Dalla Puglia a Milano con un bagaglio essenziale: una vocalità calda e avvolgente, la fedele chitarra sottobraccio e un retroterra stilistico che ricorda la musica dei The National e di Phoebe Bridgers. Gabriele Dalena, in arte About Blank, si è fatto notare dalla Beautiful Losers Records grazie ad un video su Youtube. L’etichetta, attiva nella ricerca di talenti da circa tre anni, ha deciso di produrre il suo album d’esordio, omonimo dell’artista. Noi di Indielife lo abbiamo preascoltato e, in attesa che arrivi l’11 febbraio per ascoltarlo su tutte le piattaforme, vi offriamo qualche impressione.
La cover di About Blank, in uscita l’11 febbraio
Una simbiosi acustica
Le nove tracce di About Blank sono state scritte da Dalena prima di essere notato dalla Beautiful Losers, che gli ha lasciato libertà quasi totale nella lavorazione al disco. L’effetto che ne esce è estremamente efficace nella sua essenzialità. Consapevole dei suoi mezzi e dei suoi fini artistici, About Blank ha prodotto il suo primo lavoro sulla lunga distanza rendendolo un’opera simbiontica. Voce e chitarra sono protagoniste assolute anche se su due livelli diversi: l’impatto vocale è evidente, ma è la chitarra a creare le atmosfere, aprendo e chiudendo i temi, dettando il grado di nostalgia ed accompagnando i testi nel loro sviluppo. Chosen, il terzo brano (qui una demo, col piano, del 2018), è un perfetto esempio di come si sviluppi la compenetrazione tra i due strumenti principali di cui si avvale Dalena, che li rende alternativamente protagonisti.
Mettersi a nudo in musica
È lo stesso autore a parlare di questo disco spiegandone l’intimità e la sincerità: nei testi, dice, si trova lui stesso, la sua vita e le complessità di una persona capace di tradurre in musica le proprie sensazioni. In effetti, l’effetto complessivo del suo Lp è esattamente quello di essere messi di fronte ad uno specchio che riflette sia i sentimenti dell’artista sia quelli di chi ascolta. L’album gioca su produzioni folk, rock ed ambient creando un mondo emotivo in cui immergersi. Esordiente a febbraio 2022, About Blank mostra una solidità da concept mascherata da rassegna interiore in forma cantautorale.
Arrivata in redazione una notizia davvero particolare. Una nuova etichetta discografica di Salerno, la 33db Records, lancia un ex artista neo-melodico che, dopo un periodo di riflessione, decide di avvicinarsi alla musica Urban.
Totino Melillo, che abbiamo avuto il piacere di intervistare qualche giorno fa, ci racconta così del suo background e del suo nuovo brano Vierno. Il singolo è un esempio di R&B in dialetto Salernitano e Trap, perfetto per delineare l’attitudine e le skills di un artista che farà sicuramente parlare di se.
Benvenuto su IndieLife. Ci piacerebbe sapere qualcosa sul tuo background artistico …
Il mio percorso è iniziato intorno al 2013, spinto da una sconfinata passione per il canto. Ho iniziato a fare qualche piccolo concerto proponendo cover ed in uno di questi eventi venni notato da un editore di zona che mi propose l’incisione del mio primo disco. Da li in poi, da indipendente, ho cercato di sviluppare sempre di più “la mia musica”, passando su palchi più grandi e produzioni più impegnative. Sin da piccolo sono sempre stato un amante della Classica Napoletana, artisti come Nino D’Angelo, Renzo Arbore e Sergio Bruni sono tra gli autori che maggiormente hanno influenzato il mio background musicale. Importanti influenze le ho trovate anche nel Pop Italiano, esempi sono Mannoia e Battisti ed in particolar modocantautori come De Andre e Lucio Dalla.
Leggo dal comunicato stampa che hai avuto una sorta di momento di riflessione, passando a nuove sfumature musicali …
Dopo il primo disco ho sempre cercato di creare quella che potesse essere la mia musica e, progetto dopo progetto, ho sempre cercato di sperimentare e allargare i miei orizzonti il più possibile, collaborando di volta in volta con musicisti e tecnici differenti. Questo anche dovuto al fatto che qualsiasi fosse il tipo di musica che io proponessi, per il mio modo di cantare, venivo sempre etichettato come neomelodico, come se fosse un’offesa o uno sminuire il mio modo di fare musica. Dopo il mio ultimo disco “Cagna stu disco” ho deciso di sperimentare sempre di più fino a discostarmi del tutto dalle mie influenze principali, ma allo stesso tempo cercando di mantenere intatte le caratteristiche vocali che più mi piacciono. Da qui l’incontro con UanmNess con cui, per rispetto e stima reciproca, abbiamo deciso di affrontare insieme la ricerca sonora e stilistica dei miei progetti futuri. Dopo mesi di studio, tentativi, registrazioni di brani che non usciranno mai, produzioni con le sonorità più varie, è successo che pur venendo da generi d’appartenenza totalmente distanti abbiamo trovato il giusto equilibrio per creare quella che oggi è la mia musica.
Sei entrato in questo modo nel roster della 33db good noise?
Il mio lavoro in studio con UanmNess è coinciso con la creazione dell’etichetta di cui lo stesso UanmNess fa parte. La proposta è nata in studio ascoltando i frutti delle collaborazioni tra di noi. Mi sono subito sentito coinvolto dal clima di squadra che si respira con i ragazzi e mi fido delle loro professionalità, diverse ma complementari per sviluppare il mio progetto.
