Ama Il Lupo come fossi te stesso

Ama il lupo è un progetto fresco, che sembra avere tutte le carte in regola per far sentire ancora a lungo i suoi ululati alla scena italiana. Per scendere più in profondità sulle ambizioni e le radici dell’artista, gli abbiamo fatto qualche domanda: leggere quest’intervista è altamente consigliato prima e dopo essersi tuffati in “Frigo”, il secondo singolo di Ama il lupo.

Partiamo dal progetto “Animali urbani”, quello che porti avanti parallelamente a quello di AMA IL LUPO, come mai hai deciso di sdoppiarti?

In “Animali Urbani” subisco piacevolmente l’influenza degli arrangiamenti di Marco Cucciniello che cura tutte le produzioni del progetto. Viene fuori un sound-wave che mixa l’elettronica alla nostra anima puramente rock.
Con Ama il Lupo sono io da solo, i miei pochi accordi e i quaderni pieni di parole.

Se dovessi descrivere con due colori diversi i due progetti, quali sceglieresti e perché?

Per “Animali Urbani” sceglierei il rosso della Rivolta. Sono canzoni spesso arrabbiate, come chi non riesce a non dire ciò che pensa. Per Ama il lupo vedrei bene il blu del mare, così uniforme e profondo allo stesso tempo.

Nei testi delle tue canzoni si sente forte un’anima cantautorale, quali sono le tue influenze musicali?

La prima penna che ricordo da bambino è quella di Edoardo Bennato. Poi da adolescente mi sono innamorato del rock dei Doors e degli Afterhours. L’ultimo genere che mi ha fatto perdere la testa è quello della scena italiana hip-hop anni 90 di Neffa e DjGruff.

“Spaceboy” è il tuo primo singolo con questo progetto e parla del rapporto con tuo figlio, infatti nel video lo vediamo protagonista. Come fai a spiegargli che lavoro fai?

In “Spaceboy” mio figlio Jordi è il protagonista del videoclip e anche la seconda voce del brano. Più che essere un pezzo sul nostro rapporto, l’ho utilizzato per ricordare le sensazioni di quell’età. La cosa che ho sempre cercato di fare con lui è renderlo partecipe delle mie idee e delle mie scelte. So di non essere un padre tipico, ma spero di insegnargli ad avere una mente quanto più flessibile.

Che ruolo pensi abbia la musica nell’educazione dei bambini? Se ne parla poco nelle scuole?

Di sicuro dovrebbe essere molto più presente. Bisognerebbe stimolare alla creazione musicale oltre che allo studio della musica. Da sempre la musica ha un ruolo sociologico e soprattutto sulle generazioni giovani, e a mio parere in questo c’è bisogno di tornare a rafforzare l’aspetto live, quello che muove più emozioni.

Veniamo ora al nuovo brano, si chiama “Frigo” ed è adatto alla stagione che sta per arrivare, venendo ad un significato più profondo, si percepisce un senso di abbandono, di smarrimento. Come è nata questa canzone?

In “Frigo” ci sono le sensazioni che hai citato, c’è la presunzione di poter essere protagonista della scena e non solo una comparsa. Il brano nasce nel momento in cui realizzi e ammetti queste sensazioni.

Concludiamo con la top 3 dei brani che AMA IL LUPO ascolta in macchina per rilassarsi durante un viaggio..

Primo posto: Neffa, “Lo spirito della dopa”; secondo per Bon Hiver, “Holocene”; terzo invece Royksopp, con “Eple”.

Nottoli, DNA in quattro punti

Allora, parto premettendo che io per Stefano Nottoli ho un debole non da poco che certamente si farà sentire anche qui, nell’ambito di queste tre, quattro righe preparatorie all’intervista che, prima o poi, potrete leggere qui su Indielife.

Il fatto è che la genuinità e la sincerità quasi rurale (quanto mi piace, questo epiteto) con la quale Nottoli ha sempre curato la scrittura dei suoi brani riesce, ad ogni nuova pubblicazione, a confermare in me diverse certezze (sì, ho utilizzato proprio la parola certezza, anche se nell’era del dubbio universalizzato sà di arroganza e di scarsa attinenza con la realtà) che cercherò di mettervi brevemente in fila in questo vademecum all’ascolto di “DNA”, l’ultimo singolo di Stefano: per ricordarci che certe verità (altra parola proibita!) le portiamo incise sotto pelle, dentro la fibra dei tessuti e tra i filamenti del nostro codice genetico.

