Ditonellapiaga e l’eclectic pop

Chi è Ditonellapiaga?

«Tu prosecco e sushi, io peroni e cacio e pepe».

Margherita Carducci, romana, 1997, in arte Ditonellapiaga, è tutto quello che lei stessa vive e di più.

A dire la verità, Ditonellapiaga è tutto ciò che decide di essere di volta in volta, saltando camaleonticamente da un genere all’altro. È quello che decide di farci vedere a seconda della situazione.

E infatti, proprio quando credi di averla capita davvero, lei, beffarda, si mette una maschera e diventa qualcos’altro.

La cantante stessa nella pagina Spotify si definisce «figlia inaspettata di un incrocio di persone, situazioni, idee e fasi della vita privata» e questo si rivede chiaramente in ogni singolo pubblicato.

Dal teatro al pop, da Margherita a Ditonellapiaga

Margherita diventa Ditonellapiaga quasi per caso, dopo essere uscita dall’accademia di teatro di Roma, dove studia teatro e poi produzione.

Entra in contatto con i producer romani bbprod, che, lavorando tra Londra e Roma, le mandano un beat, lo stesso sul quale lei scriverà il suo primo singolo, Parli.

Fan delle pop star americane – prima di tutte Britney Spears, poi Billie Eilish e Rosalía – mischia il pop più tradizionale con influenze jazz, soul e nu jazz.

L’artista difatti si esibiva nei club romani con le cover band di Marvin Gaye e degli Hiatus Kaiyote e partecipava alle jam sessions, facendosi però influenzare nel tempo anche dall’elettronica, dal rap e dall’urban.

Roma, città piena di contraddizioni, diventa fonte di ispirazione.
Ditonellapiaga ci parla con ironia e malinconia di gin tonic pomeridiani, di amore e di tutta la complessità di quello che può essere la vita di una ventiquattrenne con dei sogni oggi.

Ditonellapiaga primo piano
Ditonellapiaga

Singoli

Parli esce a luglio del 2019, grazie alla collaborazione dell’artista con il duo romano bbprod.

È un pezzo che potremmo definire provocatorio da un punto di vista testuale, aggressivo per quanto riguarda la ritmica, ma anche ‘sperimentale’. Le strofe sono una specie di parlato-rappato molto potente, tutte batteria e voce, mentre il ritornello passa a un pop-soul leggero.
Quasi come avessero cucito insieme tanti elementi diversi che, seppur bizzarri se accostati l’uno all’altro, dato il tema della canzone – una serie di sfortunati appuntamenti -, prendono senso.

Sotto BMG Italy, in collaborazione con la giovane etichetta Dischi Belli, Ditonellapiaga ha pubblicato altri tre singoli.

Per un’ora d’amore, famosissimo brano dei Matia Bazar, poi ripreso da Antonella Ruggiero e dai Subsonica, viene pubblicato nel settembre del 2020 e, anche lui, nasce quasi per caso.

In un’intervista per Rolling Stone, l’artista dice: «Mi piace molto l’idea di rispolverare brani un po’ vecchiotti, musica che i ragazzi della mia generazione non conoscono, e riproporli in maniera più moderna».
«Ho scelto Per un’ora d’amore perché durante l’isolamento mi è sembrata perfetta».

Ed è stata proprio questa la sua bravura: non proporre ‘solo’ una cover, ma una rivisitazione in chiave moderna. L’ha trasformata in una canzone da club, sul pop elettronico con elementi dance/house, ‘riattaccandola’ alla nostra realtà.

Questo è visibile anche dal video, semplice, girato con lo smartphone tramite un filtro Instagram in pieno lockdown.

Per un’ora d’amore – Ditonellapiaga

Morphina esce a dicembre dell’anno scorso ed è «quanto di più vietato nel 2020. Baciarsi, toccarsi, e scomparire tra le braccia, le cosce e le labbra del mondo intero per restarci per un po’, quanto basta, quanto ci serve. E a me serve tanto. Un bisogno matto e disperatissimo» afferma la cantante.

Si inserisce dunque bene nel dramma che stiamo vivendo: la necessità fisica di toccarsi e l’impossibilità ‘tutelante’ di farlo. Brano quanto mai erotico, parla di sesso senza giri di parole, senza imbarazzo e senza tabù, come vuole la nostra generazione.
La batteria così presente rimane coerente con pezzi come Parlami e il beat da discoteca rientra nello stile di Per un’ora d’amore.

Spreco di potenziale

Il 5 febbraio 2021 è uscito Spreco di potenziale, ultimo singolo di Ditonellapiaga. E se finora abbiamo ballato in un club, desiderato di toccarci, ironizzato su delle uscite andate male…

Ora è il momento di farci vedere la parte più intima di lei, un cuore che sanguina.

Diciamo che in questo caso il nome d’arte le si addice bene dato che il pezzo è capace di spezzarti il cuore in soli 2 minuti e 52 secondi.

