Vike ci prende a schiaffi con “Sean Connery”

Si intitola “Sean Connery” il nuovo singolo di Vike, rilasciato lo scorso 6 luglio sulle principali piattaforme musicali.

Vike, nome d’arte di Vittorio Giorcelli, è un cantautore e chitarrista italiano. Nel 2017 ha esordito con il suo primo singolo, intitolato “Tutto Male“.

Sean Connery“, brano seguito a “Distante” e “Relazioni Chimiche“, verrà inserito nel primo album di Vike, la cui uscita è prevista per il prossimo autunno.

Vike - Sean Connery

Sean Connery” è un pezzo che smonta uno dopo l’altro i cliché ed i luoghi comuni della nostra epoca e del nostro paese, restando comunque molto ironico e mai superbo. È un brano che ci prende a schiaffi e ci fa sorridere, mostrandoci tutte le banalità dentro le quali spesso ci perdiamo. Il tutto accompagnato da sonorità anni ’70/’80 perfettamente legate ad un sound più attuale, tipico del genere indie-pop italiano.

La produzione è firmata Davide Ghione (V3 Recording).

Il 16 luglio è stato inoltre rilasciato anche il video ufficiale del brano:

Eppure qui una volta era tutto Sean Connery“, lui che è “più bello adesso che da giovane“; questa è solo la prima delle tante convenzioni riportate nel brano. Con questo pezzo “ho cercato di distruggere più o meno tutte le convenzioni e i cliché, con un po’ di leggerezza, sperando che a qualcuno possa strappare un sorriso”, scrive Vike sul suo profilo Instagram.

Noi abbiamo inserito Vike e la sua “Sean Connery” nella nostra playlist Spotify dedicata agli artisti emergenti.

Flic Floc – storia e curiosità del singolo 30

Ilaria Righi e Davide Porcelli, in arte Flic Floc, sono un duo veronese tra i più interessanti del panorama Indie. Grazie alla loro continua sperimentazione musicale, riescono a proporre canzoni fresche, innovative e allo stesso tempo cantabili. L’ultimo singolo 30, è il racconto di un’era che se ne va, quella della gioventù, per entrare nei mitici 30 anni, in cui ci si ritrova, come in una nuova adolescenza, a rimettere in discussione tutto. 

I Flic Floc si raccontano in questa bellissima “chiacchierata”, svelandoci il “dietro le quinte” di 30, le curiosità e gli aneddoti sul loro gruppo. 

Flic Floc – L’intervista

Ciao Ragazzi, vi ringrazio per questa intervista e benvenuti su Indielife. Il vostro ultimo singolo 30 parla di un raggiungimento di un traguardo, uno spartiacque che segna la vita di ciascuno di noi. Mi potete un po’ raccontare un po’ come è nata questa canzone? 

(Davide) – La canzone è nata in seguito alla quarantena a riflettere su determinati aspetti della mia vita, anche se non posso scindere questo periodo dall’influenza che ha avuto sul pezzo 30. Questo è stato un periodo in cui io e Ilaria, abbiamo riflettuto su alcuni aspetti della nostra vita, tra cui il raggiungimento dei 30 anni. Se non avessi fatto niente oppure concluso niente entro i 30 anni avrei dovuto mettere in discussione alcuni aspetti della mia vita e così è stato. 30 è come dire la canzone che tira un po’ le somme di questi anni vissuti. Un po’ pessimista come testo, ma allo stesso tempo uno sfogo di quelle che sono le delusioni che la vita può dare dai 0 fino ai trent’anni. 

Con il singolo 30 si tirano un po’ le somme

A proposito di pessimismo ci sono alcune frasi del tipo: “non immaginavo di arrivare ai trenta senza una casa e un maggiordomo.” riflette un po’ questa voglia di tirare le somme, ma allo stesso tempo di dire che a trent’anni non si ha combinato niente nella vita. Chi al giorno d’oggi non se lo dice a questa età…

(Davide) – La cosa che ho notato, è che alcuni spesso si rispecchiano e si dicono “anch’io sto per raggiungere i trent’anni e mi state facendo venire un po’ di ansia”. Ci è stato detto anche questo. Però se ti viene un po’ di ansia, significa che quella canzone, parla anche un po’ di te. Vuol dire che anche tu stai tirando le somme dei tuoi trent’anni cercando di mettere in discussione la tua vita. C’è chi dice che 30 anni sono un po’ come una seconda adolescenza, ed è vero, perché hai sia un po’ la voglia di fare il punto della situazione, sia la voglia di ripartire e magari di cambiare tante cose della tua vita. In positivo si spera.

E poi l’allusione alla casa e ai maggiordomi, richiama un po’ i supereroi, che hanno sempre una casa gigante, hanno mille trucchi e cose varie e pure un maggiordomo che gli sta sempre dietro. Alla fine è sempre la questione che da piccoli, fino a qualche anno fa, ci immaginavamo la vita in un’altra maniera e adesso vuoi la crisi economica, vuoi che le cose cambiano di continuo, per questa situazione di stalla ci ha sconvolto le vite pian piano. Ci ritroviamo a cambiare un sacco di cose. Sento dunque la contrapposizione tra mondo ideale che continua a sgretolarsi e il mondo reale che si rivela sempre diverso, crudo, ostico. 

Flic Floc 30 – Il videoclip e la canzone…

30 Flic Floc COVER
30 Flic Floc la copertina dell’ep

Parliamo un po’ del videoclip e della canzone… 

(Ilaria) – Reduci dalla quarantena, non abbiamo avuto modo di realizzare un videoclip professionale con videomaker ecc. “Pazza e imbarazzata” ad esempio,  è stato girato totalmente in casa, perché non si poteva uscire. Reduci da quella esperienza, ci siamo detti di provare a girare in questo modo anche il video di trenta. Abbiamo provato dunque a portare una telecamera durante la festa di compleanno di Davide e abbiamo girato così le scene. 

(Davide) – siccome Ilaria, voleva mettersi in gioco con il discorso della creazione del video, era il mio compleanno il quattro di giugno, abbiamo realizzato in maniera frettolosa, una festa di compleanno. Ilaria, ha deciso quindi di catturare i momenti più salienti della festa. Abbiamo voluto fare una cosa spontanea con bassa qualità video ecc. 

Un videoclip bello a livello emozionale

L’idea non era quella di fare un prodotto bello esteticamente, ma bello a livello emozionale. Abbiamo aggiunto al video un filtro stile vhs degli anni ‘90, per renderlo come se fosse un ricordo e non una bellissima produzione. Semplicemente, perché quello che ci interessava era catturare il momento. Ciò che conta era mettere quello stampo indie, molto genuino. 