  1. Le cose fatte bene sono quelle che nascondono in piena vista gli effetti dell’attesa: il pane ben lievitato non rimane sullo stomaco anche laddove le farine utilizzate derivano dalla macinazione del marmo, e le canzoni ben pensate e limate (nel senso di intelligente labor lime, passatemi questi vezzi da classicista) finiscono con l’essere digeribili anche se gli ingredienti di partenza posseggono un peso specifico ingente. Insomma, nell’alchimia di “DNA” tutto si destruttura e si ricostituisce nella forma nuova di un brano che sa di trattato filosofico-esistenziale, ma anche di successo radiofonico. 
  2. Nottoli è uno di quelli che anche fra quarant’anni ne avrà sempre venti, di anni: il testo di “DNA” è figlio di ascolti tradizionali e miliari della scuola cantautorale italiana, ma il cantato è leggero e moderno perché evidentemente influenzato dalla scena contemporanea, anagraficamente più giovane di Stefano. Insomma, abituiamoci all’idea che esistono artisti capaci di far dialogare tra loro generazioni apparentemente distanti, senza porsi il limite del doveroso (e talvolta svilente) rispetto per l’anzianità.
  3. Esistono corde poste a tal punto in profondità da essere costitutive del tutto, perché fondamenta inalienabili di impalcature altissime, che per quanto apparentemente inamovibili ed eterne altro non sono che il frutto di un precarissimo equilibrio su intrecci di iuta. Ecco, un po’ come Ottavia – la città invisibile di Calvino tenuta sospesa da filamenti sottilissimi sullo strapiombo di un burrone – anche Nottoli sembra aver colto l’essenza della leggerezza, che non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, e all’occorrenza anche tuffarsi verso profondità recondite senza dimenticare mai il filo invisibile che tiene unite le vite di tutti. Insomma, “DNA” è un piccolo passo per Nottoli ma un enorme conquista per l’umanità, intesa nel senso più generale e totale del termine.
  4. E’ bello riscoprire, in questo buio 2020, che le parole – se ben usate – possono ancora riportare luce anche laddove sembrava esistere solo buio e silenzio.

Nottoli è una lucciola nella notte, e fa una luce fortissima. E tanto basta per non perderlo di vista.

“I calendari” di Dimartino

0

I Calendari – Dimartino

Quando arriva il mese di settembre la canzone che mi ronza tantissimo nelle orecchie, oltre ai 40 secondi di niente dei Verdena, è I Calendari di Dimartino. Questo singolo, che ho sentito per la prima volta nella versione duetto con Cristina Donà, mi avvolge mentalmente ad ogni ascolto, mi suscita delle emozioni ogni volta e mi trasmette tantissima dolcezza. Penso sia un singolo da ascoltare in un mattino di pioggia, adatto a chi vuole rilassare la mente e sognare ad occhi aperti magari ricordando un amore passato o pensando a un amore presente.

E sembra che non finisca mai settembre e se domani cambierò vestiti Tu riconoscimi dagli occhi o dalle linee delle mani, basterà

dal testo “I Calendari”

Un’altra versione del singolo I Calendari ho avuto l’opportunità di ascoltarla dal vivo questo 5 settembre all’Auditorium parco della musica di Roma. Si è esibito insieme al cantante un altro esperto dell’indie Colapesce. I due hanno eseguito insieme il pezzo I Calendari con un’armonia eccezionale e emozionando tutti gli spettatori. Si sentiva nell’aria il piacere di riascoltare un singolo non più nuovo oltre alle voci degli spettatori che cantavano.