Il titolo è quanto mai evocativo se pensate a quante storie abbiamo avuto che ci sono parse questo: un potenziale non sfruttato al massimo, qualcosa che ci sembrava destinato ad essere ma che, per qualche strano scherzo del destino, non è stato.
E allora sbattiamo la testa così tante volte, pur sapendo che più ci riprovo, più te mi spacchi il cuore come puoi, perché abbiamo ancora la speranza che se cambiassimo anche solo una cosa, se fossi solo un po’ più elastica e tu meno stronzo, funzionerebbe.
Tuttavia, a volte, l’unica cosa che avremmo bisogno di fare è lasciar andare.

Musicalmente il pezzo è semplice, piano e voce sono protagonisti. Tuttavia, risulta efficace, perché il ritornello ti rimbalza in testa fin dal primo ascolto e non te liberi.

Il singolo si allontana ampiamente dalle scelte fatte in precedenza, per approdare in un mondo più tipicamente indie-pop.

Staremo a vedere!

Date le tante e diverse anime che convivono in Ditonellapiaga, possiamo solo stare a vedere quali scelte opererà, se lo farà.
Opterà per una strada o continuerà ad essere di tutto e un po’?
In ogni caso, siamo molto curiosi e non vediamo l’ora di scoprirlo!!!

VariabiliCostanti ” GiornoZero”

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VariabiliCostanti è un duo nato nel giugno 2020, post lockdown, dall’unione di Giulia e Daniela. Nonostante la formazione recente, dopo aver raggiunto le finali del concorso “Punta alle stelle”, partecipano al “CANTA-RIO” dove vincono il premio della critica che consente loro di collaborare con l’etichetta discografica PMS, collaborazione che ci regala il loro debutto ufficiale con “GiornoZero”.

Il brano, scritto da Mila Normanni (già autrice di Biagio Antonacci e Loredana Errore), è un pezzo che trasmette un messaggio di ripartenza, rinascita e forza. Una di quelle canzoni di cui abbiamo sicuramente bisogno in questo periodo. Parte subito con la melodia del ritornello, scelta che anche a livello internazionale si è sempre dimostrata vincente, ma in una veste molto intima, quasi a dare l’idea di una ballad. Ma questa canzone è tutt’altro che un lento! Anzi, gia dalla prima strofa dove entrano le chitarre acustiche e le percussioni, si assiste ad una crescita che esplode nel ritornello dove le due voci e le melodie si intrecciano perfettamente con una sessione ritmica presente, forte ma mai ingombrante. Questo brano è arrangiato e interpretato perfettamente, è molto orecchiabile (lo si impara subito dopo il primo ritornello) e ha un messaggio molto importante. Nulla è lasciato al caso e il testo unito perfettamente all’idea musicale di “GiornoZero” rende il tutto un mix coinvolgente che abbraccia e da forza allo spirito e all’animo dell’ascoltatore.

Torneremo viaggiare cantando

Passerà la tempesta

Vi siete mai chiesti : ma tutto questo passerà? Se si quando ? Quando torneremo a viaggiare? Cosa posso fare nel mentre per godermi il quotidiano? . C’è una canzone in particolare che mi lega a questa volontà di sconfiggere la tempesta ed è Change It All di Harrison Storm. Harrison Storm Tempesta appunto canta

” MOSTRA NESSUNA PAURA PER LE COSE CHE NON PUOI CONTROLLARE SPERANDO CHE TU POSSA CAPIRNE IL VALORE “

Forse quello che ci manca in questo momento è il coraggio di sognare che ci sia un futuro dopo questa tempesta , che ci sia speranza. Mi è capitato spesso di percepire queste emozioni e allora chiudo gli occhi e lascio che la musica parli direttamente al mio cuore. Perchè in fondo è questo che vuole dire Harrison Storm con la sua canzone . Vuole scuoterci l’animo e farci capire la bellezza del cambiamento .

” Change it all ” and Dreams

Cambia tutto , è un inno al coraggio di cambiare. Spesso noi tutti ci troviamo con la volontà di cambiare il nostro futuro , ma non sappiamo da dove iniziare. Forse è finalmente giunta l’ora di respirare una canzone e semplicemente sognare. In quest’epoca così cupa ci stiamo lentamente dimenticando dell’importanza dei sogni e anche qui la tempesta emotiva di Harrison Storm ci fa viaggiare ancora . “Dreams ” è una canzone sussurrata con estremo coraggio . ” Dreams ” ci fa capire che ” I sogni sono costruiti dal modo in cui vedi” . Questa immagine è tanto potente , quanto significativa poichè ci fa capire che siamo noi a plasmare la nostra realtà. La NOSTRA realtà quindi significa anche usare il passaporto universale dell’immaginazione. Sognamo viaggi e avventure perchè il nostro futuro è il presente.

Cosa significa viaggiare?

Viaggiare per me è stata salvezza e bellezza. Viaggiando ho scoperto che per me ” home is not place but a state of mind” . Viaggiando ho cantato la colonna sonora della mie esperienze più belle. Mi ricordo con gli occhi chiusi su un prato in Lituania ascoltare i Sigur Ros , non posso dimenticare Eddie Vedder a tutto volume in direzione Romania. Forse è un po’ questo quello che ci manca adesso. Quel andare errando , con il corpo e con la mente. Adesso la nostra mente è chiaramente è bloccata dagli ostacoli dei tempi moderni.