Cosa ti aspetti da queste tue nuove scelte musicali?
Il mio intento ultimo è quello di vivere con la mia musica e confido che le mie scelte musicali mi aiuteranno a farlo. Nello specifico, oltre a scollarmi di dosso l’etichetta del neomelodico (ndr ride!), spero di poter arrivare a più persone possibili perché credo che questo mio nuovo linguaggio sonoro mi rappresenti di più.
Dimmi di Vierno ora…
Il pezzo è stato un ennesimo tentativo tra i tanti fatti nei primi mesi di collaborazione con UanmNess. Ci siamo ritrovati un beat molto emotivo su cui la mia voce girava alla grande. Ci siamo gasati! Abbiamo scritto il brano in tre: io, UanmNess e Mezzometro. E’ stato tutto molto naturale ed è stato il pezzo che ha sancito l’inizio di un percorso e che ha definito la mia attuale scelta sonora e stilistica.
Di cosa parla?
Detto in poche parole si potrebbe riassumere con “saper rischiare”. Il brano parla di una persona che mette in discussione le proprie concretezze legandosi a qualcosa di incerto ed estremamente emotivo e cosi facendo sceglie di seguire un percorso ignoto senza sapere a cosa lo porterà quella strada.
Totino Melillo
Il miglior e il peggior momento in studio?
Il miglior momento è stato la realizzazione del primo pezzo, ”Paris”. Il peggior momento è stato quando mi hanno comunicato che “Paris” non uscirà mai … dicono loro (ndr ride!).
Non accetto un no comment ! Ci sarà il disco?
Le canzoni ci sono.La voglia è tanta.Il lavoro è in progress. Il disco… quando si allineano i pianeti.
Quali sono gli artisti con cui ti piacerebbe collaborare? Anche sognando!?
Nino D’angelo… su produzione nostra! Mi fermo altrimenti la lista sarebbe troppo lunga
Togliendo la musica. Chi sei nella vita privata? Cosa fai? Che passioni hai?
Credo di essere una persona semplice e solare che ama il divertimento e le belle situazioni.Oltre ad incidere la mia musica studio canto pop al conservatorio di Salerno. Amo Napoli ed il Napoli, sono un appassionato di calcio, gioco a basket ed ogni tanto vado a pescare ma allo stesso tempo adoro ritagliarmi dei momenti di pausa da vivere da solo o in famiglia, una chiacchierata oppure un bel film non guastano mai. Nelle relazioni mi definisco un inguaribile romantico e penso che dai testi qualcosa si possa capire! (ndr ride!).
Dopo il successo di “Run to the Sun” e “Per un Pugno di Riso”, Prhome pubblica l’ultimo video prima dell’uscita ufficiale del disco.
Questa volta, ad accompagnarlo sono Arduz e GZD (che accompagna il brano attraverso il talk box) sopra a un beat del produttore sardo Rhamez.
“Ho scelto di fare questo pezzo con Arduz”dichiara Prhome,”in primis perchéè molto bravo e poi perché con lui, fra il ’97 e il 2003, ho condiviso tantissimi palchi e dischi con il gruppo Continuorilasso, il nostro vecchio gruppo”. Prosegue poi dicendo: “Questa canzone ci ha permesso di riunirci dopo circa 15 anni e tornare ancora. E magari sarà solo l’inizio di un qualcosa che sta per ritornare?”
Il nuovo brano, Frank Sinatra, è un pezzo G-funk dall’appeal internazionale e rappresenta al 100% il marchio di fabbrica della True Life sia per quando riguarda il brand di clothing, sia per quanto riguarda le uscite musicali del branch True Life Records.
La stessa scelta del titolo è importante per Prhome che spiega: “Sono nato il 12 Dicembre, proprio come Frank Sinatra. Inoltre, non seguire le mode o le tendenze è una delle mie priorità. La mia attitudine è classica, come approccio e come stile. Chi potrebbe essere più evergreen di un personaggio come Frank Sinatra? Era un titolo perfetto per rimarcare la mia, la nostra attitudine come Crew di True Life. Frank Sinatra è lo stile Italiano nel mondo. Ed è quello che col mio G-Funk mi aspetto di far arrivare a tutti.”
Frank Sinatra, disponibile in tutti gli stores digitali, si presenta con un videoclip girato dallo stesso regista dei precedenti due video: Andrea Artioli. Il video, stiloso anche nella scelta degli outfit, è stato girato al Mr Jack di Rovigo, locale steak house di nuova apertura, perfetto per il concept del progetto.
Frank Sinatra, oltre a rappresentare uno stile, è una critica indiretta alle mode passeggere. Il classico, il G-Funk, non perdono mai valore.
Il cantautore e Founder di Milano cantautori,Davide Berardi, in arte Berardi, è una piacevole scoperta del panorama indiependente. Il suo album Odissee Metropolitane, distribuito da Artist First, è disponibile su tutte le piattaforme da novembre 2021. Con il suo stile cantautoriale, tra citazioni pop, miti e leggende, racconta storie contemporanee, concrete, di persone che possiamo incontrare nel nostro quotidiano; Racconta le nostre vite, le illusioni, le emozioni, gli ostacoli, gli amori.