(Ilaria) – Questo è quello che abbiamo ricercato sia in “pazza e imbarazzata” che per 30. Anche per dare un ritaglio di vita personale senza la costruzione del video in sé che è molto più bello esteticamente, ma molto meno veritiero. 

Flic Floc Pazza e Imbarazzata – il brano del post covid

Parliamo del vostro gruppo musicale. Avete già pubblicato diversi singoli. Mi avete accennato poi del penultimo singolo “Pazza e Imbarazzata”, che è stata un po’ la canzone del “post-covid”, me ne volete parlare di come è nata? 

(Ilaria) – In realtà tutti ci hanno chiesto se Pazza e Imbarazzata è stata scritta durante la quarantena, In realtà parzialmente sì, nel senso che abbiamo curato la parte finale. Pazza Imbarazzata esisteva già ed era pronta. Non risentiva del fatto che ci fosse il covid. Le due cose però hanno coinciso e le due cose si sono sposate perfettamente. Questo periodo, non ha fatto altro che rafforzare l’altra parte del testo che era già scritta. Il giorno prima del lockdown abbiamo fatto una full-immersion in studio per completare il 90% della canzone. Abbiamo poi fatto delle piccole modifiche. Non avevamo nemmeno dei microfoni professionali in casa. 

Pazza e Imbarazzata si sposa bene con la quarantena perché parla di un disturbo che è la derealizzazione o depersonalizzazione con annessi attacchi di panico che almeno il 90% delle persone ha vissuto almeno una volta. Questi disturbi, causano un distacco dal proprio e corpo e si ha la percezione di non essere più in sé stessi. Ovviamente quando succedono queste cose. La tendenza è quella di stare a casa, non avere più contatti sociali, credendo di evitare tutte quelle condizioni che possono causare il disturbo. Invece questa condizione peggiora e l’ho testato direttamente su di me.

la derealizzazione…

Avevo il timore durante la quarantena che questa condizione ritornasse e invece studiando, leggendo libri e informandosi si possono trovare delle strategie per curarsi, anche se in realtà non passa mai del tutto questa sensazione. In ogni caso il lockdown ha potenziato tutte quelle caratteristiche che ho vissuto durante l’adolescenza che mi ha regalato tutte quelle nozioni utili per finire il lavoro. Il videoclip di pazza e imbarazzata è nata in un periodo di noia. Stavo finendo dei video per la scuola di strumento e mi sono ritrovata nel bagno della mansarda e mi sono detta: “che bello!”. Tra l’altro il bagno della mansarda è particolarmente scenografico, contornato da specchi ecc. Sembrava tutto molto poetico. Ci ho montato su la musica e così per scherzo è nato il videoclip. 

un videoclip autobiografico

Ci sono elementi autobiografici, perché tu parli di eventi che hai sperimentato in prima persona, ma ricorre anche sempre questo elemento di spontaneità. Alla fine hai esplorato dei luoghi casa tua e ti sei detta che la cosa avrebbe funzionato. Possiamo dire che è nato quello che è il cuore della canzone… 

(Ilaria) – Si esatto, tra l’altro aver girato il videoclip in casa è simbolico per il fatto che durante l’adolescenza, avendo vissuto la casa, non poteva esserci luogo migliore. La quarantena l’avevo vissuta già, parlo della chiusura fisica e mentale. Girare in casa è stato perfetto. Girare in particolare in un unico luogo in questo caso il bagno, con l’elemento simbolico dello specchio dove ci si riflette e si vede uguali ma allo stesso tempo diversi è stato la cosa più adatta da fare in quel momento. 

Aria… le prime canzoni non si scordano mai

Tra le varie canzoni che avete fatto, ce n’è stata qualcuna dove vi siete divertiti particolarmente nel realizzarla? 

(Davide) – In realtà sia a livello di video, sia a livello di canzone, direi “Aria”  che è stata la prima canzone che abbiamo fatto insieme. In particolare di questa canzone esistono due versioni. Una recente che abbiamo rielaborato con il nostro ex produttore Jacopo Gobber. La prima versione, è stata realizzata tra mezzanotte e le tre del mattino. Ad un certo punto avevo già il testo e gli accordi e avevo già la bozza del testo. Con Ilaria, abbiamo iniziato a suonare con i sintetizzatori e abbiamo visto che suonando venivano fuori delle idee carine. Giocando con i suoni, nell’arco di tre ore è nato l’arrangiamento

Questa canzone è stata presentata ad un concorso ed è stata scelta per la realizzazione di un videoclip. Siccome avevamo un po’ di budget abbiamo fatto un bel viaggio. Si vede l’acquario di Genova, Montecarlo, Nizza. Montecarlo, più che una carina e caratteristica è una città ricca. Ci ha divertito sia da un punto di vista della realizzazione del videoclip, sia per la realizzazione del brano, sia da un punto di vista emotivo perché è stato un punto di partenza, per me e Ilaria. 

L’origine del nome Flic Floc

Il nome Flic Floc si rifà a quel giochino che tutti facevamo da bambini… 

(Ilaria) – Esatto quel gioco popolare dove si dice la parola insieme, si incrociano le dita, si esprime un desiderio insieme e si dice Flic o Floc. 

(Davide) – Questa è anche una metafora che allude alla sintonia. Ad esempio in Aria, è stato l’emblema di questo giochino. Io dicevo una cosa e Ilaria la pensava e viceversa. Questo pensare le stesse cose nello stesso momento, ha dato vita ad un arrangiamento in tre ore. 

(Ilaria) – anche per le altre canzoni, questo metodo di lavoro c’è. Ci viene facile, e ci fa divertire. 

…la giusta sintonia

Divertimento, ma anche la giusta intesa senza la quale difficilmente può uscire un buon lavoro, o un’emozione in chi vi ascolta. Possiamo dire che è il filo conduttore di tutto il vostro lavoro…

(Davide) – certo, se non c’è sintonia, non ha nemmeno senso. Ogni canzone deve essere essere il risultato di un’esperienza. 

(Ilaria) – magari c’è chi prevale di più nel canto, per fare un esempio. In 30 ha cantato di più Davide, ma c’è sempre una compensazione. In pazza e imbarazzata per dire ho lavorato un po’ più io nella stesura del testo, però si fa sempre in armonia. é comunque una questione di equilibrio. 

(Davide) – Dopo il diploma di Ilaria, cominceremo a lavorare ad un ep dove lavoreremo a un discorso vocale, dove proveremo a dare un’identità timbrica al progetto che dia un’immagine precisa ai Flic Floc. 

(Ilaria) – Per il momento siamo stati sempre separati vocalmente, tranne che per alcune voci o armonie, però formare un’identità timbrica dove tutte e due le voci siano presenti è il nostro prossimo obiettivo per le prossime canzoni. 