Credo che ” Society” di Eddie Vedder sia stata la mia colonna sonora di molti momenti importanti della mia vita : il mio primo viaggio in aereo da solo per esempio e il sottofondo musicale del primo lockdown . A Marzo 2020 quando non mi spiegavo come tutto potesse essersi fermato; quando questa pazza e folle società si era improvvisamente fermata la musica mi ha accompagnato.

VIAGGIO E SORRISO

Non posso augurare di essere positivi in questo periodo , bensi ottimisti. Dalla mia regione ( più precisamente da Cividale del Friuli) , c’è un gruppo emergente che sa sempre mettermi serenità: Cinque Uomini sulla Cassa del Morto . La “ Canzone del sorriso” è un’iniezione di fiducia e un inno alla vita, perchè dopo la tempesta c’è sempre il sole e torneremo a ” gridare, volare, ballare e non pensare a cose brutte” . Tutti assieme.

PENSIERI LIBERI SUL 2021

Spero di poter usare la mia penna come cura. Scriverò di albe lunari e auroree incantate. Scriverò di cascate di emozioni Scriverò fino a notte fonda. Scriverò fino a che la mia mano reggerà il peso del mio cuore. Scriverò finchè non riuscirò a capire dove sia il mio presente. Scriverò finchè non piangerò gratitudine.

La vita è l’amore per un concetto astratto, la vita è l’assioma più profondo. Non bisogna dubitare se saremo felici , bisogna domandarsi perchè la vita.

Scritto da Riccardo Moretti

Rasmus Fynbo fuori con l’album Please Panic!

Il cantante e compositore Rasmus Fynbo è tornato sulla scena con una nuova sbalorditiva uscita Please Panic!, il suo album in studio più recente che presenta una tracklist di brani molto diversi tra loro, con canzoni che esplorano vari suoni ed estetiche. Dai testi intelligenti, alle melodie affascinanti e alla produzione di livello mondiale, questo album ha tutti gli elementi di una pubblicazione che è destinata a fare colpo sul pubblico. Rasmus Fynbo è un abile cantautore che ama creare musica significativa ma al tempo stesso intonata, ispirata alla migliore musica pop, rock e indie, con una mescolanza di stili.
Vuoi alzare le braccia sopra la testa, saltare e gridare mentre sogni un mondo migliore? Ascolta Please Panic!
Please Panic! presenta 7 tracce che ti fanno vivere un vero e proprio viaggio attraverso la musica, con ogni canzone che esplora qualcosa che è assolutamente unico nel suo genere, dando a Rasmus l’opportunità di diversificarsi come artista e cantautore in molti modi fantastici. Rasmus Fynbo è un cantautore che proviene dalla Danimarca e la sua carriera artistica è attiva da oltre 25 anni. La sua musica è una combinazione di indie pop / rock, mescolato a musica folk e balcanica, con un pizzico di cabaret. «Amo molto mescolare i generi e l’uso di arrangiamenti non tradizionali – spiega Rasmus anche se le mie canzoni sono di facile ascolto, i soggetti che trattano sono generalmente piuttosto pesanti. Non scrivo molto di me stesso, invece scrivo di cose e storie che mi affascinano: i torti della società, il futuro con cui giochiamo, folli storie d’amore. – e conclude – Amo le canzoni piene di contrasti e le storie leggermente grottesche.» Ha all’attivo sette album pubblicati nel corso degli anni e sono stati tutti registrati a casa con amici, o negli ultimi tempi, con musicisti da tutto il mondo (da una distanza di sicurezza). Scopri di più su Rasmus Fynbo e non perderti Please Panic!, attualmente disponibile sulle migliori piattaforme musicali su web.

Credits

Questo album non sarebbe esistito senza l’aiuto di tutti questi musicisti di talento. Un ringraziamento speciale al mio amico, Per Solgaard, per le fantastiche sessioni di registrazione nella sua casa estiva per tutto il 2019 e per aver provato ogni tipo di strumento. Per Solgaard: Bass on all tracks. Sandra Bullet: Backing vocals on 2, 3, 5, 6 Dima Faustov: Baritone Sax, Alto sax, Tenor sax, and Soprano sax on 3,4,6. Mathias Lunde: Guitars on 2, 4, 5. Michael Hatter: Guitars on 1, 3, 6. Luisana Hernandez: Violins on 1,2,5. Miguel Vargas: String arrangement on 1,2,5. Lizzy V Backing vocals on 4 Josué García García Trumpet on 3 Giovanni Todaro Trumpet on 4 (from Italy) Marie Louise Schou Buch Backing vocals on 7 Maj Holtegaard Backing vocals on 7 Morten Iversen Drums on 7 Idinna Lützhøft Violin on 7marie All songs written and produced by Rasmus Fynbo. Mix and master by Ivan Ilyukhin.

