La Hofmann Orchestra è una band romana che sin dall’esordio ha fatto molto parlare di sé. Il disco “Ouverture”, infatti, ha macinato decine 100.000 stream su Spotify, senza bisogno di nessun “aiutino”. Numero che dimostrano il genuino talento dei ragazzi, che ora tornano con il nuovo singolo “Perché amo il mio lavoro” e alte novità. Li abbiamo raggiunti per parlarne.
Partiamo dal vostro nome, Hofmann Orchestra. Dove e quando nasce?
- Nasce nel 2019 pochi mesi dopo l’ingresso di Stefano al basso, ci interessava un nome che potesse andare bene anche fuori dall’Italia la figura di Albert Hofmann (l’inventore dell’acido lisergico) affascinava tutti e tre.
Da allora ai giorni nostri, qual’è stato il vostro percorso artistico?
- In questi 4 anni scarsi abbiamo scritto molto, registrato due album, pubblicato diversi singoli e ottenuto riscontri molto positivi sia dalla critica che dal pubblico.
Purtroppo i due anni di restrizioni legate alla pandemia ci hanno un po’ penalizzato per l’attività live e ora abbiamo intenzione di recuperare sotto questo aspetto.
Arriviamo al presente con il singolo “Perché Amo il mio lavoro”. Diteci tutto quello che dobbiamo sapere su questo brano.
- È un brano piuttosto irriverente sul mondo del lavoro e soprattutto su come oggi viene vissuto da alcune persone. Per questo brano avremmo potuto fare la parodia di quel famoso spot di un celebre caseificio dove un certo Renatino vantava di non andare in ferie da 4 anni per produrre il formaggio.
Sappiamo che non è la vostra prima pubblicazione, anzi con il disco precedente (Ouverture) avete superato i 100.000 stream su Spotify. Qual è ora il vostro obiettivo?
- Quando scherziamo con gli amici in genere tiriamo fuori cifre improbabili a 7 o 8 zeri. Sappiamo che quei numeri sono comunque un termometro sul gradimento di un brano, ma non è l’unico parametro da considerare.
L’obiettivo è quello di avere sempre più pubblico e poterlo vedere fisicamente sotto al palco quando andiamo in giro a suonare.
Nel 2023 una band emergente ha ancora bisogno di una label o più in generale di un team di lavoro? Voi lo avete? E se sì, in che modo lavorate insieme?
- Dipende dal tipo di progetto ma nel nostro caso sicuramente sì. Non essendo persone molto attive sui social abbiamo un ufficio stampa che ci aiuta anche nell’utilizzo di questi ultimi. Inoltre, la nostra label(EDAC musicgroup) è impegnata per la promozione e la gestione del progetto sotto molti punti di vista.
Sappiamo che diversi artisti (soprattutto nei progetti trap o affini) optano per la completa autogestione finché non arriva magari una grossa etichetta per distribuirli, noi per diverse ragioni al momento preferiamo comunque avere un team di lavoro esterno che ci supporta.
Chiudiamo in maniera un po’ scomoda: X Factor, partecipereste? Credete sia ancora una buona vetrina per emergere?
- Un detto giapponese dice che “Non ci sono terre pure e terre impure di per sé …”, dipende tanto dalla direzione artistica e da chi riesce a partecipare.
Ricordo da bambino un festival di Sanremo dove vinsero gli Avion Travel, c’erano Bluvertigo, Subsonica e un certo Alessio Bonomo che portò un brano bellissimo e molto disturbante.
Quindi se si crea l’opportunità di occupare un determinato spazio, si occupa.