Strumenti e suoni un po’ particolari

A proposito di identità timbrica, torniamo a parlare dell’aspetto melodico delle vostre canzoni. Un aspetto che ho trovato interessante, è stato quello di inserire degli strumenti che fanno dei suoni strani, particolari… Mi volete raccontare questa scelta e se c’è stato qualche strumento che vi ha divertito particolarmente nell’inserirlo… 

(Ilaria) – Forse in 30 c’è uno strumento molto particolare, vale a dire l’utilizzo di una scala… 

(Davide) – è stata una scala di alluminio da muratore, e l’abbiamo suonata con le bacchette e le spazzole da batteria. Ci sono all’inizio anche delle pentole da cucina che però equalizzate e trasformate nella maniera giusta ed equalizzate si trasformano in qualcosa di interessante che dà colore alla canzone. Ce ne sono tanti di strumenti buffi. Per esempio in un brano di apertura, si sente il vociare delle persone che si sentono dallo studio, dai balconi ecc. o ancora le risate di Ilaria che abbiamo preso a caso e inserito.

L’idea di dar vita a qualcosa di unico…

Per quello che riguarda i suoni sintetizzati, ci piace l’idea di usare dei suoni diversi, creare qualcosa di unico. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa che sia strano, innovativo o ancora degli strumento che si lasciano manipolare come il pongo e la plastilina. Lo stesso concetto del pongo e della plastilina riportata sugli strumenti musicali, ci fa sentire dei bambini sempre felici che giocano con la musica, perché noi ci divertiamo come dei matti. 

(Ilaria) – e soprattutto anche adattare i suoni al pezzo, creare una sfera sonora adatta per ogni tipo di pezzo. Molti ci dicono che i pezzi sono un po’ a sé hanno un carattere diverso. 

(Davide) – però secondo noi, ogni arrangiamento, ogni suono che scegliamo, serve a esprimere meglio il carattere del testo. Quello che il testo vuole esprimere. La musica è come una cornice, un quadro mette in evidenza il testo. 

Gli artisti che hanno influenzato i Flic Floc

Rimanendo sul punto di vista musicale, c’è qualche artista che vi ha tracciato la strada? Spesso gli artisti parlano un po’ di come sono stati ispirati e influenzati da altri… 

(Davide) – Adesso voglio darti una risposta un po’ diversa, curiosa e se vogliamo anche onesta. In questo periodo in cui lavoriamo, abbiamo creato e composto, con delle persone che hanno dato un senso alla nostra ricerca dei suoni. Sono due artisti molto bravi e che sono stati i nostri produttori. Parliamo di Jacopo Gobber che ha un suo progetto che si chiama “Giostre” e Federico Sambugaro. Ci hanno ispirato nella ricerca sonora, nel lavorare nello studio da soli, ci hanno spronato e hanno collaborato con noi nel nostro primo album. Sono delle persone che ci hanno dato tanto. 

(Ilaria) – Anch’io condivido a pieno, nel senso che sono due artisti che oggigiorno ci influenzano. Voglio dare una risposta un po’ atipica guardando al futuro non tanto sul fatto di averlo studiato nel passato. Sono tutti quegli artisti classici che abbiamo studiato in conservatorio, ma ultimamente anche per l’arrangiamento di pazza e imbarazzata c’è molto classico. Ravel, Debussy, Respighi, hanno un po’ influenzato almeno al 5%. Stiamo riflettendo molto sul mettere quell’ambientazione sinfonica nei prossimi pezzi. 

Un ritorno alle origini

(Davide) – Torniamo un po’ alle origini per fare un mix e creare qualcosa di avanguardistico tra la musica all’avanguardia e quella del passato. Sarebbe carino fondere la realtà classica e quella indie. Senza calcare la strada di altre persone, ma semplicemente cercando una strada nuova. L’indie ad esempio era underground, è un genere vero e proprio. Mi piacerebbe creare un’identità. Nella speranza che possa nascere un genere tutto nostro. 

Avete qualche altra curiosità della quale non mi avete parlato? 

In voglio vivere con te, racconta il fatto che vogliamo vivere insieme, ma non ci siamo riusciti. Ci auguriamo per lavorare insieme per realizzare un desiderio di coppia, ma anche artistico per poterci dare più spazio tempo, occasioni. Per diventare Flic Floc al 100%.

Che io ci aiuti torna con sei inediti

Con 6 inediti torna Che io ci aiuti di Bresh

A febbraio 2020 era uscito Che io ci aiuti, album d’esordio di Bresh. Dal 24 luglio, a seguito di un successo con oltre 16 milioni di streaming, il disco di esordio di questo rapper ligure ha visto l’aggiunta di sei brani. Spiccano le collaborazioni con Ketama126, Giaime e Disme, che si aggiungono ai featuring con Rkomi, Tedua e Izi e Vaz Tè.

16 tracce tra la Liguria e la scena rap milanese

Che io ci aiuti è frutto delle esperienze di vita del rapper di Bogliasco, delle sue considerazioni e della sua necessità di spiccare il volo rispetto al proprio ambiente natale; a questo portato personale, però, si unisce l’esperienza maturata da Bresh in campo musicale. La collaborazione milanese con la crew Zona4Gang (che vede, tra gli altri, Tedua, Rkomi e Drilliguria) e con i Wild Bandana gli ha permesso non solo di conoscere e poter riproporre le sonorità classiche del rap contemporaneo emergente, ma anche di mettersi in contatto con artisti e produttori che ha potuto chiamare a raccolta nella sua prima fatica da solista.
Se in Hooligans i cori dei tifosi genoani allo stadio rimandano al legame con la terra ligure, le collaborazioni in brani come Clean, Mai brillo e Disoriental express danno ampio respiro al disco, strizzando l’occhio ai passaggi radiofonici per musicalità e fama dei cantanti.
La presenza di ben sei producers non fa che giovare alla varietà musicale del disco.

Un nuovo nome sulla scena

Nonostante sia attivo dal 2013, il nome di Bresh non è mai stato sulla bocca delle masse; adesso, il disco d’esordio Che io ci aiuti può davvero essere un lavoro di svolta.
Le collaborazioni con il mentore Tedua e con nomi come Ketama126 possono aiutare, ma Che io ci aiuti è, nella sua interezza, un disco interessate per il pubblico trap.
La traccia conclusiva, No heroes, è una perla che chiude un album che non ha nulla da invidiare a ciò che la scena del genere sta proponendo in questi ultimi anni.

GUASTO ALLA MACCHINA

UUUUUUUUUUEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!

La sirena strillava annunciando la fine del turno intermedio, quello che terminava proprio a metà notte. L’orologio grande sulla parete destra segnava le due spaccate. Carlo amava quel turno e quando il suono comunicò che per quel giorno aveva lavorato abbastanza.