Link Album e Artista

Streaming Video How We End: https://www.youtube.com/watch?v=fiJLrMssp7Q Get up and Fight: https://youtu.be/sZExeHO_Uuk Hindsight: https://youtu.be/b2u02B2HwBA Streaming Album Spotify https://open.spotify.com/album/4X8DOVLAV3XqGH1hcCYneg?si=lZer-384QES0m-0kFY0_jg BandCamp https://rasmusfynbo.bandcamp.com/album/please-panic Reverbnation https://www.reverbnation.com/180128/album/271515 SoundCloud https://soundcloud.com/rasmus-fynbo/sets/please-panic Apple Music https://music.apple.com/gb/album/please-panic/1552516805 Tidal https://tidal.com/browse/album/172554160 Social e Contatti Facebook https://www.facebook.com/RasmusFynboMusic/ Spotify https://open.spotify.com/artist/3gPzywCcsWpiH9alPFXPaZ?si=HwBybPRUQZCDrTD8R55wXg Soundcloud https://soundcloud.com/rasmus-fynbo Youtube https://www.youtube.com/channel/UCtJEYTxgpKb5UrQxkqNwllQ/ BandCamp rasmusfynbo.bandcamp.com MySpace https://myspace.com/mushidk Reverbnation https://www.reverbnation.com/RasmusFynbo Deezer https://www.deezer.com/da/artist/13854343 Amazon Music https://amzn.to/3if4kZl Last FM https://www.last.fm/music/Rasmus+Fynbo Apple Music https://music.apple.com/dk/artist/rasmus-fynbo/1325667379 Instagram: https://www.instagram.com/rasmusfynbo_music/ Website: Rasmusfynbo.com

E se Big Niente avesse una DeLorean ?

Di Oriana Vacante

Il 12 marzo esce DeLorean il secondo singolo estratto dell’album in uscita di Big Niente con l’etichetta MiaCameretta Records.

account instagram Big Niente

Chi è Big Niente?

Big Niente è Alessio Rinci, un artista emergente, in precedenza attivo in gruppi come Pretty Wallet e Teca, che durante il lockdown, tra marzo e giugno 2020, ha ideato e registrato “in cameretta” i primi singoli del suo album d’esordio. La musica di Big Niente è un mix di generi: alternative (shoegaze, dream pop), indie a più non posso e sonorità elettroniche (lofi, electro pop). La sua voce cantautoriale si fa accompagnare dalla musica solcandone il ritmo con parole dirette e ricorda i testi degli artisti indie che, in questi anni, hanno solcato palchi da Roma a Milano a Torino e che quest’anno hanno raggiunto il grande palco del festival della musica italiana.

e se avessi una DeLorean tornerei a non dirti che… non ricordo più che aspetto hai ma eravamo solo noi

DeLorean – Big Niente

Molta profondità anche con il brano Strade, il primo singolo in uscita dell’album d’esordio. L’artista usa un ritmo serrato ch’è segnato dal testo un po’ più cupo del singolo DeLorean. Un brano che Big Niente crea inizialmente nell’estate 2019 per poi riprenderne le redini nel 2020 e dare il giusto suono al pezzo.

C’hai preso gusto fa quello devi. Io sono un libro aperto, volta pagina. Tanto non serve a niente non lo vedi, questa follia è più forte della gravità…

Strade – Big Niente
Big Niente Indielife.it

Influenze d’arte

Tra le influenze musicali di Big Niente ci sono le sonorità di Damon Albarn, delle band The Verve e The Stone Roses, fino ai Joy Division e i Cigarettes After Sex. Oltre alla musica ci sono influenze cinematografiche che si percepiscono a partire dal nome del brano DeLorean che, per chi non avesse visto Ritorno al futuro, è la macchina del tempo usata da Emmett “Doc” Brown (Christopher Lloyd) e Marty McFly (Michael J. Fox).

Non solo, anche nel feed instagram dell’artista ci sono riferimenti interessanti. Big Niente cita il film Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman (1957) mentre la scimmia di 2001 Odissea nello spazio di Kubrik (1968) compare in un altro post e ancora lo scatto artistico Kissing under the mistletoe (1940) che ci ricorda i nostri tempi attuali.

I ricordi e la nostalgia nei brani di Big Niente

La musica di Big Niente è nostalgica ed è questa nostalgia che fa da padrone facendoci fare un tuffo nei ricordi con l’amaro in bocca. Le parole sono strascichi di vite passate che si fanno più agguerrite grazie alle sonorità alternative.

Il bianco e nero, della copertina e dei vari contenuti condivisi sui social per promuovere i brani, è un altro punto a favore del sentimento della nostalgia, sempre sul punto di tornare al passato e mai al futuro, sempre col sogno di salire su quella DeLorean e cambiare la sua vita. O almeno è questo che sappiamo, fino ad ora, di questo artista emergente.

Il 26 marzo sei pronto ad ascoltare e riascoltare l’album completo di Big Niente?

Zeromantra: l’esordio con “La distanza di un semitono”

Zeromantra è il nome del progetto di quattro amici musicisti che, animati da una forte attitudine compositiva, hanno deciso di unire le forze e le idee. Il loro album d’esordio si intitola “La distanza di un semitono” ed è omonimo ad una delle tracce contenute nell’album. Si tratta di un vero e proprio percorso compositivo e composito, in cui emergono spunti di riflessione e nel testo e nei suoni. Di stampo cantautorale, l’album racconta di una distanza che per quanto possa allontanare, fornisce sfumature: il semitono. Oltre la metafora armonica, c’è un idea del rapporto causa-effetto fra scelte apparentemente simili ma distanti, anche se, appunto, solo di un semitono. Il progetto si inserisce comunque in un contesto pop cantautorale italiano.

