Lungo la strada di Sebastiano Pagliuca

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In occasione dell’uscita del suo ultimo singolo, abbiamo fatto qualche chiacchiera con Sebastiano Pagliuca sul percorso fatto fin qui ma sopratutto su tutto ciò che deve ancora venire. Godetevela!

Ciao Sebastiano, è un piacere conoscerti. Senti, hai una biografia densa, a livello artistico. Ce la racconti un po’?

Eh… in effetti, è densa, sì. Da dove comincio? Avevo 15 anni quando scrissi le prime canzoni mentre passeggiavo lungo le vie di Montelparo (il mio paese originario) per nascondere ai miei che avevo iniziato a fumare. Ora che ci penso, in realtà non ho mai scritto su carta le mie canzoni. Mai su carta, mai su un supporto digitale, e questo è importante per quanto riguarda la mia produzione: ogni canzone si è scritta da sé nella mia testa. L’ho incubata, pian piano potevo modificarne dei tratti, ma così sono nate tutte le mie canzoni. A quell’età ero davvero atroce a cantare (ma anche a suonare), perciò fondai col mio amico Mathias Iobbi un gruppo, Elpris, e destinai queste prime canzoni alla sua voce. Poi, iniziò l’università, e incontrai Luca, Frank, Giando, Federico e li inglobammo nel progetto, rispettivamente, come batteria, basso, violino e organetto.

Registrammo i nostri pezzi al Potemkin Studio di Andrea Mei, che, a furia di chiamarci “cialtroni” riuscì a tirare fuori il meglio dai nostri strumenti sgangherati. I primi concerti dei nuovi Elpris erano delle vere e proprie performances goliardiche, momenti artistici in cui, in realtà, poteva succedere di tutto, e succedeva effettivamente di tutto. Anche per questo, credo, arrivammo presto ad avere una certa notorietà a Macerata. Notorietà che ci permise di calcare palchi importanti, affiancando esperienze fuori-regione a quelle più tipicamente legate alla vita universitaria. Ricordo quando aprimmo il concerto dei Fast Animals and Slow Kids, degli Zen Circus, dei Modena City Ramblers, e persino un’esperienza parigina niente male.

Anni pazzeschi, fino al termine di questo percorso, qualche anno fa, quando, crescendo, abbiamo dovuto fare i conti con scelte di vita che hanno portato alcuni di noi fuori nazione. Gli Elpris si scioglievano per necessità, lasciando, improvvisamente, il vuoto.

In qualche modo, ricominciai da solo. Prima come backliner del funambolico Matthew Lee in giro per l’Italia, poi avviando l’organizzazione di un festival nel mio paese, Pianostrano, due giorni di esibizioni al piano con la partecipazione straordinaria di Lorenzo Kruger come presentatore. L’ultima edizione (prima dello stop, causa Covid) ha visto sul palco montelparese, Dente, Dimartino e Dardust, tra gli altri.

Tuttavia, avevo bisogno di tornare sul palco in prima persona, tornare a dare voce ai miei brani. Paolo Ojetti (Castaway Studios) mi propose di produrre insieme a lui alcuni miei pezzi già composti e con questi brani ho ripreso a calcare nuovi palchi col mio progetto solista. Una prima fase mi ha visto in duo con Daniele Ciuffreda alla batteria e cori. Sì, proprio il cantante e batterista dei Little Pieces of Marmelade! Proprio lui, che, tuttavia, a breve, avrebbe iniziato il suo grandioso percorso a X-Factor con Frankie Wah. Nel frattempo, tuttavia, non restavo da solo: era entrato a far parte del mio progetto, un altro elemento eccezionale, Simone Giorgini al contrabbasso e ai cori, con il quale mi esibisco a Roma vincendo la Targa Repubblica del Premio De Andre’. Dalla scorsa estate, è con noi, alla chitarra elettrica e ai cori, Leonardo Fontanot, produttore, cantautore e scienziato pazzo dei synth analogici, col quale sto avviando una nuova fase di produzione dei pezzi, insieme a Paolo Ojetti

In questo anno e mezzo di vita del mio progetto solista, pubblico due brani, Con le orecchie sotto il mare, e Aspetterò, solo qualche giorno fa. Ne arriveranno altri. Nel frattempo, due mini tour, estivo e autunnale, mi hanno visto aprire anche il concerto a Camerino dello Stato Sociale e di Lorenzo Kruger, a Fermo

Scegli tre momenti che porti nel cuore, e che hanno segnato il tuo percorso artistico.