Berardi ha calcato già dei palchi noti. Oltre ad esibirsi durante l’Uno Maggio Taranto, Berardi ha aperto i concerti di artisti come Niccolò Fabi, Roy Paci e Angelo Branduardi ed è vincitore di diversi riconoscimenti tra cui il Festival degli Autori di Sanremo. Ma tra tutti il più grande riconoscimento è quello al nuovo album di Berardi. Odissee Metropolitane, prodotto da Party Smith e LeLe Battista (Arisa, Morgan, La Crus, La Scapigliatura) mantiene, in ogni brano, una voce armoniosa, ritmi delicati e racconti confidenziali, a volte crudi altre volte più dolci e malinconici. Un album da ascoltare e riascoltare, che ha visto PugliaMusic decretare una delle tracce, Cognac, come uno dei 10 migliori Video&Singolo 2021!
Leggi l’intervista per saperne di più!
copertina album “Odissee Metropolitane” – Berardi
Prima domanda: Chi è Berardi?
Berardi è il mio cognome, mi piaceva l’idea che dietro questo progetto artistico ci fosse un po’ della mia vita quotidiana, della mia storia personale, quella che si lega a te e al tuo nome.
Berardi è un prof di musica di giorno ed un cantautore di sera, un artista alla continua ricerca del suono migliore per raccontare le parole che in quel momento raccontano al meglio la sua vita. Direi determinato, innamorato, concentrato!
Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuto ascoltando i dischi dei Queen, dei Beatles, Led Zeppelin, ma anche i Nomadi, Guccini, De Andrè, Gaber e Battisti, fino alla disco ed il jazz, passando per il folk e la world music. A casa mia le contaminazioni non ci hanno mai spaventato!
Come definiresti i tuoi testi e le tue sonorità?
Un desiderio. Di rendere parole e suoni più immediati possibile, che arrivino alla pancia dell’ascoltatore e lo portino ad una riflessione sul tema affrontato. Vorrei che la musica e l’arte in generale non lascino mai indifferenti e non limitino i fruitori ai soliti convenevoli “bella”, “bravo”, “orecchiabile” ma conducano sempre ad una ricerca profonda sul significato di ciò che ci provocano dentro.
Berardi
Riguardo il tuo nuovo album, “Odissee metropolitane”, com’è nata l’ispirazione? quali sono i brani a cui sei più legato?
L’ispirazione è arrivata in parte dal mio vissuto personale e in parte da quello che è accaduto un po’ a tutti negli ultimi anni. É stato abbastanza facile guardarsi intorno e prendere spunto. Sono legato in realtà a tutto il concept del disco, all’idea di voler omaggiare tutti gli eroi 2.0, semplici, umani, che con i loro sforzi e le loro battaglie quotidiane cercano di realizzare i propri sogni. La metafora con l’Odissea li rende forti e vulnerabili allo stesso tempo, li mette al centro di una società che purtroppo li vorrebbe sempre più ai margini.
Su Spotify ho visto le particolari copertine delle tracce, com’è nata l’idea di queste immagini e come mai le lettere maiuscole prima dei titoli?
Le foto dei primi due singoli sono state scattate durante le riprese dei videoclip, mentre la terza è una foto a sorpresa durante il viaggio in Thailandia con la mia compagna; le abbiamo scelte perché immortalavano la verità del momento, così come il tramonto rosso sui grattacieli della città che fanno da sfondo ad un Ulisse che torna a casa stremato (copertina dell’album, ndr) raccontano già una storia vera in cui tutti si possono rivedere.
Le lettere sono le iniziali dei giorni della settimana e rappresentano le sfide quotidiane a cui tutti siamo chiamati, ogni giorno. Sta solo a noi decidere come affrontarle. Ma è anche una proposta per l’ascoltatore: ognuno sarà libero di comporre la propria playlist in base alle sue esperienze. Questo piccolo spunto lo coinvolgerà attivamente, rendendolo per un attimo protagonista come i personaggi delle canzoni.
Ho anche notato la particolare punteggiatura nel titolo del brano “I.ta.ca“, qual è il significato?
Da sempre Itaca (senza punti) è sinonimo di casa, di porto sicuro, luogo di affetti, certezze; ma anche di un’ultima battaglia e rivoluzione finale prima della pace e della serenità, se pensiamo all’Odissea di Omero. I.Ta.Ca (la canzone) è un acronimo legato alla nostra Italia che ha attraversato e attraversa un momento difficile, la mia città, Taranto, da anni devastata dall’ acciaio e dall’inquinamento. Entrambe sono orgoglio e tormento per me, e nonostante tutto restano sempre la mia Casa quando sono lontano o all’estero.
Noi siamo della classe più distratta che ormai tutto conosce e niente sa. Ma Itaca resta là, ferma aspetta la verità.
Berardi – I.Ta.Ca
Tornando al tuo progetto musicale, in senso più ampio, quali sono gli obiettivi che hai raggiunto finora e quali i sogni da realizzare?
Sono felice di aver pubblicato il disco, dopo qualche stop forzato e momenti di difficoltà tra distanza, varie restrizioni e zone rosse. Volevo che i brani che raccontano questi anni fossero fuori per tutti. A breve saranno disponibili anche le copie fisiche, ordinabili sul mio sito www.davideberardi.it e spero con tutto il cuore nel nuovo anno di portare questi brani in giro con dei concerti in giro per l’Italia (dita incrociate!).
Sarà disponibile tra pochi giorni su tutti i migliori digital stores nazionali e internazionali il nuovo album del MUMEx Trio di Louis Siciliano dal titolo FOLDS OF TIME pubblicato da Musica Presente Records.
In the Universe, or what we shall now call the Multiverse, there are forces acting at different levels which then merge into what the ancient people called LOGOS.