Un paese ci vuole

Il singolo I Calendari fa parte dell’album Un paese ci vuole uscito nel 2015 prodotto da Picicca/Sony Music e pubblicato dalla Universal. Sono molti i singoli intensi di questo album. Ad esempio Niente da dichiarare che è un inno alla libertà, a una vita senza rimpianti…

Non pensare a quello che hai lasciato a casa

sono solo cose e le cose prima o poi diventano rovine

Dal testo Niente da dichiarare

Così come è intenso un altro estratto di questo album dal titolo La foresta che è il brano cantato insieme a una band molto forte dell’indie italiano: Le luci della centrale elettrica. Tra i singoli più apprezzati di Un paese ci vuole non posso che nominare La vita nuova. Questa vita nuova di cui parla Dimartino è così attuale e tangibile che lascia a bocca aperta quanto le sue parole siano reali. Il testo si basa sul concetto L’erba del vicino è sempre più verde ironizzandolo e trattandolo dal punto di vista di chi rimane nel suo paese d’origine e ascolta le parole di chi è partito ed è poi ritornato…

E i figli della nuova Europa scappati dopo la maturità ritornano per le vacanze e non vanno più via.

dal testo La vita nuova
Dimartino

Brevi conclusioni

Le parole di Dimartino parlano molto spesso di nostalgia, di rimpianti, ma con una positività forte, con il costante consiglio, che pare un po’ dato a sé stesso, di agire, di non lasciarsi incastrare da ciò che non è importante, da sentimenti che fanno star male, da perdite di tempo, da persone negative.

Il mio consiglio è quello di ascoltare la musica di Dimartino che, personalmente, penso sia come una medicina per l’anima. Le date del tour I Mortali sono ancora accessibili! Non perdere l’occasione di ascoltare dal vivo Dimartino e Colapesce!

Mille, quella di sempre – Intervista

Mille, nome d’arte di Elisa Pucci (sì, la cantante dei Moosek), ha esordito da solista con Animali, un brano malinconico ma determinato.

La cantautrice sta continuando a raccontare la sua storia. Come? Attraverso brani che stanno definendo una precisa cifra stilistica e nell’immagine e nelle sonorità.

Con una voce potente e delicata allo stesso tempo, Mille è un’artista che sa sorprendere.

Durante la stranissima estate post lock-down, ha poi pubblicato La vita le cose e Quella di sempre.

Abbiamo intervistato Mille per saperne di più.

La vita le cose. Un titolo senza virgola. Un brano che è una narrazione. Cosa vuoi raccontare?

La vita le cose è la risposta che ti viene di getto quando ti chiedono “come va?”. La vita le cose rappresenta il momento in cui mi sono trasferita a Milano e tutto ciò che ha comportato. Senza virgola.

Quella di sempre. Un brano evocativo, da ascoltare con consapevolezza. Com’è nato?

L’ho scritto per darmi la possibilità di vivere le cose come vengono, che spesso viene limitata. È un inno alla libertà e alla leggerezza.

Mille, come va coi Moosek?

Si tratta di un progetto parallelo a Mille. C’è una cartella dropbox denominata Moosek 2020 che però non abbiamo più riaperto, un po’ anche a causa della pandemia. Ci sono tante cose in cantiere ma nulla di programmato.

Tornando a Mille, quali sono i progetti per il futuro?

Quella di sempre, la vivo come il terzo capitolo della mia storia. Una storia che stiamo raccontando anche con i videoclip, a cui seguiranno altri capitoli.

Grazie!

Segui Mille su Instagram!

Ti è piaciuto questo articolo? Clicca su Indielife!

Intervista a PROTTO (anche se non è ricco)

PROTTO è un mattacchione di quelli veri: piglio da dinoccolata “mosca da bar” (spero non ce ne abbia, il cantautore, per la nostra citazione bukowskiana), ironia affilatissima per riaprire con cura – dietro la maschera del sorriso – le piaghe dell’anima, lessico democratico (nella sua ricercata accessibilità) di chi sa che il linguaggio rende liberi e allo stesso tempo schiavi della responsabilità che dalle parole deriva. Insomma, un cocktail dall’anarchica alchimia che va gustato a fondo solo dopo aver imparato a sorseggiarlo (e maneggiarlo) con cura; per tutti i folli someliér di buona musica, qui di seguito le indicazioni generali per capire con che sbronza musicale potreste avere a che fare, dopo aver provato PROTTO.

Ciao PROTTO, raccontaci un po’ la storia dietro “Fossi Ricco” .