Lavorava da cinque anni in una fabbrica di cosmetici, saponette e prodotti da bagno. Era una delle tante sedi appartenenti ad una grossa compagnia multinazionale con sede centrale a New York. Si trovava poco fuori Treviso, vicino ad un bosco che insieme ad altri ettari di campagna e montagne alle sue spalle, facevano parte di un parco regionale.

Nonostante il mal tempo che abitualmente si manifestava d’inverno in quelle zone, tra nebbia, ghiaccio e neve, Carlo amava molto mettersi in macchina a quell’ora, nel bel mezzo della notte.

Era un naturalista convinto, gli piaceva osservare la natura e quando era fortunato i numerosi animali che uscendo di notte si aggiravano nel parco e fuori. Per questo al contrario dei suoi colleghi che sceglievano di prendere l’autostrada per tornare a casa, preferendo la strada pulita ed illuminata ad un paesaggio che di notte poteva mettere d’avvero paura, lui percorreva sempre la strada secondaria.

Carlo non ci badava, nemmeno alle numerose leggende che imperversavano tra i colleghi e tra i contadini ed allevatori che abitavano nei paraggi. Percorreva quelle strade da cinque anni, a tutte le ore e non aveva mai visto cose particolarmente strane, era tornato sempre sano e salvo a casa.

Certo unica preoccupazione che metteva un po’ a disagio Carlo, era la totale assenza di segnale dei telefonini che durava per quasi tutto il percorso. Ma fino ad ora non aveva mai avuto problemi a tal punto da usare il telefonino.

Andò diretto negli spogliatoi salutando gli altri colleghi che avevano attaccato da poco, loro lo salutarono come sempre raccomandandosi che stesse attento ai mostri.  Era uno dei più piccoli e lo prendevano spesso in giro ma sempre bonariamente, un po’ come succede spesso in una caserma, gli volevano bene tutti. Uscì dal capannone dirigendosi verso il grande parcheggio, la sua macchina, accanto alle altre, era una grande punto nera, nuova di tre mesi. L’aveva comprata appena un mese dopo il rinnovo del suo contratto a tempo indeterminato. Era contento, aveva superato il periodo iniziale, quando la lontananza da casa e la solitudine si manifestavano tutte le notti e tutti i giorni nel suo appartamento.

Era nato e cresciuto a Palermo, ma con l’avvento della tecnologia aveva iniziato, su consiglio dei suoi, a mandare in giro il proprio curriculum subito dopo il diploma. Venne contattato dall’azienda dove adesso lavorava. Aveva trovato subito un appartamento, era piccolo ma anche basso di affitto e per lui andava benissimo. Oramai si era ambientato bene in quel piccolo centro, aveva amici, quasi tutti colleghi conosciuti nei vari turni di lavoro e ogni tanto qualche storiella amorosa. Uscì dal capannone con il suo giubbotto allacciato fin sopra il mento.

Il vento, soprattutto nel mese di febbraio, soffiava intenso, veniva giù dalle montagne sottostanti talmente fitto che ti tagliava la faccia.

. Montò in macchina sorridendo, niente nebbia, poteva godersi il breve viaggio sulla sua strada preferita. Se era fortunato avrebbe rivisto quel bellissimo esemplare di gufo reale che ogni tanto si metteva sul grande albero che c’era poco dopo il capannone. Uscì salutando con la mano il guardiano notturno che un po’ assonnato si vedeva un film nel freddo gabbiotto, la strada era completamente buia, tranne solo per il tratto vicino alla fabbrica, erano anni che il comitato di quartiere protestava con il comune per mettere l’illuminazione, ma senza risultati. Carlo non ci faceva neanche caso, tanto era abituato a percorrere quella strada, anche al buio riconosceva esattamente ogni singola buca o dosso.

In breve tempo si ritrovò a percorrere la strada statale e con un’andatura modesta percorreva quel tratto adiacente al parco naturale, la musica leggera a volume basso usciva dalla radio mentre fuori nella campagna buia, la notte si faceva sentire nei suoi rumori più comuni. Il vento portava lontano i versi degli animali che uscivano a cercare cibo, una civetta cantava sperando di avvistare un topolino. Occhi solitari nella notte accompagnavano guardinghi l’auto lungo il ciglio della strada, Carlo sapeva di cosa si trattava, di chi erano quegli occhi, che un po’ impauriti aspettavano nascosti nell’erba il passaggio delle auto per riprendere la caccia.

Negli ultimi anni, grazie a leggi severissime e a controlli più intensi da parte degli uomini della forestale, la popolazione delle volpi era aumentata e gli incontri, soprattutto nelle notti calme, erano divenuti molto più frequenti. Era partito da circa una mezz’ora, si trovava proprio nel bel mezzo della vallata, lì in quel tratto di strada dove nemmeno il più sofisticato e moderno telefonino riusciva a prendere qualche tacca, l’auto di Carlo iniziò a singhiozzare. Mentre Carlo un po’ stupito un po’ preoccupato si accostava al ciglio della strada, dall’auto fuoriuscì del fumo denso dal cofano.

La preoccupazione terminò all’istante lasciando posto alla rabbia, scese dall’auto e alzò il cofano, una vampata di fumo lo invase facendolo tossire vistosamente. Non ci aveva mai capito niente di meccanica e per questo la portava spesso dal meccanico.

“Domani vado da Roberto e gli faccio un casino “pensò rabbioso mentre con forza chiudeva il cofano della macchina e si guardava intorno cercando una soluzione al problema. Guardò distratto il cellulare, come previsto non prendeva e quindi era scartata l’idea di chiamare qualche suo collega che insieme a lui aveva staccato alle due. Nessuna macchina passava, a quell’ora quella strada era disabitata, si guardò intorno ed effettivamente, complice il buio e la nebbia che stava salendo ora che il vento aveva terminato di soffiare, quel posto non solo metteva i brividi ma sembrava un’altra terra.

Una di quelle terre isolate e dannate che venivano fuori dalle menti degli scrittori. Cercò razionalmente di allontanare quei pensieri che in quel contesto potevano creare danni e si concentrò sul problema cercando una soluzione. La macchina era fuori uso, doveva lasciarla lì, sarebbe tornato l’indomani a riprenderla con il carro attrezzi di Roberto, dopo avergli fatto una lavata di testa.

Non gli restava altra soluzione che quella di avviarsi a piedi, nella notte buia, cercando di farsi luce con il telefono ed una torcia, fortunatamente la teneva sempre in macchina per qualsiasi evenienza, e ultimamente aveva anche ricomprato le batterie. Almeno quella era una buona notizia in quel contesto sfortunato, avrebbe camminato con una discreta illuminazione davanti. Chiuse rammaricato la macchina, si mise le chiavi in tasca e si avviò lungo il ciglio della strada.