(Louis Siciliano, Mumex)
MUMEx Trio di louis Siciliano – Foto di Mario Coppola
Ecco cosa scrive Renzo Cresti a proposito di questa interessantissima opera discografica:
“Louis Siciliano abbandona la realizzazione di colonne sonore (dove era una personalità avendo composto molte musiche per film importanti, quali Happy Family di Gabriele Salvatores, 20 sigarette di Areliano Amidei etc.) per concentrarsi su una personalissima e profondissima ricerca sul suono, cosmico e assoluto.
In questa performance non vi sono rimandi ad altre arti, è genuina nel suo porsi in modo puramente sonoro, senza sottotesti, riferimenti a immagini e parole. È una maniera onesta che rimanda a una necessità interiore, dal suono concreto ai piani sottili dell’Essere.
L’approccio è olistico, lo si ascolta bene in questa straordinaria esecuzione in cui Louis Siciliano suona assieme a fedeli compagni di un originale viaggio di vita e d’arte, due grandi musicisti quali Roberto Bellatalla al contrabbasso e Mauro Salvatore alla batteria, i quali sono grandi non solo per la bravura tecnica, che in certi passaggi sfiora il virtuosismo (mai fine a sé stesso ma funzionale a ciò che si vuole comunicare), grandi soprattutto perché utilizzano contrabbasso e batteria quali strumenti per realizzare qualcosa di profondo, alla ricerca di un suono pieno, abissale e senza confini. Bellatalla è fondamentale nel suo apporto melodico/armonico/strutturale, mentre Salvatore lo è per la realizzazione dell’intreccio metrico-ritmico, apporti e intrecci che non sono solo musicali ma anche esistenziali. La loro musica è sorretta dall’entusiasmo di chi sta cercando qualcosa d’importante, non solo dall’eseguirla ma dal parteciparla, dal lasciarsi prendere dal suono.
Si sente come i tre musicisti si trovino a meraviglia nella loro stupefacente improvvisazione, in un continuo ascolto reciproco, un’empatia che viene comunicata al pubblico. È l’Ethos dell’ascolto.
I suoni si muovono come foglie al vento. La sapienza tecnica è evidente, del resto è necessaria per una musica così ricca ed evoluta, ma non è sufficiente per una comunicazione vibrante, risuonante di umori e palpitante. La musica è zampillante e a un tempo sorgiva, alla ricerca di un suono aurorale, che coglie, nel fluire ininterrotto, il presentarsi via via dei suoni, abbandonandosi ad essi, suonando ciò che nel suonare si profila. L’opera è un Essere in cammino.
Per il MUMEx Trio la performance è un rito, si realizza in un tempo sacro, illimitato e libero, arcano e misterioso. Mistero e misticismo che ci conducono a quell’enigma che ciascuno di noi è per sé stesso. Segreto esistenziale linguisticamente impraticabile e che solo il suono, nella sua purezza eterea e nel suo eccedere la quotidianità, può avvicinare. La cascata di suoni del MUMEx Trio realizza un’estasi che è sospensione dell’esperienza ordinaria e si presenta come possibilità autentica, come vocazione e destino.
Il tempo estatico fa sì che la musica trascenda sé stessa, che il testo musicale diventi rivelativo ossia dica di più di quanto non dica testualmente. La performance si pone a più livelli, occorre ascoltare oltre il primo che la porrebbe nell’ambito di una particolare improvvisazione jazzistica per cogliere l’espressione più vera, quella che realizza un affondo (direbbe Adorno) nel vissuto e nell’esistenza, cogliendo il suono dell’Essere.
MUMEx Trio di louis Siciliano – Foto di Mario Coppola
Questa musica ci porta in un mondo lontano eppure coglie del presente molti aspetti a cominciare appunto da alcuni elementi jazzistici, del Jazz Contemporaneo in particolare, polimetrie e ritmi complessi che si snodano come una sorta di spirale sonora. In fondo, il ricorrere a stilemi jazzistici è anche un modo per avvicinare il pubblico. Usare il jazz quale intermediario, del resto la concezione del MUMEx non è poi distante da quella jazzistica, in senso ampio. Importante per capire la musica, la cultura, la vita di Siciliano è il suo libro MUMEx (2018), dal sottotitolo esplicito di Music Multiverse Exploration – A New Cosmology of Sound, personalissimo e dotto lavoro di scavo alla ricerca del ‘suono giusto’ (Monteverdi).
Non vi è solo il jazz, si ascoltano anche cenni alla musica indiana, va ricordato che Siciliano ha abbracciato molte idee e prassi di musiche extra-europee (suona molti strumenti provenienti da culture diverse). Le parti che compongono questo progetto vanno intese senza soluzione di continuità, seppur ognuna abbia tratti caratterizzanti, ma l’idea che sottostà al tutto è quella del viaggio sonoro che diventa viaggio esistenziale. Non vi è una forma pre-stabilita, ma solo il riferirsi a una concezione generale per la quale il processo musicale lega inscindibilmente insieme forma/vita/natura (concetto di forma vivente simile a quello elaborato da Gœthe e Schiller negli anni del loro carteggio). Il suono costituisce il DNA di questa spirale vivente e scorre fluente e naturale alla ricerca dell’essenza dell’Essere.