Per saperne di più, abbiamo intervistato Matteo Abbatti, cantante, chitarrista, autore e compositore per la band Zeromantra.

Il titolo di questo album d’esordio è “La distanza di un semitono” che ha una sua peculiarità. Mi spieghi questa scelta?

Dunque, il titolo dell’album è lo stesso di uno dei brani. L’abbiamo scelto perché sembrava abbastanza originale. Forse anche per lo spessore del contenuto del brano stesso.

La distanza di un semitono generalmente è alla base del cosiddetto cromatismo, che rimanda al concetto di colore. Non a caso l’album inizia con la traccia “la scala dei colori”. Ma quindi, con questo concetto alla base, qual è l’idea che volete esprimere?

L’idea del semitono rimanda alla vicinanza tra due cose, come possono essere le sfumature tra un colore e l’altro. Contemporaneamente però si tratta di una distanza. Parlando in termini di metafora esistenziale, si può dire che alcune scelte possono sembrare molto “vicine” mentre in realtà portano a delle conseguenze, a lungo termine, lontane. È un concetto di cui bisogna essere consapevoli. Il concetto è valido anche nella musica, dove la differenza importante tra un accordo maggiore e uno minore dipende da un semitono, ovvero dalla scelta fra due note apparentemente molto vicine.

E c’è un filo rosso che lega tutti i brani?

Sono tutti brani scritti di getto e quindi hanno un po’ il carattere dell’estemporaneità dal punto di vista melodico e testuale.

Come è avvenuta la fase di composizione e la conseguente fase di produzione?

Personalmente mi occupo della fase testuale e melodica. Poi i brani che convincono tutti diventano oggetto di arrangiamento, quindi ci lavoriamo su.  

Per quanto riguarda i testi, ci sono delle immagini molto belle. Da dove deriva l’ispirazione per storie e immagini raccontate nei brani?

Si tratta di immagini che nella maggior parte dei casi nascono da riflessioni, dalla sfera del pensiero. È una fase molto creativa. Non scrivo le cose a tavolino, ma tra tutto quello che scrivo sicuramente c’è selezione. Anche se devo ammettere he il mio modo di scrivere sta evolvendo. Ora scrivo cose un po’ diverse rispetto a quelle che si possono ascoltare nell’album.

Quindi quest’evoluzione che riguarda i testi, riguarderà anche le sonorità?

In realtà non te lo so dire con precisione. Sono convinto che la musica descrive il testo, quindi sostanzialmente dovrebbero esprimere la stessa cosa. Secondo me in un certo senso un’evoluzione delle sonorità è inevitabile.

Leggi anche l’intervista all’autore Stefano Pomes!

Indielife Magazine n°4 – Marzo 2021

Indielife Magazine n°4 – Marzo 2021

E’ uscito il numero di Marzo del nostro magazine in versione scaricabile dedicato interamente agli artisti emergenti italiani.

In questo numero: Buva, Avarello, Daniel Mendoza, Sanremo 2021, Gazzelle, Weet e molto altro

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Soli con SOLO: un’intervista psichedelica

In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Don’t shoot the piano player (it’s all in you head)” abbiamo fatto qualche domanda all’artista SOLO.

SOLO, tre aggettivi che ti descrivono e uno che ti contraddistingue, ma che ti vergogni un po’ a confessare e tieni segreto. È il momento della verità!

Domanda difficile: non credo di essere in grado di descrivere me stesso. Sicuramente direi “creativo” (la qualità delle mie creazioni la lasciamo valutare agli altri); “sensibile”, di sicuro; “fragile” (è un un po’ un dito in culo, ma non me ne vergogno né lo tengo nascosto).

L’anno scorso pubblicavi il tuo primo singolo con il nome SOLO. Una sperimentazione sonora che si avvicina più alla musica concreta che alla musica per il mercato. Di tempo ne è passato: quante cose sono successe in questi mesi, e quanto ti senti cambiato da allora? Il tuo nuovo singolo sembra andare in una direzione diversa…

In realtà, a livello compositivo, io cambio sempre approccio. Non perché lo voglia, ma perché, ascoltando un sacco di cose, in base al periodo, e in base agli ascolti, mi sento influenzato da stili differenti. Di sicuro, il leitmotiv che lega i miei brani è l’approccio psichedelico, che poi può sfociare in psichedelia pura o vestirsi di dream pop, art rock, shoegaze. Quindi, ti direi che non mi sento molto cambiato, ma cambio. Almeno, dal punto di vista compositivo.

“Don’t shoot the piano player” è un brano old school, che oggi sembra voler recuperare sonorità vicine agli anni Sessanta. Qual è la direzione dell’evoluzione della musica di oggi, secondo te? E cosa vuol dire per te recuperare quel tipo di sonorità?