Ho scritto “Fossi ricco” un giorno in cui l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavoravo è venuto ad illustrare in una mega riunione l’andamento trimestrale e il posizionamento di mercato. Tra un grafico a torta, una percentuale e un indice di cashflow il mio pensiero è volato fuori dalla finestra. In un primo momento mi sono domandato cosa avrei fatto se fossi diventato ricco: la risposta immediata è stata che sarei morto nei festeggiamenti, ma poi ho pensato a come i binomi avere/essere o prezzo/valore vengano spesso confusi tra l’oro o identificati nel medesimo concetto. E a perderci è solo la ricchezza d’animo, a discapito di una più superficiale e largamente condivisa.

Quali sono i tuoi riferimenti, musicali e non, che ti accompagnano nella costruzione di un brano o del tuo progetto?

Il mio progetto ha una forte vena ironica, a volte si sconfina nella satira, ma l’idea è quella di buttar sul ridere alcuni fenomeni di costume sotto gli occhi di tutti. Altri brani sono più riflessivi, più emotivi, per la teoria secondo cui nessun solido sta in piedi con una faccia sola. Musicalmente potrei citare i DEVO, Lou Reed, Eminem e Bjork, ma così farei un torto ad altre decine di autori che mi influiscono più o meno indirettamente. Grande passione per i testi di Caparezza, i Monty Pythons, per le vignette di Vauro e l’enigmistica.

Ti definiresti più come un critico allegorico o retroilluminato?

Critico allegorico è una definizione calzante, penso di riciclarla a mia volta! Il retroilluminismo è un fenomeno che invece mi spaventa molto: lasciarsi retroilluminare dal web è in parte impossibile da evitare oggi giorno, ma come sempre è solo questione di trovare il giusto equilibrio tra il proprio pensiero e quello degli altri (oltre a una buona dose di anticorpi ogni tanto)

Tasti bianchi o tasti neri?

Neri, tonalità più calde e sono “emergenti” come me.

Progetti per il futuro?

Parecchi! Intanto un EP a dicembre di quest’anno e poi si continua a scrivere, arrangiare e suonare… Vedremo!

Chiudi scrivendo qualsisi cosa, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.

Abbiamo tutti bisogno di categorie per semplificare il nostro vivere quotidiano, in modo da far rientrare dentro uno stesso contenitore più contenuti simili tra loro. Lo facciamo per risparmiare al nostro cervello sempre più pigro preziosi byte di memoria, e anche con la musica il pubblico ne ha bisogno. Io, invece, a volte provo a sottrarmi a questi canoni, non sentendomi pienamente rappresentato da nessuno, e così appaio “obliquo” in un mondo di cassetti ordinati, eludendo ogni definizione. Ma è solo un’arma a doppio taglio: da un lato riesco ad essere sempre me stesso al 100% in ogni cosa che scrivo, dall’altro rischio di proporre un’offerta talmente “originiale” e di nicchia da non corrispondere a nessuna domanda di mercato.

I sogni di Chris, tra leggerezza, sogno e realtà – Intervista

Si chiama I sogni di Chris, nome d’arte di Christopher Siddi, ed è un cantautore originario di Chivasso, in provincia di Torino. I suoi brani Nuvolino, il singolo d’esordio, e Senza impegno, rilasciato il mese scorso, sono un misto di leggerezza, sogno e realtà.

Noi abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con lui, in attesa di ascoltare il suo primo EP, la cui uscita è prevista per i prossimi mesi.

Ciao Chris, prima di tutto ti va di parlarci un po’ di te e del tuo percorso musicale?

Mi chiamo Christopher, sono un’insegnante di scuola primaria, uno psicologo in formazione con la passione per la scrittura. Attraverso le canzoni prendono vita alternative, le strade non prese, le sfumature che sfuggono nel quotidiano frenetico. Ho iniziato a scrivere piuttosto tardi, penso di aver accumulato esperienze prima di trovare la chiave giusta per poterle fermare.

Il tuo brano, Nuvolino, è un pezzo molto dolce e malinconico, che racconta i pensieri di una testa che pesa tanto ma punta in alto, vincendo la gravità. Com’è nato questo pezzo?