Il video-album di FOLDS OF TIME (Musica Presente Records) del MUMEx Trio di Louis Siciliano, sarà disponibile dal 2 Febbraio 2022 su Youtube, su Spotify e su tutte le piattaforme digitali nel mondo.” (RENZO CRESTI)
Sono ormai da qualche anno amico di Federico, e ogni volta che esce un suo brano siamo soliti ritrovarci per farci due chiacchiere, parlare del più e del meno e, magari, tirare fuori dal cilindro dell’artista apuano qualche risposta riguardo al suo futuro che possa dare profondità ad un progetto in crescita, e in costante evoluzione.
Non ce ne siamo sottratti, da questo nostro reiterato rituale, nemmeno in occasione di “Punti Fermi”: quello che segue, in effetti, è il resoconto di un qualcosa che assomiglia più ad una chiacchierata tra amici che ad una vera e propria intervista; tanto basta, però, per capire quali siano le ambizioni e la quotidianità di una sensibilità musicale tutta da scoprire.
Federico, bello ritrovarti qui dopo così tanto tempo di silenzio. Insomma, qual è il bilancio di questo 2021 appena passato e quali sono i “buoni propositi” per l’anno che ci aspetta?
E’ stato un 2021 con alti e bassi e diciamo che la musica mi ha fatto un pò da equalizzatore, mi ha sempre dato da fare. Sono stato completamente inghiottito dalla monotonia della mia routine e mi sono un po’ perso. Dopo l’uscita di “Veste di colori” sono andato in letargo con le mie pubblicazioni, anche se in realtà non ho mai smesso di scrivere, ma aspettavo solo il momento giusto. Tra queste, e quindi tra i buoni propositi per l’anno che ci aspetta, più che la canzone in sé, c’è il messaggio del brano che ormai per me è diventato come un mantra: “Riuscirò in questo 2022 a puntare la rotta verso i Punti Fermi? riuscirò a ritrovarmi?”. Lo scopriremo solo quando il tempo farà il suo “sporco lavoro”.
L’anno scorso, dopo “Moments from Space”, eri tornato a far parlare di te con “Veste di colori”. Oggi, invece, inauguri il 2022 con “Punti Fermi”. Ci racconti qualche aneddoto sul brano che non può emergere dal semplice ascolto?
Un aneddoto che non emerge dall’ascolto del brano è sicuramente questo: esiste l’inamovibile, anche se tante cose cambiano e anche noi cambiamo con esse, esistono delle cose, delle persone, degli affetti, dei ricordi e delle sensazioni che non cambiano mai. Per molto tempo mi sono rifiutato di chiedermi cosa conti per davvero, chi c’è, e rimane, e chi è meglio che tolga il disturbo. Per anni mi sono incazzato con la vita ribellandomi al destino stesso, poi ho capito che non dovevo più combattere, ma accettare la vita per quella che è. Il mondo e le persone cambiano molto velocemente e visti i tempi in cui viviamo, dove tutto dura nell’istante di un secondo, è fondamentale avere dei “Punti fermi”.
Di questi tempi, ribadire i propri “punti fermi” sembra essere un esercizio necessario per non perdersi, e per non dimenticare chi siamo. Quali sono le cose che di te hai capito, durante questa crisi globale?
Sono diverse le cose che ho capito durante questa crisi, tra queste sicuramente c’è la l’importanza dell’ascoltare, sarò sincero, prima di questa pandemia, le mie orecchie non erano così attente alle notizie come adesso. Ho rivalutato e cercato di capire il ruolo dei media, e per quanto siano messi tutti i giorni in discussione, nel bene o nel male, hanno la responsabilità di diffondere, buona informazione o, al contrario, amplificare la cattiva informazione o perfino disinformare. Credo in generale, che la pandemia possa darci una bella lezione sul rapporto tra scienza, società e informazione.
E se dovessi invece dire tre cose che hai capito di non volere, che proprio non ti appartengono?
La calma, certi amici e la voglia di “fuggire nello spazio”.
Tra l’altro, “Punti fermi” si accompagna ad una serie di soluzioni grafiche che hai messo a punto per poter stare più vicino ai tuoi ascoltatori. Ce ne vuoi parlare?
Assolutamente sì, sembra scontato da dire, ma l’idea era quella di rappresentare dei punti ovviamente, ma come si può mettere in evidenza il fatto che questi punti non si muovano? In video è relativamente semplice, basta tenere un “Punto Fermo” e far muovere lo sfondo, attraverso le immagini è molto difficile da riprodurre.
Descrivendo bene alla mia grafica la storia del brano, è nato spontaneamente questo simbolo, caratterizzato da un cerchio più grande, che è stato preso e modellato nella forma di una bussola, e al centro di esso, si trovano dei punti, che a seconda delle grafiche, visibili su tutti i miei social, cambiano.
Non è un errore d’immagine, abbiamo voluto proprio far trapelare questo concetto: “Non tutte le persone sanno di avere dei punti di riferimento, o proprio non ce l’hanno e in quel caso il cerchio è vuoto. Per tutti quelli invece che hanno dei propri punti fermi, nel simbolo possono trovarci i puntini.
Il simbolo è una sollecitazione a trovare dei riferimenti per chi non li avesse, e un’allusione a quelli che già li hanno. Tramite questo simbolo, le persone possono rendere condivisibili i propri “Punti Fermi”Questo simbolo può essere anche condivisibile semplicemente copiandolo dalle descrizioni dei post.
Prima di salutarci, consigliati un film che, secondo te, potrebbe avere come colonna sonora la tua “Punti fermi”!
Un film che potrebbe avere “Punti Fermi” come colonna sonora è “Perfect Sense” di David Mackenzie, un film che in fin dei conti riesce a comunicarti che ciò che rimane, sopravvive ad ogni altra cosa.