Nonostante tutto Carlo rimaneva tranquillo, almeno per il momento, camminava con passo svelto cercando di sentire o vedere qualche animale selvaggio. Ma la tranquillità stava scemando, la situazione, le terribili storie che aveva sentito su quei posti e la stanchezza dovuta al lavoro lo stavano agitando, sperava di incontrare qualche macchina o magari una casa di qualche contadino, anche se sapeva che difficilmente avrebbe ricevuto un aiuto.

La gente aveva paura e non apriva a nessuno soprattutto nel cuore della notte, quanto alle macchine poi, non tutti erano come lui che camminavano piano con l’auto e guardavano lungo il ciglio della strada. La maggior parte degli automobilisti a quell’ora viaggiava nell’autostrada e i pochi residenti che ci passavano, correvano tutti come pazzi, non si sarebbero accorti di lui così come non si accorgevano degli animali che attraversavano la strada uccidendoli puntualmente. Ombre scure, forse partorite dalla sua mente suggestionata dalle storie che improvvisamente riaffioravano come piccoli diavoli malefici e dispettosi, iniziarono a venire fuori da dietro gli alberi posti sparsi nella campagna che circondava la strada dove stava camminando.

Fantasmi di gente scomparsa e successivamente uccisa nel peggiore dei modi lo seguivano al buio, lui non li vedeva ma si sentiva osservato. Tra i suoni tipici della notte riusciva a sentire perfino il loro respiro rauco, sporco ed affamato. In lontananza lupi ululavano alla luna piena. Decise di girarsi mosso da quella strana curiosità masochista tipica di chi ha paura, quello che vide non gli piacque per niente. Corpi smembrati, fatti a pezzi e sporchi di terra lo minacciavano prima nascosti dietro gli alberi, ora dietro di lui, in mezzo alla strada, una volta scoperti, la rabbia mista alla fame di carne fresca ed umana aumentò facendoli diventare spavaldi. Li vide dietro di lui, con i loro organi putrefatti e penzolanti dalle loro carni smembrate.

Si mise a correre, più forte che poteva e dietro di lui quei corpi, quelle persone una volta contadini ed allevatori, ora cadaveri affamati. Percorse a perdifiato circa tre chilometri, la folla impazzita di cadaveri dietro di lui si era affievolita molto, alcuni erano diventati tanti pezzi di carne sparsi qua e là per la strada, le condizioni dei loro corpi non ressero alla corsa e finirono di smembrarsi. Alcuni, avvistato un branco di cervi, si concentrarono su quelle carni, più ricche di grasso e più semplici da prendere.

Ma restava uno sparuto gruppetto di irriducibili che continuava a correre dietro lui con la bava alla bocca, o quello che ne restava di essa. Vide una grande casa davanti a lui, il suo cuore batteva forte, sembrava volesse uscirgli dal petto, raccolse le ultime forze che gli rimanevano nei muscoli e si diresse verso quella villa, che strano ma vero aveva ancora luci accese.

In meno di venti minuti coprì quei cinquanta metri che lo separavano dal cancello, era stranamente aperto, entrò un po’ sollevato, un po’ sorpreso. Intorno alla grande casa, una struttura vecchia e con la vernice consumata dagli anni e dalle intemperie, si estendeva un’immensa distesa di campagna, prato ed alberi, chiunque abitava lì era ricco e con grandi quantità di ettari di terra.

Si stupì che nonostante fosse minacciato da strani cadaveri famelici, aveva pensieri banali, pensava ai soldi di questa gente mentre rischiava di morire, ironico, ridicolo ed esilarante.

Il viale d’entrata era fatto di un vecchio porfido montato male e con il tempo si stava alzando, rischiò di caderci un paio di volte durante la corsa. Si girò ed una cosa lo sorprese quasi quanto scoprire quei cadaveri. Non erano entrati, il grande ed arrugginito cancello era sempre spalancato e dall’aspetto sembrava aperto in quel modo da anni, ma loro non erano entrati a seguirlo. Si bloccarono davanti a quel cancello e sembravano impauriti mentre guardavano la casa dietro di lui. Non si fece altre domande, emise un grande sospiro di sollievo e continuò ad avventurarsi in quella strana villa che per il momento gli aveva salvato la vita. Tutto intorno era sporco, disordinato ed abbandonato. Un vecchio lavatoio pieno di acqua piovana era diventato la casa di muffa e rane.

Alberi pieni di frutti che marcivano ai loro piedi senza essere raccolti, la luce al piano di sopra era sempre accesa, da lì una dolce melodia di musica classica suonata al piano

risuonava nell’eco della notte. Alle sue spalle un ragazzo, sui trent’anni, biondo e sporco gli passò accanto. Era molto secco, debilitato, indossava dei vecchi jeans, una camicia ed un paio d’infradito. I vestiti erano molto trasandati e lui aveva l’aspetto di un drogato, gli occhi spiritati e il passo veloce.

Gli passò accanto non curante di lui, come se fosse normale che un estraneo nel pieno della notte fosse in casa loro. Carlo provò a parlargli per spiegargli quello che era successo, ma non ebbe fortuna, la sua voce sembrava senza suono alle orecchie di quel ragazzo che continuò il suo cammino verso una grande discesa che portava ad un garage. Lo seguì incuriosito e con la speranza di trovare qualche mezzo da prendere in prestito per tornare a casa. In fondo alla discesa il garage era aperto, due macchine ed una moto spiccavano e diedero una piccola speranza a Carlo, “di sicuro uno di questi mezzi funzionerà”, pensò felice.

Durò poco, molto poco la felicità e la speranza di andarsene da quell’incubo. Erano tutti fuori uso, tre mezzi davanti a lui e tutti fuori uso, chi aveva tutte e quattro le gomme bucate, chi non aveva la batteria chi addirittura era senza motore.

Ma le brutte sorprese non finivano di certo con i mezzi in disuso, oltre a quelle carcasse di auto e della moto, Carlo vide una scena che gli gelò il sangue nelle vene. Vide il ragazzo di prima accanto ad un altro, si assomigliavano, erano fratelli si vedeva benissimo, ma non fu questo a sconvolgerlo, bensì la visione macabra e assurda di due persone una accanto all’altra con le siringhe ancora nelle braccia, apparentemente senza vita. Rimase lì per una serie lenta di minuti, in silenzio, bianco in faccia, aveva talmente paura e stupore per quello che gli occhi gli stavano trasmettendo a tradimento che non trovava neanche la forza di urlare. Come se urlando avesse risolto il problema, era lui solo in una landa desolata piena di nebbia e buio e due possibili cadaveri davanti.