Il nome del pezzo è il soprannome che mi dava la mia maestra delle elementari, per questa mia tendenza ad estraniarmi, abitudine che tutt’oggi mi caratterizza. Il singolo è nato per necessità, bisogno di autoconsolarmi, una coccola tra le parti di me. Come se mi stessi dicendo “non preoccuparti, quello che apparentemente può sembrarti un difetto, si può trasformare in qualità che ti distinguono”.

Come nascono i testi delle tue canzoni? Ci racconti come e quando scrivi e da dove trai ispirazione?

A volte nasce prima il giro musicale che tira giù le parole, altre volte è il contrario. Spesso mi ritrovo a partire da affermazioni o frasi che suonano bene, anche dette da un passante, lette da qualche parte o che sento dire. Mi piacciono le parole e la sinergia che si crea nella scrittura. La mozzarella e il pomodoro sono entrambi buonissimi, ma la loro fusione nella caprese che cosa crea?

“I sogni di Chris” è il tuo nome d’arte. Sei un sognatore e questo emerge anche dai tuoi brani. Puoi rivelarci qualcuno di questi tuoi sogni?

Sicuramente poter dare un aiuto concreto alle persone attraverso il mio lavoro, e magari anche riempire un palazzetto non sarebbe male. Quando si canta assieme, siamo parte di uno stesso insieme senza etichette, quindi più saremo meglio sarà!

Senza impegno è “sinergia, passione, amore”. Così descrivi il tuo ultimo brano sui tuoi profili social. Io invece lo definirei un brano della leggerezza. Cosa ti ha portato a scrivere questo pezzo? Quali erano le tue emozioni?

Il brano è stato scritto dopo una giornata passata interamente a letto con la mia ragazza. Quando hai la sensazione di sentirti completo, uno dei casi in cui vale l’espressione “vivere d’amore”. Non si ha fame, non si ha sete, persino alzarsi per preparare una moka diventa una strada impervia, e quindi si opta per stare sdraiati “ancora 5 minuti” che diventano un giorno.

Grazie mille!

Abbiamo inserito i due brani di I sogni di Chris, Nuvolino e Senza impegno, nella nostra playlist Spotify dedicata agli artisti emergenti.

Boetti, i detonatori del mondano

Boetti è un duo che sembra un esercito: muri ritmici che arrivano al Cielo, chitarre telluriche puntate dritte verso il centro della Terra e peani generazionali intonati da muezzin solitari, in preda a deliri da peyote. Non vi basta questa ginsbergiana (e la scelta beat non è casuale) definizione del progetto dei due ragazzacci di Prato? Allora godetevi l’intervista che segue, e sparatevi in cuffia “Golden Boy”, il loro ultimo singolo. Ne vale la pena.

Ciao Boetti, e benvenuti su Indielife! Partiamo subito col botto: ma quanto vi siete arrabbiati, in “Golden Boy”?

Non sappiamo se “rabbia” sia il termine esatto, piuttosto diremmo “sarcasmo frustrato” o “scetticismo”. Quel che è vero è che questa non è una canzone a favore dei golden boy, anche se la scelta del “noi-lirico” in fase di scrittura ci ha per un attimo fatto temere che il testo potesse venire travisato.

Ci raccontate un po’ come è nato il brano? Il testo sembra essere un vero e proprio anatema contro una leva ben precisa di mutilati intellettivi, generazione di bestie da aperitivi e animali da riproduzione casuale (su Spotify, e non solo…).

È il risultato finale di un lungo ascolto interiore fatto durante questi anni di adolescenza e maturità giovane, nei week-end trascorsi nel centro storico di Prato, la città da dove veniamo. Crescere in provincia vuol dire tendenzialmente conoscere tutti, vedere, incontrare sempre tutti (cioè sempre gli stessi), frequentare gli stessi locali, innamorarsi delle stesse ragazze. Vuol dire essere socialmente catalogati: i figli dei ricchi da una parte, i fricchettoni dall’altra; gli appassionati di Fantacalcio in una via, chi va in discoteca nella parallela. Alla fine da tutto questo è sempre emersa, ogni notte tornando a casa, una certa insoddisfazione sopita e/o trascurata che ci ha fatto da spirito guida nel concepimento di “Golden boy”.

Ma alla fine, in qualche modo, non siamo un po’ tutti “Golden Boy”? Forse sta proprio in questa assenza di identità il quid della nostra generazione?