Più che “recuperare”, sono sonorità che a me piacciono, quindi non valuto la cosa in base ai tempi che corrono: lo faccio per gusto, non per una scelta premeditata. E, come me, tanti altri musicisti fanno le cose perché le “sentono”, non forzandosi: il senso dell’arte è quello, insieme al tentativo di innovazione e sperimentazione di nuove forme comunicative (e sottolineo “comunicative”, perché la musica, al di là del testo, è una forma di comunicazione, cosa che, purtroppo, capiscono in pochi, soprattutto in Italia, perché non si fa formazione, in quel senso). Quello che vedo, guardando al mainstream (o alle band che tentano il salto all’interno del circuito mainstream), è un po’ un livellamento dell’offerta, un appiattimento della differenziazione di prodotti: molti musicisti provano a cavalcare l’onda del successo di altri artisti, e si forzano nello scrivere brani tutti identici gli uni agli altri, guardando solo alla moda del momento, fregandosene di essere personali. È la corsa al successo, così come ci ha insegnato la società in cui viviamo. Ma non è arte: è marketing. È un approccio non troppo diverso dallo scrivere musiche su commissione per le pubblicità: è la vittoria della standardizzazione e dell’omologazione a cui la società capitalistica ci ha abituati.

“It’s all in your head”: cosa si nasconde, secondo te, nelle teste di ognuno di noi? Che cos’è quella cosa che “è tutta nella nostra testa”?

L’idea del sottotitolo si rifà, più che altro, a una visione solipsistica del mondo: quello che percepisci è dovuto al tuo vissuto, non è univoco ed è diverso da persona a persona, perché ognuno di noi ha un vissuto differente e, di conseguenza, una personalità (fatta di credenze e ideali) differente. Dall’altro lato, c’è l’idea di “schizofrenia” che con il brano cerco di comunicare, la visione che abbiamo del mondo distorta dalla nostra percezione. Le due cose collimano: come lo schizofrenico reinterpreta il mondo secondo la propria patologia, così, ognuno di noi, lo reinterpreta secondo la propria personalità. Di fronte a una persona di colore, ad esempio, ci sarà chi proverà odio, chi proverà indifferenza, chi proverà compassione, chi proverà altro. Perché? Perché ognuno di noi è stato influenzato da fattori differenti, che possono essere paura, normalità, attaccamento. Il passo per avere una visione quanto più possibile realistica del mondo è mettere in discussione i propri credo, cercando di capire da dove derivano, da cosa sono stati influenzati e come sono entrati a far parte del nostro bagaglio emotivo, e cercare di smontarli.

Anche il videoclip del brano è piuttosto lisergico. Ci racconti come è stato realizzato?

Sul video non ti posso dare molti dettagli, perché non l’ho fatto io, e il regista che l’ha realizzato è molto restìo a palesarsi: sarà per la prossima! (ride).

Domanda a bruciapelo, altamente scomoda. Fenomeno playlist: espressione dell’eccellenza o mero strumento di controllo del mercato e di manipolazione (passami questo termine forte, su…) dell’ascolto? Se la nostra generazione è così pigra come dicono, non potremo che diventare carne da “riproduzione casuale”. In tutti i sensi. 

Mah: più che “controllo del mercato” direi “contentino”, per tutti i musicisti che si sentono, in questo modo, “arrivati”. Prima c’era bisogno del vaglio di un’etichetta, perché il tuo prodotto arrivasse a farsi conoscere (sempre se non consideriamo i circuiti DIY e indie, quando il termine “indie” voleva ancora dire qualcosa); ora basta pagare un distributore. Quindi, probabilmente anche il mercato c’entra, ma non è legato alla vendita del prodotto, bensì all’acquisto di servizi, che è tutt’altra cosa. E il compratore non è il fruitore, ma il produttore: in effetti è una cosa che fa un po’ ridere. Ascolto pareri contrastanti sull’utilizzo delle playlist: c’è chi le utilizza per scoprire nuova musica per poi andarsi ad ascoltare gli album interi degli artisti che li colpiscono, e questo è un approccio sano e interessante. Ma quanti lo fanno? Non saprei. Però il problema, in questo senso, non sono le playlist in sé, ma l’approccio che alle playlist si ha (come anche con i social: fin quando li usi in maniera oculata, vanno bene, per quanto mi riguarda). Il dilemma sorge nel momento in cui le playlist (o i social) influenzano le modalità di fruizione del servizio. Ma non ne ho grande esperienza diretta, quindi non posso darti una risposta articolata.

E della musica di oggi? Esiste secondo te un underground resistente? Intendo dire, un ulteriore sottobosco, nell’era in cui il sottobosco è diventato il mainstream? Perché, in qualche modo, mi pare tu faccia una musica diversa, rimasta underground nella mentalità…