In occasione dell’uscita del suo primo singolo per Revubs Dischi, abbiamo fatto qualche domanda al cantautore Maelstrom, che venerdì scorso ha dato luce al suo secondo brano pubblicato dopo l’esordio da indipendente con “Pecore Nere”: oggi, invece, “Coralli” giunge da dare nuova vita ad un progetto certamente interessante, che avrete modo di scoprire meglio nelle righe che seguono. Ne vale la pena.
Maelstrom, “vortice leggendario”. Direi che è la prima volta che mi imbatto in un nome d’arte così avvincente. Partiamo di qui: in che senso e perché, “maelstrom”?
Ti ringrazio per il complimento! Maelstrom deriva da Malen “girare” e Stroom “corrente”. E’ un vortice leggendario della cultura nordica. Maelstrom è un racconto di Edgar Allan Poe. E’ un film di Denise Villeneuve ed è il frutto dell’amore incondizionato che provo nei confronti del mare e delle leggende dei marinai.
Il tuo nome, però, è Alessandro. E allora viene naturale chiederti: quali sono i punti di continuità tra Maelstrom e Alessandro, e in cosa invece differiscono, le tue due personalità?
Indubbiamente Maelstrom e Alessandro vanno d’accordo. Ho scelto questo nome, al di la delle motivazioni di cui parlavo prima, perché sono sempre stato soggetto ad accumulare sensazioni ed emozioni che spesso necessitavano di venire allo scoperto, o forse sarebbe meglio dire “a galla” e in questo processo Maelstrom è stato indispensabile, ma non riesco a trovare una vera e propria differenza tra le due personalità se non che Alessandro non va sempre in giro con il basco e il cappotto rosso.
Raccontaci di te: ricordi la prima canzone che hai scritto? Di cosa parlava?
La prima canzone che ho scritto risale al terzo anno del liceo, quando suonavo le tastiera in una band che si chiamava “La canaglia e il Gentiluomo” e parlava di un giullare che faticava a riscattare la propria condizione sociale all’interno di una corte corrotta. Ricordo chiaramente ancora tutto il testo!
Oggi, invece, “Coralli”. Anche qui, il corallo assume un valore simbolico ben preciso, che aiuta ancor di più a comprendere la fascinazione che sembri avere per tutto ciò che è nascosto, e in qualche modo “esoterico”. Ci ho azzeccato?
Più che azzeccato. Ho sempre provato un senso di attrazione e allo stesso tempo di timore in tutto ciò che ci è estraneo e nascosto e il brano “Coralli” è la voglia di azzardare, ma anche in una qualche maniera la consapevolezza di andare in contro ad una mareggiata.
Passiamo al brano. Raccontacelo, e dicci qualcosa sul pezzo che, magari, non si può evincere semplicemente dall’ascolto.
Ho iniziato a scrivere “Coralli” un po’ per rispondere alla necessità di intraprendere un nuovo viaggio, di concedermi il rischio di sbagliare senza farmene una colpa. Nel testo cito inoltre Lucio Dalla e Rino Gaetano, che oltre ad essere tra i cantautori che ho sempre ascoltato, simboleggiano il conflitto di una voce emergente che sente di non avere ancora trovato la forza e le parole giuste per esprimersi, ma che nonostante questo decide di intraprendere la propria traversata.
Ho visto che il brano è stato firmato anche da Nube, tuo compagno di etichetta. Come vi siete conosciuti, e come sei entrato in contatto con Revubs Dischi?
Nube è mio fedele amico da diversi anni, abbiamo frequentato lo stesso liceo e suonato per circa quattro anni nella stessa band e ha curato l’arrangiamento del brano in fase embrionale. Sono riuscito ad entrare in contatto con Revubs Dischi un po’ anche grazie a lui, che mi ha fatto ascoltare i loro lavori, poi ho scoperto che alle produzioni c’era il nome di Altrove che avevo iniziato a seguire da un pò di tempo e gli ho subito mandato il mio progetto.
Consigliaci un libro, un film e un album che raccontino chi è Alessandro, e anche un po’ chi è Maelstrom.
Difficile essere così selettivo, ma vai. Come libro non vado su un romanzo e ti dico “Amleto” di Shakespeare, come film “I colori dell’anima” sulla vita del pittore Amedeo Modigliani e come album “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano.
Ho conosciuto Carla solo qualche mese fa, anche se sono anni che la intravedo qua e là nelle foto di Blindur, progetto ben conosciuto del panorama indipendente nazionale che da anni porta in giro per l’Italia la sua carovana musicale – di cui ovviamente Carla fa parte, eccome. Le connessioni tra il mio e il suo mondo, in realtà, erano molte più di quelle che potessimo entrambi immaginare: entrambi grandi fan di Sorrentino e Nu Genea (questa, in ordine, è solo l’ultima delle scoperte fatte in merito alle nostre affinità), ascoltatori assidui di Stefanelli oltreché di Blindur (se non li conoscete, ad ogni modo, sentitevi in colpa e rimediate) con una forte passione per il pop e per tutto ciò che punta ad arrivare al cuore, oltre che alla testa.