La non definizione identitaria sta alla base della società liquida e postmoderna. In questo particolare caso si tratta di un non tangibilità così marcata da risultare più che tangibile (il mondo, secondo T.S Eliot, finisce “non con uno schianto, ma con un sospiro”). Siamo tutti golden boy nella nostra precarietà, nel nostro bulimico ruolo di consumatori, nel perenne culto di noi stessi e della perfezione come attestato di autodeterminazione. Non c’è niente di male in tutto ciò, purché ciascuno sia almeno consapevole e in grado di interpretare, dosare e convivere con l’essere animali sociali.

https://www.instagram.com/p/CE_hG6Nj00M/?utm_source=ig_web_copy_link

La scelta musicale, poi, sembra essere quasi in controtendenza con il dilagante mainstream: chitarre arroganti e melodie spinte fino alle soglie dell’urlo per un contro-manifesto generazionale che sa di inno alla divergenza anche per la sua forma estetica. Non vi spaventa l’idea di essere “troppo rock” per il nuovo pubblico italiano?

Come diciamo spesso, è il pubblico a scegliere di seguire una musica, non la musica che sceglie di seguire un pubblico. Siamo gente che passa buona parte della giornata a suonare in casa o in sala prove e che da sempre ascolta band di rock indipendente e alternativo, sporco, gridato, terapeutico. Non disprezziamo affatto alcune forme di contemporaneità, anzi cerchiamo spesso di prendere spunto dal presente, e inoltre pensiamo che non sia possibile astenersi totalmente dalla premeditazione di una scelta stilistica in fase di arrangiamento o di fine produzione. Ma la radice essenziale delle canzoni deve essere quanto di più spontaneo possibile poiché scaturita da un’urgenza impulsiva. La nostra espressione non è invenzione, è cronaca a volte oggettiva ed esteriore, altre soggettiva e interiore.

Ma c’è qualcosa che, in fin dei conti, invidiate ai “Golden Boy”? Fosse anche solo l’inconsapevolezza e l’ignoranza della propria condizione, che talvolta si rivela essere viatico per la libertà.

Non è da noi invidiare qualcosa o qualcuno, anche perché non ci appartiene la visione di un mondo a compartimenti stagni. Per lo stesso motivo non crediamo nell’esistenza assoluta di golden boy, piuttosto di comportamenti/atteggiamenti da golden boy che si manifestano in tutti, nessuno escluso (seppur in percentuali diverse a seconda della persona). Non possiamo sapere quale dolore si possa nascondere dietro all’inconsapevolezza, alla spensieratezza forzata che diventa lobotomia di massa. Per questo ci viene naturale empatizzare e non considerarci mai estranei ai fatti.

Ci date qualche consiglio per gli ascolti? Cosa sta ascoltando Boetti, in questi giorni?

Più musica possibile e più diversa possibile. Giovanni Truppi e gli Alice In Chains, Machine Gun Kelly e i Transplants.

Lasciateci con un aforisma, una citazione o qualsiasi frase ad effetto utile per chiudere quest’intervista “generazionale”.

“A 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito “il vortice della mondanità”. Ma io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani, e ci sono riuscito. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire” (Jep Gambardella).

Vaporwave è il nuovo ep di 4Est

4Est pubblica Vaporwave, il suo nuovo ep

4Est è un eclettico asrtista partenopeo: non si può pensare altro ascoltando per la prima volta Vaporwave, il suo nuovo Ep uscito a luglio.
Quattro tracce che spaziano dall’hip hop alla trap e che dimostrano un’ottima padronanza linguistica e una grande capacità di incastrare rime sulle basi prodotte da PPPolcari, A. Gironacci e Frodyte.

Vaporwave: una title-track fedele al genere

Secondo Vaporwaveitalia, la Vaporwave è “una corrente artistica che nasce rappresentando con nostalgia un passato futuristico che non è mai esistito. E la sua prima incarnazione è un connubio di musica e immagini finto vintage.” Musicalmente, si parla di campionamenti anni ’80/’90 su basi elettroniche downtempo.
4Est dimostra di sapere che cosa sia e, grazie all’aiuto di Frodyte al mixer crea un brano quasi psichedelico: la base appare lontanissima (soprattutto in cuffia), il ritornello in inglese aggiunge al testo quasi nonsense la giusta dimensione esotica ed eterea propria del genere.
Anche se non tutto l’Ep manterrà queste sonorità, la canzone eponima è estremamente affascinante.