Sinceramente, rispetto alla mia musica, non mi pongo proprio il problema: faccio, prima di tutto, quello che mi sento di fare. E manco mi interessa andare a finire all’interno del circuito mainstream, anche perché sono cosciente del fatto di non poterci andare a finire, con la musica che faccio. Per quanto riguarda le band “underground” di 10-20 anni fa che sono diventate “mainstream” negli ultimi anni, devo dire che la trovo un po’ triste come cosa; non perché siano diventate mainstream, ma perché stanno facendo musica che non mi piace. Molte band validissime che seguivo (non facciamo nomi) ormai non riesco più ad ascoltarle (pur continuando ad amare i loro primi album). Potrei citarti i Muse, fuori dall’Italia, sebbene loro possa capirli molto di più, visto che, prima di tutto, partivano già come band da palazzetto; quindi, hanno ben pensato di fare il salto paraculo per riempire gli stadi. In Italia si fa la “paraculata a metà”, nel senso che non ci si mette a fare la musica dei Negramaro (per fare un esempio), si tenta una strada “a metà”, nel tentativo di preservare la propria credibilità all’interno del circuito “underground”, ma cacciando fuori dei prodotti che trovo poco interessanti (forse ci sono riusciti solo I Ministri). Per quanto riguarda il “sottobosco”, credo ci siano un sacco di artisti validissimi, in circolazione. Ma gli si dà spazio? Troppo poco, se non nullo. Detto ciò, secondo me dovremmo più che altro interrogarci sul ruolo che ha la stampa di settore, che invece di andare a scoprire nuovi artisti, preferisce pubblicare sempre le solite cose, per accaparrarsi click. Anche se capisco che, anche in questo caso, è difficile stare dietro alla mole di prodotti che giornalmente escono. Però, insomma, hai scelto tu di fare il giornalista musicale: fallo come si deve. Basta parlare di Sanremo: quello facciamolo fare alle riviste generaliste.

Vetrina musicale: consigliaci un tuo personale disco “pietra miliare”, un disco emergente da scoprire e un artista che live non possiamo perderci (quando i gabbioni riapriranno). 

Beh, come “pietra miliare” non posso che citare “Revolver” dei Beatles: parte tutto da lì, un album di mezz’ora dove ogni brano è diverso dall’altro; pregno di sperimentazioni di ogni genere e, al contempo, così melodico: senza “Revolver” la musica, come la conosciamo oggi, non esisterebbe, dai Pink Floyd ai Radiohead. La parola “emergente” non mi piace (“Emergente” da dove? E verso dove? Magari sta bene dove sta): però, vi consiglio tutti i lavori di Antunzmask, in particolare “Al mostro” e “Zero programmi in questione”. Come band live, la prima che mi viene in mente sono i Yokoano, la band di Dani delle Pornoriviste: partono dal punk ma inseriscono, all’interno dei loro brani, elementi metal e progressive, creando un ibrido interessantissimo (in alcuni casi vicino ai Tool o ai System Of A Down). E dal vivo sono una macchina da guerra, oltre al fatto che apprezzo molto la capacità di Dani di cantare e, contemporaneamente, suonare i fraseggi di chitarra: molto complesso e molto scenico, dal vivo.

Salutaci a modo tuo, e facci una promessa che ti potremo rinfacciare di non aver mantenuto.

Vi aspetto tutte le domeniche a messa!

L’attentato alla musica dello Stato Sociale

Attentato alla musica italiana: il mega-disco de Lo Stato Sociale

Da prassi, a seguito della partecipazione al Festival di Sanremo si pubblica un album.
Lo Stato Sociale ha anticipato i tempi, rilasciando già da ben prima della kermesse i primi dei cinque mini-Ep da cinque brani che compongono Attentato alla musica italiana (Garrincha Dischi/Island Record).
All’Ariston il gruppo bolognese si è presentato con Combat Pop, che è valso la tredicesima piazza; la canzone è anche, ovviamente, tra le 25 tracce che compongono il nuovo enorme disco. Albi, Carota, Lodo, Checco e Bebo sono i titoli degli Ep che lo formano.

Albi

Combat Pop apre Attentato alla musica italiana e anche il primo mini-Ep.
Il brano sanremese però non è l’unica traccia commerciale di Albi, e la prova è la base dance un po’ sudamericana di Fucking primavera, che è il brano che più resta in mente di questo lavoro.

Carota

Il secondo mini-Ep del disco si ricollega a Sanremo grazie al featuring nel brano d’apertura, Il giorno dopo. Ecco infatti Willie Peyote, con la sua proverbiale capacità di inserire la propria musica nell’attualità:

E chi l’avrebbe detto mai che dopo Cina e America Latina

avremmo visto insieme anche una quarantena?

Com’è che si diceva? Maledetta primavera,

stare vicini è un rischio, il gioco vale la candela.

Mare di cartone, il terzo brano dell’Ep, conferma il fatto che sia l’amore il leitmotiv trattato più o meno esplicitamente in tutto il mini-disco, permeato comunque dall’ironia tipica dello Stato Sociale.

Lodo

L’Ep intitolato al frontman del quintetto bolognese è spiccatamente a cavallo tra le due linee artistiche del gruppo. Da un lato, infatti, brani come Anche oggi, domani andrà meglio ricordano i bei tempi di Ci eravamo tanto sbagliati, ma le produzioni nel complesso e canzoni come Muoio di noia ricordano che Lo Stato Sociale è ormai una realtà mainstream che cerca più le radio che la nicchia (e a Sanremo lo ha confermato).

Checco

L’apertura con i bassi distorti di Barca cattura subito l’attenzione per il quarto componente di Attentato alla musica italiana, e il testo fa ben sperare i nostalgici dello Stato Sociale indie duro e puro.
E la fede è ben riposta. Checco è decisamente l’Ep più fedele alle origini dell’album per strumentali utilizzate e
Il marchio dello Stato Sociale è evidente (basta la voce di Lodo a renderlo riconoscibile), ma questo mini-Ep è il più radicalmente rivolto al pubblico non mainstream del disco.
Ascoltare DeLorean per conferme.

