Tra le zanzare fastidiose di Munendo

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E’ già uscito da qualche settimana il nuovo singolo di Munendo, “Zanzare”, ma avevamo bisogno di far fermentare un po’ la canzone, prima di parlarne: non siamo gente da giudizi affrettati.

Il brano, distribuito da Artist First, risulta sicuramente allegro ma nasconde l’incapacità di distrarsi dai pensieri ossessivi e terrorizzanti che ognuno ha: che si tratti di pace nel mondo, di questioni calcistiche o di fette di ananas sopra una pizza, ogni persona ha una sua idiosincrasia con qualche concetto che, una volta entrato in testa, impedisce di rilassarsi e addormentarsi tranquillamente. Ne parliamo direttamente con l’artista.

Alle volte l’insonnia porta bene… quali sono le tue altre fonti di ispirazione?

Sicuramente le quarantene. Uso il plurale perché oltre al lockdown mi sono fatto un paio di quarantene per contatti con positivi. Uscire dai ritmi frenetici di solito mi aiuta nella scrittura. Per il resto non ho fonti di ispirazione ricorrenti. A volte scrivo di giorno, a volte di notte… a volte mi è capitato di scrivere un brano nell’esatto momento in cui stavo passando l’aspirapolvere.

A livello di arrangiamento, “Zanzare” è un brano molto pieno. È stato complesso realizzarlo?

Sinceramente già la preproduzione era bella gonfia di cose. Poi come sempre quando vai a mettere dentro una batteria vera, gli strumenti registrati in studio con la giusta pasta e intenzione, più una sezione di fiati (grazie al prezioso contributo di Manuel Vallicelli e Luigi Zitano) diventa tutto più ingombrante e difficile da gestire. Per fortuna lo studio con cui lavoro (Studio Miriam) è sempre una seconda casa in cui riusciamo a venire a capo anche dei conflitti di frequenze più complicati. Conosco Marco Federico da tanti anni e devo dire che nonostante ogni volta metto alla prova la sua pazienza con infinite revisioni, riesce sempre ad arrivare a dama con dei mix perfettamente bilanciati.

Il sogno nel cassetto di Munendo legato alla musica? 

Non smettere mai di farla, renderla un percorso e non un exploit. Un percorso che preveda un’evoluzione e una crescita, senza necessariamente identificare un punto di arrivo prefissato. Ci sono decine, centinaia di palchi che mi piacerebbe calcare, ma è sempre importante anche tenere presente come arrivarci.

La città dove vorresti portare le tua musica?

Beh, scrivendo e cantando in italiano direi che ci manteniamo all’interno dello stivale… difficile dare una risposta unica perché ogni città ha un suo perché. Penso a Milano, dove spesso le cose si fanno un po’ più in grande e in contesti molto dinamici, oppure a Bologna che continua ad essere una città dal mood estremamente vivo e ricettivo. Però penso anche a città come Napoli o Catania che sanno essere calde, accoglienti e piene di entusiasmo.

Progetti futuri?

Oltre a continuare a sfornare brani singoli, la prima cosa che mi viene in mente sarebbe riuscire a portare il repertorio dal vivo, ma con l’ausilio della mia band o parte di essa. Mi rendo conto che l’interplay sul palco crea un’energia inimitabile e che quando sono sul palco con la mia loopstation devo spendere molte energie mentali per tenere il filo del brano. Avere l’opportunità di portare lo stesso repertorio, ma con la tranquillità di avere un backup che mi consenta di concentrarmi di più sulla parte legata all’interpretazione sarebbe un grande traguardo. 

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