Sì, fa bene specificarlo perché – a prima lettura, o meglio, ascolto – l’esordio solistico di Carla potrebbe sembrare qualcosa di distante dalle accoglienti derive nazional-popolari che caratterizzano l’ambito d’interesse editoriale della nostra rivista; i saccenti della musica etichetterebbero “Nebula” come un exploit nu-classic, forse qualcun altro si limiterebbe a liquidare il tutto nel grande oceano del “strumentale”, qualcun altro ancora forse nemmeno avrebbe il coraggio di andare oltre i primi trenta secondi disorientato dall’assenza di un testo egemonico che possa riempire (ah, quest’ansia del “riempimento”…) tutta questa musica che sembra sgorgare dal violino di Carla Grimaldi come sangue che fiotta da una ferita aperta.
La verità è che “Nebula” è forse il miglior antidoto al vostro weekend di logorroicissimi quanto vuoti testi d’amore, di morte e di altre sciocchezze (per scomodare un Maestro che con il tipo di canzoni di cui sopra c’entra ben poco) grazie a quello slancio estremamente melodico e, appunto, pop che caratterizza l’orchestrazione del brano, vero e proprio viatico all’ascolto di un certo tipo di musica che la critica si spellerebbe le penne per chiamare “impegnata” e che risulta tale solo a chi non ha la voglia di andare oltre il circoscritto, e il già detto.
Carla è una che vuole parlare alla gente, e che per farlo non vuole ricorrere a parole ma utilizzare le vibrazioni di quattro corde giuste, calde, emotive. Valeva la pena, quanto meno, conoscere l’artista in modo più profondo, e capire come nasce l’idea di questo esordio che, tuttavia, possiede radici lunghissime e lontane.
Benvenuta su Indielife, Carla. Allora, cominci l’anno col botto: cosa ti aspetti da questoincipiente 2022 ma sopratutto da questo esordio, che avviene oggi da solista dopo anni di“peregrinazioni” musicali?
Sicuramente mi aspetto un anno molto impegnativo, e la cosa mi piace moltissimo! Mi piacerebbe però mettere l’accento su quello che mi auguro: continuare a tenere alta la fiamma, pubblicare nuovi brani e continuare a lasciarmi ispirare da tutto ciò che mi circonda. Soprattutto, mi auguro che il mio settore riparta a pieno regime, e mi auguro di suonare tanto dal vivo, cosa che mi manca come l’aria.
Sei un’artista che, nel corso della sua carriera, ha attraversato generi e contesti musicalidiversi. Ci racconti un aneddoto “imbarazzante” accaduto su qualche palco?
Di aneddoti ne avrei tanti! Ma forse il più divertente è accaduto da Germi a Milano, quando durante il concerto di Blindur noto la presenza di Manuel Agnelli nel pubblico proprio nel momento in cui dovevo suonare una parte solista. Panico! Vi assicuro che non ho mai ottenuto un vibrato migliore dato quanto tremavo dall’emozione! L’assolo però mi è venuto bene, quindi la presenza di Manuel mi ha sicuramente aiutata.
La musica ha avuto ed ha un importantissimo peso specifico nella mia vita, ne sono da sempre stata appassionata e non ho dubbi nel dire che ha contribuito tantissimo alla mia crescita come persona. Il mio percorso da musicista, di contro, non è stato per niente lineare, ma anzi è stato molto burrascoso. Ho lasciato e ripreso lo studio del pianoforte più volte durante la mia infanzia ed adolescenza, e tardissimo ho iniziato a suonare il violino. Il mio approccio allo strumento è sicuramente atipico in quanto ho iniziato da autodidatta per amore del folk irlandese, passando poi al rock, per arrivare solo dopo alla musica classica, ma finalmente posso dire senza ombra di dubbio di aver trovato il mio strumento.
Ecco, parlando della tua vita personale ed “extra-musicale”, hai seguito un percorso di studiche in qualche modo sembra oggi trovare una propria sintesi con la tua attività artisticaproprio in “Nebula”. Ce ne vuoi parlare?
Certo! Ho studiato Geologia all’università, e ho sempre pensato che Arte e Scienza siano due facce della stessa medaglia: l’uomo cerca delle ancore di salvezza per spiegarsi l’inspiegabile, e secondo me può farlo tramite sia la propria parte più “emotiva” che quella più “ razionale”. Quasi sempre quando suono e compongo immagino paesaggi specifici, nel caso di “Nebula” paesaggi extra-terrestri in senso lato, e provo a descrivere con il suono del mio violino i sentimenti che provo nell’ immaginarmi mentre fluttuo tra stelle e pianeti, esplorando l’universo.
“Nebula”: definizione scientifica (so di potertelo chiedere, vista la risposta che hai dato alladomanda di cui sopra!) e musicale del brano che oggi segna il tuo esordio da solista nelmondo della musica.
“Nebula” è il nome scientifico delle nebulose, ammassi di gas e polveri dai colori sgargianti che si trovano nell’universo. Le nebulose possono avere due origini: o derivano dalla morte di una stella o rappresentano delle regioni dove in futuro si formeranno nuove stelle. Sono quindi la conguinzione tra la fine e l’inizio, e mi sembrava un bellissimo modo per celebrare il mio esordio. Il brano si articola in varie linee melodiche che descrivono proprio l’evoluzione di una nebulosa e la nascita di una stella.
Tra l’altro, dalle tue note stampa leggiamo che hai collaborato con un brandd’abbigliamento tuo conterraneo, APNOEA. Ci racconti come nasce il rapporto con loro, ein che modo le vostre “mission” hanno trovato una sinergia?
L’incontro con Apnoea è stato completamente casuale, e forse era destino che noi ci incontrassimo! Condividiamo molti ideali, primi fra tutti la sostenibilità, il rispetto per l’ ambiente e la visione di una nuova sostanza all’ interno dell’universo femminile. I loro abiti hanno espresso in pieno la visione che avevo riguardo “Nebula”, permettendomi di comunicare al meglio l’intero concept del brano.