Dopo lo stupore iniziale si fece forza e si avvicinò ai corpi inermi stesi addosso al muro. L’odore acre che già aveva sentito nell’aria, mischiato a quello delle gomme e della polvere, che aveva sentito appena entrato nel garage, lo investì come una macchina in piena faccia. Il ragazzo più grande era anche quello sicuramente morto, molti e molti mesi prima. La siringa ancora infilata nel braccio era l’unica cosa ancora integra in quel ragazzo, il resto era un corpo visibilmente decomposto, si riconoscevano a malapena la pelle mischiata alle fasce muscolari che spuntavano attaccate alle ossa ma ancora per poco.

Si coprì il naso con la maglietta, l’odore di morte e sangue rappreso gli fece venire su conati di vomito. L’espressione del viso era spenta, occhi inermi, spalancati e fissi verso il vuoto, i vestiti sembravano la fotocopia più sporca, sudicia e malridotta di quelli che portava suo fratello più piccolo accanto a lui. Quell’immagine continuò a sconvolgerlo. Il suo petto non si muoveva, si fece coraggio e gli toccò con due dita la vena del collo e non sentì nemmeno il cuore, era morto anche lui.

Davanti a lui adesso aveva l’immagine del passato, presente e futuro di quei due ragazzi, poteva vederlo chiaro e nitido come se anche lui fosse cresciuto in quella casa e avesse respirato la loro stessa aria.  Il ragazzo più grande, sicuramente era stato lui ad iniziare a bucarsi trascinandosi nel baratro subito dopo anche suo fratello. Poi lui era morto e il fratellino aveva continuato, accanto a lui sperando di raggiungerlo il prima possibile e quel giorno era arrivato. Ora dopo averlo raggiunto attendeva di trasformarsi come lui, di vedere il suo corpo deteriorarsi da solo dopo averlo distrutto per anni.

Un rivolo di sangue gli uscì dal buco del braccio e gocciolò a terra, fu letteralmente l’ultima goccia. Scappò da quel posto risalì la salita e corse nel viale, al secondo piano la luce era accesa, ma la musica non si sentiva più, alzò gli occhi vide una grossa sagoma alzarsi da dietro una tenda. Si nascose temendo che il padrone di quella che sembrava una squallida casa uscita da un film horror

americano, l’avesse sentito. Si mise dietro un grande cespuglio da dove si vedeva la porta d’ingresso. Da quella porta uscì un altro ragazzo, più grosso degli altri due, sia di età che di corporatura. Aveva capelli ricci e sporchi che sembravano uno di quei vecchi ed impolverati cespugli del deserto. Era letteralmente un gigante rispetto agli altri due, che erano più bassi e con il corpo secco e denutrito. Anche con quest’ultimo ragazzo, nonostante l’enorme stazza del suo corpo, era visibile la somiglianza con gli altri che stavano giù nel garage, sperò per un secondo di poter chiedere aiuto e magari informarlo della tragedia, ma quel pensiero si gelò nella sua mente e tornò indietro, quando la luce del lampione acceso sopra il portone lo illuminò meglio. Quello che vide Carlo, era un omone di circa due metri, con una corporatura ed un peso non inferiore ai cento chili.

Portava i pantaloni di una vecchia tuta anch’essa molto sporca e macchiata. Dal suo aspetto era evidente la sua sporcizia e l’assenza di un’igiene personale, lo sguardo ed il modo di camminare gli fecero capire la sua instabilità mentale appena lo vide spuntare. Ma quello che scaturì il vento gelido nelle sue ossa fu la felpa azzurra che portava e il grembiule legato intorno alla vita, un tempo bianco, ora macchiato visibilmente di rosso sangue, sangue umano.

Non credeva più ai suoi occhi, a quello che vedeva e a quello che stava vivendo, sembrava di vivere in un vecchio romanzo horror. Il ragazzone pazzo prese una carriola vuota e si diresse verso un antico sentiero che si perdeva in mezzo al campo di erba incolto. Decise di seguirlo, ormai era dentro quell’incubo e se voleva uscirne doveva trovare il modo di sfruttare i demoni che vi ci abitavano. Il lungo sentiero conduceva ad un’antica baracca metà costruita in cemento e mattoni e l’altra metà tirata su con lamiere di metallo. Più si avvicinava più sentiva sempre più intenso l’odore degli incubi mischiati alla paura e a quell’odore acre e denso che aveva già sentito nel garage, ma molto più forte.

Era odore di sangue, di morte. Si fece coraggio e andò avanti, come arrivò nelle vicinanze della baracca, l’omone era già dentro, stava lavorando e i sentiva tipici rumori di chi batte qualcosa su un piano di lavoro. La struttura  era  molto  grande,  sembrava un’antica officina  di  un  fabbro  e  i  rumori  che venivano da dentro sembravano confermare questo, ma l’odore tradiva quei pensieri. Vide da lontano volare qualcosa dal lato sinistro, all’inizio pensò che potesse essere cascato dal tetto, ma da una debole luce proveniente dall’interno, intuì che c’era una finestra sul quel lato e decise di avvicinarsi per vedere se poteva esserci qualcosa di utile per lui e osservare cosa facesse quell’omone a quell’ora della notte, quest’ultima cosa non era proprio sicuro di volerla scoprire ma si fece coraggio. L’odore era insopportabile, si mise la sciarpa sul naso per attutire l’impatto con l’aria acre.

Una piccola lucina usciva dall’officina e strani rumori sinistri uscivano dalla finestra, sembrava stessero tagliando o segando qualcosa che gli ricordava troppo delle ossa, si sforzò di pensare che se davvero erano ossa, sarebbero state di animali ma una parte di sé non ci credeva.  Si acquattò per non farsi vedere, ma la luce tascabile che aveva in tasca l’aveva spenta e non vide in cosa era inciampato. Intuiva che proprio sotto la finestrella c’era una montagnola d’immondizia forse.

 Pregando di  non  essere  scoperto  riaccese  la  lampadina tascabile, attutendo la luce con la mano davanti. Carlo dovette soffocare un urlo di paura, sorpresa e altri conati di vomito. La montagnola dove era inciampato non era affatto immondizia o comunque non di quella comune che pensava di trovare lui. Sotto e affianco a lui c’erano resti di uomini, donne e bambini brutalmente assassinati e fatti a pezzi. Una mano inerme e insanguinata gli

prendeva dolcemente una caviglia, mentre una testa bionda, spaccata a metà che ricordava vagamente una donna, lo guardava con quello che gli era rimasto degli occhi vitrei e senza espressione se non quella che aveva lui in quel momento, paura e sgomento. Si rialzò di corsa e andò a vomitare nascosto pochi metri più in là , dietro un albero. Ripresosi da quell’impatto, si fece coraggio e tornò ad affacciarsi di nascosto alla piccola finestrella, ora era mentalmente pronto a quello che realmente avrebbe trovato lì dentro.