Frankenstein: contro l’esclusione

Il titolo evoca un personaggio leggendario della letteratura horror, e il testo, oltre alla bellezza metrica, tratta anche una questione profonda: il giudizio altrui.
Il protagonista racconta di essere definito “mostro” e riflette sul fatto che in fondo nessuno può definirsi immacolato e senza colpe; ciò che è certo, comunque, è che i veri mostri sono altri. La morale è chiara: chi esclude, diffonde pregiudizi e insulta rovinando ed isolando qualcun altro è il primo a rendersi protagonista di comportamenti mostruosi.
Con Frankenstein, però, 4Est sciorina una serie di giochi di parole estremamente efficaci, tanto più che arrivano in apertura:

Dove vai? Cosa fai? Come stai, Frankenstein?
Cosa fai? Cosa fai? Dove vai? Come stai?
Non mi ricordo da quant’è che non penso,
poi se penso non penso sia importante che pensi (penso).

Erro404 e Alieni: il resto dell’Ep

Con Error404 e Alieni termina la rassegna dei brani presenti in Vaporwave.
Due brani molto diversi, uno che incrocia le sonorità della title-track con la trap classica, facendo da base ad un testo enigmatico e pieno di giochi di parole, l’altro quasi pop dato il lunghissimo pre-chorus.
Il livello dell’Ep non si abbassa, anche se i momenti caldi sono sicuramente gli altri due.
In ogni caso, 4Est dimostra grande capacità lirica, che in prospettiva e con le giuste produzioni (che finora sta centrando in pieno) può ottenere davvero qualcosa anche in un pubblico ampio, se non mainstream.


Cacciatori nello spazio, l’intervista al batterista

E’ disponibile da ieri su tutti i digital stores il disco d’esordio di Federico Cacciatori, batterista toscano classe 1999 al primo sussulto discografico – dopo anni di gavetta e rock’n’roll – da solista: sei tracce eterogenee, collegate dal fil rouge di una narrazione musicalmente atipica. Un po’ come lui, che di seguito ha risposto ad alcune domande sul suo personalissimo progetto.

Ciao Federico raccontaci un pò da dove vieni e dove sei diretto

Ciao, Sono Federico , suono la batteria dall’età di 3 anni, mi sono appassionato alla musica grazie a mio padre, chitarrista per passione. Scrivo musica da qualche anno e quest’anno ne ho  scritto così tanta da non riuscivo più a trattenerla nei comodini e negli scaffali che ho dentro. Ho sempre ritenuto che la mia musica fosse troppo intima e personale, ma una notte davanti ad una tazza di tè e ad un meraviglioso cielo stellato ho deciso di mettermi in gioco, affacciandomi al mondo discografico come un artigiano che cerca di produrre qualcosa di diverso dagli altri.

Il ricordo più bello e quello più imbarazzante che costudisci gelosamente di te, magari su un palco.

Il ricordo più bello fu quando entrai per la prima volta dentro ad una scuola di musica, dove i miei genitori mi portarono quasi a forza perché in casa ogni cosa che avessi tra la mani per me avrebbe potuto essere potenzialmente una bacchetta. Quel giorno all’ interno della scuola presi in mano le bacchette e da li mi si aprì un nuovo mondo. Quello più imbarazzante: su un palco, qualche anno fa, suonai per tutto il concerto con la spia a fianco a me spenta; il posto era enorme e il suono si disperdeva nell’aria alla velocità della luce. Non sentivo nulla, se non il calore del publico che arrivava fortissimo verso di me. Per tutta la sera, ho guardato alcune persone del pubblico che ballavano durante i brani che eseguivo: quando mi accorgevo che le loro facce erano infelici e interrompevano il loro ballo significava che ero fuori tempo. Un’ansia incredibile!

“Moments from space” è un disco onirico, coraggioso e sincero. Un viaggio in un altrove lontano, che sembra essere fuga dalla quotidianità. Ci racconti come l’hai realizzato, innanzitutto?