“Nebula” sembra essere solo il primo capitolo di un lavoro concettuale che presto faràparlare di sé. E’ così? Ma sopratutto, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro di Carla Grimaldi?
Assolutamente si! E, anche se al momento mi sto godendo il mio esordio, non vedo l’ora di andare avanti! Aspettatevi sempre più viaggi intergalattici, ma anche terrestri e, perché no, subacquei! Il mio lavoro da solista sarà pieno di collaborazioni con musicisti che stimo da sempre, come Mattia Boschi, violoncellista dei Marta sui Tubi, con il quale ho sempre sognato di collaborare. Non vi dico la mia espressione commossa quando ho ascoltato la traccia chiusa con le mie linee di violino e le sue linee di violoncello! Ma questo è solo un piccolo spoiler, c’è molto altro. In più, il 2022 sarà anche l’anno di Blindur, ma non vi dico altro!
Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali è il nuovo album di Murubutu
A tre anni dall’ultima uscita, Tenebra è la notte, il rapper-professore Murubutu ritorna con Storie d’amore con pioggiae altri racconti di rovesci e temporali. Il titolo è come sempre lunghissimo, ma incarna la natura atipica di questa penna straordinaria che fa rap non per esigenza di fama e soldi, ma per letteratura, per impulso narrativo. Storie d’amore, distopie e malinconia sono i termini chiave di un disco che conferma la capacità dell’emiliano di costruire mondi attraverso un genere normalmente conflittuale e ribelle.
Amarsi sotto la pioggia
Murubutu porta l’ascoltatore nei suoi mondi, costruendo architetture narrative che rendono ogni disco una collezione di racconti brevi dedicati ad un elemento. Il soggetto, stavolta, è il diluvio. Ma questo libro-audio non contiene solo storie d’amore, come Il migliore dei mondi o Markus ed Ewa, quest’ultima ambientata nella Berlino divisa dal Muro. in Storie d’amore con pioggia “leggiamo” anche, ad esempio, di mondi paralleli dominati dai rovesci, eserciti nel diluvio e l’aneddoto biblico del Diluvio universale. Tra brani pieni di tenerezza e tracce più hip-hop, il disco è una sequenza coerente ma varia in cui i temporali avvolgono l’ascoltatore, perso nei rap-conti dell’autore.
Un disco corale
Storie d’amore con pioggia è anche un lavoro che mostra quanto Murubutu sia ormai pienamente integrato nell’underground del rap italiano, e le collaborazioni presenti in questo disco lo dimostrano. Oltre a Dia, storica voce accompagnatrice dei racconti del professore-rapper, vediamo altri nomi con cui quest’ultimo ha condiviso il microfono negli anni. Solo per fare dei nomi, c’è Mattak, coautore di Sindrome di Stendhale Narciso, e c’è Gian Flores, con cui Murubutu ha lavorato in Infernum. Inoltre, non è un caso la presenza di Dj Fastcut, che ha accolto Murubutu nel suo recente Dead Poets III.
Storie d’amore con pioggia e l’immortalità del rap-conto
Con Storie d’amore con pioggia Murubutu ripropone un format ormai consolidato. Il rap-conto è infatti diventato il suo marchio di fabbrica, una forma musicale che lo astrae dal resto della scena rap, rendendolo caratteristico ed unico. A fronte della capacità di raccontare dell’autore, la ripetitività che si trova nei suoi Lp risulta molto più coerente che noiosa. Il rap-conto, insomma, funziona, e Murubutu è un (poco riconosciuto) maestro della narrativa contemporanea convertito alla musica rap.
‘Tutte le cose che di te vorrei bruciare’ è il titolo del nuovo EP di Sammarco, disponibile da venerdì 14 gennaio in tutti gli store.
A tre anni dal disco d’esordio ‘La parte migliore’, il cantautore milanese torna con sei tracce semplici e dirette, che racchiudono tutta l’essenza della sua poetica e dei suoi riferimenti artistici.
Pubblicato da Musica Distesa su produzione dell’ex Amor Fou Giuliano Dottori, Sammarco firma musiche e testi che rimandano al più classico immaginario indie pop italiano con momenti di delicata poesia, immediate melodie e una semplicità di arrangiamenti che ha il preciso intento di rendere questo lavoro estremamente diretto.
La grottesca leggerezza di Calcutta abbraccia la compostezza di Brunori Sas, dove chitarra, pianoforte, basso e batteria sostengono le liriche in un chiaroscuro di sonorità che toccano anche il più intimista folk statunitense cristallizzato da Bon Iver.
Esperienze personali messe a nudo, fragilità emotive che emergono dalla vita quotidiana inseguono il sentimento amoroso più profondo, una passione che vibra attraversando le strofe e i ritornelli di tutto l’EP.
Il disco è accompagnato dal videoclip del singolo ‘Niente di speciale’ realizzato da Lea Palazzetti su una spiaggia di Civitanova Marche. Tutto nasce da un’idea molto semplice: quella di non voler fare un video convenzionale, o meglio, realizzare un non-video, un prodotto puramente estetico, una fotografia in movimento che riprenda e racconti una banale scena di intima vita quotidiana. Gli oggetti personali e di uso quotidiano portati in spiaggia partecipano a un rituale riservato come quello della colazione, e assumono qui la valenza del nostro lato più fragile.