  1. Quando rimasi folgorato dalle double-faced di Sebastian Bieniek, artista contemporaneo di fama internazionale. Decisi che avrei fatto di tutto per collaborare con lui per il videoclip di Animali Alieni, ultimo singolo degli Elpris. Il video venne poi girato da Gianluca Grandinetti e Giulia Grandinetti, capaci di gestire una situazione complicata a dir poco. Considerate solo che, Bieniek ci inviò gli auguri di Natale con il video di una sua performance nel Vaticano, in cui, alla fine del video, viene allontanato dalla polizia.
  2. Quando al ritorno da un concerto Elpris a Milano, si ruppe la pompa della benzina della macchina di Federico e raggiungemmo Parma col carro attrezzi. Fummo costretti a restarci per una settimana, in attesa dei pezzi di ricambio. Senza soldi, senza un posto dove stare, ci reinventammo artisti di strada e dormimmo sui pavimenti lerci degli alloggi degli studenti Erasmus spagnoli.
  3. Quando calcai il primo palco da solo, dopo la fine degli Elpris. Realizzai che potevo continuare a suonare dal vivo.

Tra l’altro, incastri la tua attività di cantautore alla tua professione di insegnante. Come trovi l’equilibrio, e quali credi possano essere i collegamenti tra le due cose (se esistono, dei collegamenti!)? Vecchioni, in qualche modo (in tutti i sensi, in realtà!), docet

Credo che la professione di docente sia pacificamente paragonabile a fare concerti dal vivo, dopotutto in entrambe le situazioni devi tenere alta l’attenzione di chi ascolta. E, anzi, è questa la sfida. Il pubblico degli studenti non è meno difficile di un pubblico di ascoltatori. Devi cercare di essere e pratico, creare una connessione attraverso la quale riuscire a trasmettere, a far arrivare, ciò che intendi comunicare. Per quanto riguarda Vecchioni, sono molto affascinato dai suoi studi sul linguaggio della canzone e mi piacerebbe frequentare i suoi corsi; mi ci sono imbattuto durante la stesura della mia tesi triennale in cui indagavo la natura plastica della parola nella canzone. Questa mia teoria si basa sul considerare la parola come modellata in aria, forgiandosi in un unicum assieme melodia: in quanto tale, in quanto plastica, non può rendere al meglio se scritta e letta sul foglio. 

Esordisci da solista con “Con le orecchie sotto il mare”: il tuo è un cantato alla Appino che però, in qualche modo, respira di “esterofilia”. Ho centrato almeno parte dell’alchimia di Pagliuca?

Sì, Appino e gli Zen Circus sono sicuramente tra i miei riferimenti nell’indie italiano, ma ciò che abbiamo cercato di fare, insieme al mio produttore Paolo Ojetti, è stato dare vita, piuttosto, a un indie-folk italiano. In effetti, a mio avviso, nella nostra penisola gli ultimi gruppi riconducibili al folk risalgono ai Modena City Ramblers e ai Bandabardò che utilizzavano ingredienti totalmente diversi da quelli che caratterizzano il folk internazionale di oggi. Uno dei pochi che secondo me è riuscito a realizzare un disco propriamente indie-folk è Umberto Maria Giardini con il suo progetto, Moltheni. In ogni caso, nella produzione, diamo sempre la precedenza alle canzoni e ci ispiriamo ai mondi che riescono a vestirle meglio, che sia pop, rock o folk.

Oggi, invece, torni con un singolo che sa di Bon Iver, e di nostalgia autunnale. Ti va di raccontarcelo?

In verità per questo singolo ci siamo ispirati meno a Bon Iver rispetto al precedente, “Con le orecchie sotto il mare”. Abbiamo ascoltato Raury, The Lumineers, LP, Motta e molti altri artisti che utilizzano strumenti acustici per creare intrecci ritmici che ammiccano al pop. Il testo si concentra sull’evoluzione del silenzio lasciato dalla fine di una relazione. Se all’inizio è un gigante che pesa sul petto e non ci lascia dormire, alla fine della canzone si rivela un elemento importante per riflettere su sé stessi e ripartire.

Svelaci qualcosa che non sappiamo su Sebastiano Pagliuca.

Prima di diventare insegnante sono stato per 5 anni autista NCC.

Salutaci facendoci una promessa che già sai non manterrai!

Se venite a un mio concerto vi offro da bere!

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