Ho realizzato questo album nel periodo di quarantena, iniziando a scrivere una storia che sarebbe poi diventata il suo filo conduttore; parla di un uomo qualsiasi che, mentre pratica una delle sue attività quotidiane, viene catapultato in una realtà spaziale. Nello spazio deve fare i conti con l’assenza di tutto quello che rappresenti la sua quotidianità, la sua realtà. Inizialmente la mia idea era quella di scrivere un’unica canzone che racchiudesse tutta la storia, ma per trasmettere tutto quello che volevo dire necessitavo di più spazio e più tempo; per questo ho deciso di comporre un intero album.

C’è qualche connessione fra l’esperienza della quarentena e la creazione di questo disco?

Lo spazio per me ha sempre rappresentato una sorta di fuga dalla realtà, a prescindere dalla brutta situazione in cui si è trovato il mondo intero. Credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di uscire dalla realtà, anche solo per qualche secondo… Per rientrare nuovamente nella  prossima realtà con più consapevolezza. Uscendo dal reale anche semplicemente con un sogno o con la fantasia ci rendiamo conto di quando sia importante goderci la vita momento per momento. La mia quarantena ha ruotato intorno a “Moments from space”: chiunque avrebbe potuto immedesimarsi nel protagonista della storia, soprattutto durante la quarantena quando le relazioni sociali erano dettate dalla tecnologia e non più dai rapporti umani.

Oggi si parla tanto di giovani leve che non conoscono più l’importanza di imparare a suonare uno strumento. Quanto è importante, oggi, recuperare il valore dell’educazione musicale?

È importantissimo oggi recuperare il valore dell’educazione musicale. Dalla musica si imparano le lingue, la storia, la geografia, la matematica e la fisica.cÈ disciplina, è  terapia, è unione, è valore, è vita. Cito il maestro Ezio Bosso, che da lassù so che ci starà ascoltando: “La musica è come la vita, si può fare solo insieme”.

Salutaci a modo tuo, e dacci qualche anticipazione sul futuro!

Ciao ragazzi, vi anticipo che il mio futuro sarà ancora più bello del presente che devo ancora vivere. Buona musica, un abbraccio.

https://www.instagram.com/tv/CFAKrVuC9Kq/?utm_source=ig_web_copy_link

I Quartieri in concerto

0

I Quartieri in concerto

Il 5 settembre 2020 sono andata al mio primo concerto post lockdown! All’Auditorium parco della musica si sono esibiti Colapesce Dimartino! Il concerto fa parte del tour del nuovo album del duo I mortali. Il duo eccezionale è stato anticipato dal gruppo di apertura I Quartieri nota band romana nota anche per la sua partecipazione, con alcuni brani, nella serie tv Suburra prodotta da Netflix e diretta da Michele PlacidoAndrea Molaioli e Giuseppe Capotondi.

I Quartieri – Vivo di notte

La scelta del duo Colapesce/Dimartino di farsi introdurre da una nota band come quella de I Quartieri non è casuale. I Quartieri infatti hanno un rapporto lavorativo consolidato con Colapesce, concretizzato nella realizzazione di una cover del cantautore Lucio Battisti. Durante il concerto, del 5 settembre, la band si è esibita con i suoi singoli classici come SiriOrgano Il primo sole di maggio fino ad arrivare al nuovo brano Vivo di notte, uscito nel 2019:

I Quartieri, band romana

La band storico romana composta da Fabio GrandeMarco Santoro Paolo Testa si è fatta strada nell’indie italiano quando ancora non si usava questa etichetta per definire il loro genere musicale. Nebulose è l’EP uscito 10 anni fa, seguito da Zeno nel 2013, l’album che contiene la colonna sonora della prima stagione di Suburra: 9002.

La band I Quartieri deve la sua notorietà all’etichetta discografica 42 records che ha supportato la band nella lavorazione di Zeno e dell’ultimo album della band ASAP uscito nel 2019. Questa è la descrizione che 42 records fa della musica de I Quartieri:

Le loro canzoni piegano lo spazio e il tempo, avvolgono l’ascoltatore come in una sorta di liquido amniotico. Una morbidezza psichedelica che ben si accompagna ed esalta la voce e i testi di Fabio Grande. Testi che partono dal personale per arrivare a cantare l’universale.