Le leggende che aveva sentito in questi anni dai suoi colleghi, di gente pazza che uccideva di notte le persone sventurate che si trovavano a passare da quelle parti, i fantasmi di quella gente che continuavano a vagare per quelle lande desolate e piene di nebbia, era tutto vero e lo confermò ancora una volta l’attività macabra che l’omone pazzo stava facendo all’interno della casupola.

Su un piano di lavoro un tempo di legno marrone, ma ora pieno di tagli e sangue vecchio misto a quello nuovo, giaceva un corpo muscoloso di un uomo, forse un contadino a giudicare dai vestiti. Era sicuramente morto, brutalmente tagliato e massacrato, senza gambe, con l’addome aperto a mo’ di autopsia e gli occhi spalancati come tutte le vittime che quel pazzo amava uccidere. Una sega elettrica messa a riposare ancora accesa, giaceva sul tavolo e sputava piccole gocce di sangue sul muro dalle lame.

Il pazzo era occupato con un piccolo bisturi a tagliare in maniera molto precisa tutti gli organi vitali del defunto per poi metterli separati in un barattolo pieno di una sostanza liquida per la conservazione. Sopra di lui in una mensola attaccata al muro, posizionati come una macabra e strana collezione, c’erano molti di quei barattoli con altrettanti organi di varie misure e colori appartenuti a tutte quelle persone che giacevano a pezzi sotto la finestra. Approfittò dell’intensa attività del pazzo per concentrarsi su cosa potesse tornargli utile, se non a scappare almeno a difendersi e mentre faceva con gli occhi e mentalmente l’inventario degli attrezzi utili e che poteva prendere senza farsi sentire, scivolò sopra una gamba o una testa, ma la cosa più grave fu che arrampicandosi al marmo della finestra per non cadere a terra, fece un gran casino che lo tradì.

L’omone si girò distratto, lo sguardo da pazzo assunse un’angolatura sorpresa, non si aspettava di essere spiato, di solito era lui che rimaneva in ombra a spiare le sue prede in attesa del momento giusto per prenderle. Ma un sinistro sorriso prese a disegnarsi sul suo volto subito dopo, non parlò, non disse nulla ma urlò, un urlo disumano, alieno, poi prese la sega elettrica ancora accesa e corse fuori per giocare con il suo nuovo amico. Carlo si fece controllare completamente dal panico, cercò di scappare e nel farlo cascò un paio di volte tra i resti umani, corse cercando di ritrovare la strada del viale principale, di trovare l’uscita, dietro di lui sentiva i passi pesanti e perfino l’alito guastato e fetido dell’omone che lo chiamava così come un bambino che al parco chiamava un altro bambino con una palla in mano per invitarlo a giocare.

Il buio e la nebbia ancora rendevano confuse le stradine di campagna. Con gli occhi annebbiati dalla paura correva non sapendo dove stava andando, vedeva ombre di alberi che scorrevano ai suoi lati con la coda degli occhi, dietro di lui, come in un film horror di serie B, l’omone correva goffo e pesante chiamandolo a gran voce.

Una voce rauca di chi era abituato a fumare una quantità esagerata di sigarette. Vide una volpe che con un uccello in bocca scappava in velocità verso dei cespugli fitti e là invidiò con tutto se stesso, invidiò quel piccolo animale che  seguendo il suo istinto senza ragione, fuggiva dalla paura nascondendosi tra i cespugli con la sua cena in bocca. Vide una piccola casa di legno su un albero, l’ultima traccia di un passato felice e spensierato vissuto da tre bambini che ora erano diventati due tossici morti e un pazzo omicida che si divertiva a fare a pezzi la gente. Salì sulla casetta, come il resto degli edifici, anch’essa era visibilmente sporca, sudicia ed abbandonata da tempo. Sperava di nascondersi bene almeno fino alla mattina poi, con l’aiuto del giorno

sarebbe  scappato  con  più  facilità.  Non  fece  in  tempo  a  rilassarsi  che  sentì  le  grida dell’omone in lontananza sempre più forti e accompagnate dal rumore arrugginito della sua sega elettrica. In meno di mezz’ora fu raggiunto, era goffo, camminava lentamente ma sapeva sempre dove si nascondeva e lo raggiunse in pochi minuti.

“ma quanto dura questo stupido film “

Pensò tra il sarcastico e lo spaventato, mentre l’omone dava due accelerate alla sua sega e ad iniziava a segare l’albero chiamandolo a gran voce:

RAGAZZO, RAGAZZO, RAGAZZO !!!!!

Lo chiamava tra risate stridule e divertite, era come un bambino ed aveva la stessa felicità di quando a natale stava a scartare i suoi regali sotto l’albero. I pezzi di legno schizzavano, lentamente l’albero si inclinò verso destra, le grida divertite dell’omone si mischiavano a quelle di paura provenienti dalla casetta.

Ad un tratto sentiva le grida dell’omone chiamarlo sempre da più lontano;

RAGAZZO, RAGAZZO !!

Sentiva le voci e le sentiva provenire da un posto lontano, un’altra realtà parallela.

Aprì gli occhi e d’improvviso si ritrovo dentro la macchina, si guardò intorno stordito e tutto era come l’aveva sempre visto. La strada ormai illuminata da un tiepido sole invernale era come sempre l’aveva lasciata, senza fantasmi, senza morti o pazzi omicidi, solo un uomo, un poliziotto che da fuori al suo finestrino lo chiamava bussando sul vetro. Abbassò ancora stordito e un po’ impaurito il vetro.

<< Signore tutto bene ? serve aiuto ? >> lui si calmò, tornò alla normalità e spiegò quello che era successo, tralasciando tutto quell’incubo.

<< Sì sto bene devo essermi addormentato questa notte dopo il guasto alla macchina. Ho finito il mio turno di notte alle due, sono un operaio della Endemol. >>

<< si la conosco,  ci lavora mio fratello più piccolo. Allora se non le serve un aiuto o

un’ambulanza le chiamo il carro attrezzi. Va bene? >>

<< la ringrazio, come le ho già detto sto benissimo, ho

provato a chiamare anch’io un carroattrezzi  questa notte, ma qui il cellulare non prende. >>

<< non si preoccupi ci penso io con la nostra radio. Arrivederci e buon rientro. >>

<< grazie mille e buon lavoro >>

Vide andar via il poliziotto con la sua macchina ed un brivido di paura percorse tutta la schiena.

Il poliziotto era il fratello maggiore tossico che aveva visto nel sonno morto giù nel garage.

Clementi Simone

Immagini prese da Google Immagini

Abbabula: si accendono le luci dal 4 Agosto

Parte il 4 agosto ABBABULA 2020.

Si svolgerà a Sassari la ventiduesima edizione di Abbabula, il più importante festival sardo dedicato alla musica e alle parole d’autore.

