Un viaggio verso le (mie) origini con i Tokyo Suicide

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Forse non tutti sanno (beh, in effetti a chi dovrebbe importare?) che a sedici anni avevo i capelli lunghi, una collezione infinita di dischi rock e una band assatanata e assetata di nostalgia anni Settanta che moriva dalla voglia di suonare tutte le canzoni dei Genesis e dei Pink Floyd, sintomo di un debole malcelato verso quel fantastico mondo musicale che prende il nome di “rock progressivo”.

Da allora di tempo ne è passato, e anche di capelli: la band si è sciolta, ma ci vogliamo ancora bene e finiamo spesso con il rievocare i bei tempi andati a colpi di svisate barocche e suoni psichedelici. Di certo, però, non è passata la mia voglia di rock, sopratutto quando ben fatto come nel caso dei Tokyo Suicide, quartetto fresco fresco di ritorno sulle scene con “Here and now”, brano realizzato con la collaborazione di Derek Sherinian, non proprio uno degli ultimi arrivati.

Insomma, potevo non approfondire la questione? Ovviamente, no. E infatti, eccoci qui.

Benvenuti su Indielife, Tokyo Suicide! Levatemi subito una curiosità: da dove nasce il vostro nome d’arte? Di certo, possiede il suo fascino enigmatico…

Per interessi, per studi e per professioni la psicologia, la filosofia e la sociologia sono ambiti tematici che ci hanno accomunato. L’estetica e il sound del progetto ci hanno subito portato alla mente immagini cyberpunk di metropoli multietniche, in particolare Tokyo. E proprio per denunciare la piaga del fenomeno dei suicidi di massa dovuti allo stress della cultura collettivista, che paradossalmente aliena l’individuo, il nome Tokyo Suicide (sebbene forte e carico emotivamente) racchiudeva al meglio tutto il nostro pensiero.

Echi di rock progressivo si fondono nella vostra musica con sonorità elettroniche che danno alla produzione dei vostri brani un tocco moderno e capace di non rimanere invischiato nelle trame rock “retrò” del genere. Quali sono gli ascolti che guidano la mano dei Tokyo Suicide?

È difficile ridurre a pochi ascolti perché veniamo da culture musicali molto diverse e anche molto simili. Più che la musica quello che ci ha ispirato maggiormente sono le immagini e le atmosfere di un certo tipo di cinema.

Il vostro disco d’esordio è uscito tre anni fa: cosa è cambiato dai vostri primi passi e cosa invece è rimasto uguale?

Ci sono stati più cambiamenti che conservazioni, a partire dalla formazione che vede l’ingresso di Nicole Cambi alla voce e Giuditta Ara al violoncello, due suoni che nello scorso disco non c’erano. Poi le atmosfere del secondo album sono sicuramente più luminose e sognanti, a discapito della claustrofobia notturna e piovosa di “Selfie to die for”. Il nostro approccio alla composizione però è rimasto o stesso, anche se cresciuto insieme a noi.

Here and Now” è una canzone che vi avvicina al genere ballad senza perdere il piglio “sperimentale” che contraddistingue la vostra ricerca. Tra l’altro, avete avuto il piacere di collaborare con un vero “big” della musica internazionale… vi va di parlarcene?

Con Derek Sherinian c’eravamo conosciuti diversi anni fa, durante un concerto dei suoi Planet X a Milano. Ci siamo risentiti all’inizio del 2023 grazie ai social network quando il disco era a buon punto. Gli abbiamo mandato il materiale pronto e alcune sessioni di batteria scritte appositamente per lui. È stato tutto molto fluido, Derek è un musicista straordinario, oltre che un artista con la “A” maiuscola ed il flusso delle idee e delle composizioni è stato molto naturale. Ci siamo confrontati spesso sui suoni da usare e sugli assoli, e credo che abbia contribuito a spingerci oltre quelli che credevamo fossero i nostri limiti, è stato fantastico! 

Del singolo, poi, esiste anche un video che ben fotografa la sensazione di sospensione destata dall’ascolto… ci raccontate come nasce e sviluppa il videoclip di “Here and Now”?

Come vi dicevamo, la nostra ispirazione musicale nasce molto spesso da una cultura cinematografica, che spesso ci ha guidati nel generare le atmosfere dei brani. Il videoclip è stata l’occasione per dare l’immagine alle liriche di Sean e di tributare  alcune scene di “2001 – Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, che evoca proprio i principi-fondamenta di questo album, ovvero l’evoluzione trasversale del genere umano e lo scorrere del tempo.

Come nasce un brano dei Tokyo Suicide? Quali sono gli step che portano alla pubblicazione di un brano emotivo ed efficace come il vostro ultimo singolo?

Intanto grazie per questi aggettivi positivi! Spesso nasce tutto da un flusso di coscienza, da dei suoni nell’aria, sintetizzatori che pervadono l’inconscio collettivo della band che porta tutti sullo stesso piano emotivo. Dobbiamo dire che siamo tutti molto sintonizzati sugli sviluppi compositivi, anche se spesso i brani nascono dalle dicotomie stilistiche di Sean e Agostino.

“Here and Now”, a nostro parere, possiede un fascino fortemente cinematico. Vi piacerebbe scrivere per il cinema? In che film vedreste bene le vostre canzoni come colonna sonora?

Esatto, avete proprio capito la nostra identità! Come abbiamo detto, più che dalla musica le nostre ispirazioni nascono proprio dal cinema: luci, colori, atmosfere, fotografia, montaggio, ritmo, mondi e universi. Parlando del lavoro fatto finora, canzoni come “Lost Planet”, “Here and Now” e “Oh me Oh life” le vedremmo bene sicuramente in film sci-fi distopici, che trattano di tecnologia imperante e di alienazione dell’uomo. Mentre brani come “Paumanok” e “Karkoff8” si adatterebbero sicuramente meglio a film sci-fi più thriller/horror. Ma tranquilli, abbiamo dato spazio anche a brani più onirici.

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