svuotamento di contenuti, e partire proprio da qui non è poi cosi strano. Sarà che nicchie e pop hanno ormai i bordi sfumati, ma complicare la forma, magari rinchiudendoci in qualche nicchia musicale intellettuale, avrebbe potuto indebolire o limitare il messaggio che vogliamo portare avanti, che invece ha bisogno di spazio ed è indirizzato proprio al mondo del Pop, che ha bisogno più che mai di rivedere certi stilemi.
Forse è ancora una luce in fondo al tunnel, eppure una falla in questo sistema la vedo. Non siamo i primi che mettono l’importanza dell’arte al centro dei propri progetti, ma forse i primi fra questi che contestualizzano l’intero discorso. 

E del video, invece? Ce ne parli un po’ meglio? Quando lo potremo vedere su tutte le piattaforme?

Il video uscirà il 23 Settembre sul canale Youtube di Strongvilla.
Chiamiamolo docu-video. È diretto da Edoardo Setti e sostanzialmente non è il videoclip canonico del brano con un copione o le riprese nel magazzino abbandonato ecc, ma appunto un formato nuovo a cavallo tra videoclip e documentario. Le immagini ripercorrono diversi momenti della realizzazione del manifesto, documentando il momento della stampa a mano realizzata dall’artigiano Francesco Testi.  In questo video raccolgo anche i pensieri che ci hanno poi portato a scrivere il manifesto, oltre che ovviamente cantare il brano “Gazza di Monet”. La prima volta che l’ho visto me ne sono innamorato, è come se ti trasportasse in prima persona dentro alla canzone, dentro il pensiero di un gruppo di amici che si sono coordinati per promuovere un pensiero. 

Senti, credi che possa essere definito “generazionale” quello che racconti nel Manifesto? Ti senti di appartenere ad una nuova “leva” di disperati – quanto romantici – nuovi alfieri di un modo diverso di vedere l’arte?

Onestamente? No. Ma io sono abbastanza pessimista. Credo che faccia molto riflettere il fatto che le cose debbano essere comunicate, e che certi valori, attenzioni, necessità debbano essere portate alla luce, per esempio attraverso le parole raccolte nel Manifesto. Vuol dire che in qualche modo certi valori sono andati sepolti. Al momento troppe persone concentrano le proprie energie su tutto, tranne che sulla musica e sul valore dell’arte, sulla condivisione, per ricorrere invece numeri, successo, approvazione. Sappiamo bene che non si vive d’aria, e che l’arte in qualche modo deve garantire dei guadagni economici anche solo per permettere agli artisti di continuare a creare, ma non possiamo rincorrere il punto di pareggio ad ogni costo, anche a costo della vita stessa dell’opera. Noi dal canto nostro abbiamo semplicemente preso una posizione sulla questione, organizzando pensieri, e armandoci di tutte le posizioni che prima di noi erano state chiarite riguardo all’argomento e le abbiamo messe insieme. Qualcosa abbiamo creato, ma sicuramente non la mentalità dell’“Arte Prima”, quella è una necessità che dovremmo avere tutti, noi ci preoccupiamo solo di metterla in luce.

Raccontaci qualcosa anche del tuo show dal vivo. Sembra essere uno spettacolo che si preannuncia infiammante.

Sul palco mi esibisco con i miei due produttori Virgo (alle tastiere e sax), Kuma19 (alla consolle) e il chitarrista Iulian. È uno spettacolo multimediale, siamo immersi tra televisori appoggiati su cavalletti in legno che proiettano visual pensati per aumentare la suggestione creata dalla musica. La scaletta dei brani è spezzata da alcuni interludi in cui il leggo parti del manifesto. Dopo assoli di chitarra, sax, e momenti più elettronici dedichiamo uno spazio ai ringraziamenti, di tutta la famiglia Strongvilla, nessuno escluso, compresi anche i tecnici e le persone che contribuiscono con il loro lavoro alla diffusione della musica dell’arte e in questo caso del manifesto dell “Arte Prima”. Poi chiudiamo con “Sono ancora un bimbo” il mio quarto singolo che ci libera tutti dal male. Ve lo consigliamo vivamente.

Ok, aspettiamo il disco con pazienza (il primo ottobre non è lontano). Cosa dobbiamo aspettarci, da “L’arte prima”?

Un disco onesto. Mi sento di dire questo perché i dischi che ascolto oggi creano delle aspettative enormi e poche volte vengono soddisfatte. Sicuramente i gusti sono gusti, ma l’onestà di questo disco si sente dalla prima traccia all’ultima. È anche un disco personale, in alcuni passaggi mi metto a nudo per dare il giusto peso a ciò che sto raccontando.
Grazie mille! È stato un piacere.

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