Bebo

Con La senti questa forza l’ascoltatore viene proiettato in un dialogo tra Bebo e Checco sulla vecchiaia e la sua relatività, per poi trovarsi scaraventato in un monologo surreale che ha del joyceano.
Già disorientato dallo sperimentalismo più totale, l’ascoltatore finisce nella seconda traccia e il parlato non se ne va, anzi… È allora che risulta chiaro. Il mini-Ep conclusivo, Bebo, è un tributo agli Offlaga Disco Pax alias Spartiti, storico gruppo bolognese.
Cinque brani raccontati, senza canto, in tributo ad un pilastro della musica emiliana che si conclude con la struggente Sono libero.

Attentato alla musica riuscito?

Attentato alla musica italiana ha una bonus track: Non è per sempre, cover degli Afterhours, portata a Sanremo in duo con Emanuela Fanelli e Francesco Pannofino.
Concluso l’ascolto delle 26 tracce ci si sente storiditi. Non era il vecchio Stato Sociale, non era nemmeno quello commerciale sanremese, c’è ben più che una spolverata di storia della musica bolognese…
Tante cose, come dopo un’esplosione. Tante belle canzoni, alcune meno (ma su 26 è normale) e l’impressione è che, forse, sia il singolo ascoltatore a doversi esprimersi.
L’attentato alla musica è riuscito?
Di sicuro, chaos, confusione e sbigottimento ci sono. Al pubblico l’ardua sentenza.


Guidobaldi, il cantautore che crea Dipendenza

Il sound di Guidobaldi è fatto di  chitarre, hammond, rodhes e accompagnato da una scrittura fresca ma per niente scontata. Guidobaldi è un cantautore puro, uno da voce, chitarra e palchi romani, quelli di quando l’indie autoctono era nel momento di massimo splendore. Il suo singolo primo singolo “Cartolina Portuense”, uscito nel 2018,  è approdato in Viral 50 di Spotify senza toccare nessuna playlist editoriale; cosa importante da sottolineare, tanto per specificare che se un pezzo ha carattere e piace, non ha bisogno di un inserimento nella playlist editoriale di riferimento per essere considerato un singolo di successo.

Cresce artisticamente negli ambienti romani di Calcutta e Galeffi suonando sui palchi del locali più affollati della capitale.  Di recente ha pubblicato il suo ultimo singolo “Dipendenza”, una sorta di dichiarazione d’amore alla musica che ci racconterà, in maniera più approfondita, nel suo album in uscita questa primavera.

COVER DI DIPENDENZA

Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare un po’ di lui e del suo rapporto con la musica e la sua città

Ciao Matteo, benvenuto su Indie Life. Raccontaci con quale musica è cresciuto Guidobaldi

Ciao! Sono cresciuto con i dischi dei miei genitori quindi: Beatles, Queen, Mina, De Gregori, Pino Daniele, Gianni Morandi. Fondamentali per il mio avvicinamento alla musica. Poi al liceo ho scoperto il britpop ( Verve, Blur e Oasis) e l’indie in voga in quegli anni (Strokes, Arctic Monkeys su tutti). Agitando bene il tutto, esce fuori un po’ il mio mondo!

Quanto è presente Roma nelle tue canzoni? 

Lo è sempre perché è qui che vivo – almeno per ora – ed è qui che scrivo gran parte delle mie canzoni. Non ho mai voluto raccontare la mia appartenenza a Roma, ma spesso fa da cornice alle storie che racconto…inevitabilmente!

DIPENDENZA -VIDEOCLIP

Le tue sono canzoni concrete, positive e che senza troppi “fronzoli elettronici” e “iper produzioni” mi portano in una dimensione “live”. Raccontaci il tuo rapporto con i live

Mi fa piacere che tu l’abbia colto: è esattamente il modo in cui ho approcciato alla realizzazione del disco. Mi piace stare sul palco, essere a contatto col pubblico, cantare insieme a loro, per cui  il disco è normale che sia destinato a quel momento lì. È il disco giusto al momento sbagliato, ma spero davvero presto di poter tornare a suonare: è il fine di tutto, in fondo.

Quanto ti manca il pubblico?

Tantissimo e in questo periodo sto cercando disperatamente di mantenere il contatto con le persone che tempo fa vedevo ai concerti, provando ad essere più presente sui social: so perfettamente che non è la stessa cosa e, infatti, quando torneremo alla “normalità” spegnerò più spesso il cellulare.

Qual è stato il più bel concerto al quale hai assistito?

Ne porto tantissimi nel cuore, però forse direi quello dei Foo Fighters al Firenze Rocks perché è stato quello che ho atteso per più anni: stare nel pit di fronte a uno dei tuoi eroi dai tempi del liceo, beh, non ha prezzo. Concerto stragoduto.

E il più bel live di Guidobaldi?

Il prossimo 🙂

Abbiamo chiesto a Guidobaldi quale musica ascolta e lui ci ha mandato una playlist da lui stesso definita “un mix chill-punk per combattere ansia, stress da compiti, esami, scadenze”.