In cartellone quest’anno i concerti e gli spettacoli di: SAMUEL, PAOLO BENVEGNÙ, DAVIDE TOFFOLO, MAX COLLINI, LODO GUENZI & BEBO GUIDETTI (de Lo Stato Sociale), CIMINI, NICHOLAS CIUFERRI & THE NIRO, COSIMO DAMIANO DAMATO & ERICA MOU, e altri.

“Mai come quest’anno – afferma Barbara Vargiu, direttore artistico del festival – abbiamo sentito il bisogno di dare un segnale forte con un cartellone che permetta al pubblico di ritornare alla dimensione live”.

Abbabula ha sempre dedicato particolare attenzione alla promozione delle realtà artistiche del territorio. Anche in questa edizione, dunque, saranno presentati artisti della scena musicale isolana: Luigi Frassetto, musicista e compositore. L’artista aprirà il festival con il suo omaggio al grande Ennio Morricon; il giovane talentuoso LACANA, sassarese di nascita e bolognese d’adozione e altri.

L’edizione 2020 si aprirà ufficialmente con un’anteprima in programma il 30 luglio nello spazio live del QUOD. Il locale è situato nel centro storico cittadino ed è partner della manifestazione. La serata ospiterà il dj-set del musicista e compositore FRANCESCO MEDDA “ARROGALLA”. Sarà l’occasione per rientrare in contatto con il pubblico del festival e presentare alla città gli appuntamenti dei giorni successivi.

Il festival ABBABULA è organizzato dalla cooperativa Le Ragazze Terribili, con il contributo del Comune di Sassari, degli Assessorati allo Spettacolo e al Turismo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna.

Abbabula

Fonte: Ufficio stampa Big Time

Leggi anche la nostra intervista a Gegè Telesforo!

Instagram: Indielife

La “Fiesta” del duo Marte!

Fiesta – Marte

Giorni fa, girovagando su Instagram, ho beccato un video parecchio curioso e originale di un duo che spacca: il duo Marte. Ho deciso, quindi, di chiedere loro un’intervista e con immenso piacere ho ricevuto un “Sì” come risposta! Il video in questione è il videoclip del nuovo singolo Fiesta del duo composto da Martina Saladino e Greta Arioni.

Questo duo ha tutta la freschezza che serve per sopravvivere a quest’estate caldissima!

duo Marte

“Com’è nato il duo Marte?”

Il duo Marte nasce sui banchi di scuola dopo un anno di odio reciproco. Marte è l’evoluzione di mille nomi, mille progetti che nel frattempo abbiamo fatto in tutti questi anni. Dopo il liceo Greta parte per Malta. Una volta tornata, e io nel frattempo avevo già avviato un percorso da solista, decidiamo di mantenere questo nome e ritornare col nome di Marte in duo.

“Chi siete nella vita di tutti i giorni? Chi di voi due è la più folle e chi la più realista?”

Siamo ragazze normalissime che fanno lavori normalissimi che mentre lavorano e quando finiscono di lavorare passano tutto il tempo a pensare alla musica e a fare musica. Folli tutti e due, realiste allo stesso tempo.

“Da chi avete preso ispirazione per la vostra musica?”

Abbiamo cercato di metabolizzare tutti gli ascolti che abbiamo fatto negli anni e cercare di dimenticarli per provare a scrivere qualcosa di nuovo. Forse, se dovessi scegliere una corrente direi alternative rock, alternative pop, elektro pop e un po’ di chitaraccie.

“Qual è invece l’artista o la band che ascoltate di più?”

Rispondono in coro con “Indie italiano” e continuano con “Sicuramente al primo posto Margherita Vicario o Frah Quintale, Calcutta“.

“Le vostri origini, il vostro luogo di nascita cioè la Liguria, influenzano la vostra musica?”

Non ancora!

“Come nasce il singolo Fiesta e il videoclip?”

Fiesta nasce in quarantena con il desiderio di sdrammatizzare i pensieri negativi globali che per lo più leggevamo sui social, chiaramente, e nasce anche per “proiettare” un’estate, che in realtà non è un’estate così disastrosa come si pensava in quarantena, che però sicuramente non è un’estate comune, normale.
Il videoclip nasce dall’esigenza di creare un paradosso, quindi la voglia di vivere un’estate che non si può vivere. L’idea nasce da noi più Fulvio Masini, che è anche il produttore di Fiesta, ed è stata realizzata completamente dal “regista dei telefonini” nonché Simone Cavazzoni.

“Con chi vi piacerebbe collaborare per creare un singolo o un album?”

Noi cerchiamo un rapper! Abbiamo nel nostro cuoricino, anche se Marghe Vicario ce l’hai appena rubato per il tuo ultimo singolo, Izi. Questa è una richiesta, un annuncio. Nel frattempo continuiamo a lavorare con Fulvio Masini, il nostro produttore del cuore!

Sui nostri account YouTube e Instagram potrete vedere la video-intervista registrata per Indielife.it dal duo Marte! Enjoy!

Canova: è la fine del progetto?

Ciao amici,

sarà per tutti un brutto colpo ma abbiamo deciso di fermare qui i Canova.

È stata una bellissima storia d’amore.

Questo è l’inizio della fine.

Si tratta dell’incipit della lettera con cui la celebre band Canova annuncia sui social la conclusione di un viaggio. È la fine di un progetto che in un modo o nell’altro ha lasciato un segno. Nella musica indie-pop ma forse anche nella nostra “Vita Sociale”.

Siamo cresciuti insieme passando anni meravigliosi, dai garage ai grandi palchi, dal nulla a tutto ed è stato perfetto così.

Con tutto l’amore che ci avete dato in questi anni è doveroso farvi sapere che un motivo vero e proprio non c’è: ci vogliamo tanto bene, saremo fratelli per sempre, ma adesso c’è bisogno di un cambiamento nelle nostre vite.

È paradossale, ma sembra di leggere una delle biografie delle band che abbiamo sempre amato: c’è un momento di inizio e un momento di fine, che arriva quando non ci avresti mai pensato”.

Una band capace di trasmettere infinita energia nel propri live. Di fare compagnia in pieno lockdown in una tranquilla diretta Instagram a base di birra, in una qualsiasi “Domenicamara“.

Una band che ha saputo creare hype per un eventuale album.

E invece, oggi 27 Luglio di un 2020 funesto, giunge l’acerrima notizia.

Che ci lascia consapevoli che per noi il progetto Canova rientra fra i “Vivi per sempre”.

Che sia uno scherzetto firmato Maciste Dischi?

Non siate tristi.

Con immenso amore,

I Canova

Fonte: Ufficio Stampa Valentina Aiuto

Tutti uguali.

ig: https://www.instagram.com/canova/?hl=it

Retroceans – Claude Nori

Retroceans – Claude Nori

La recensione di un nuovo artista arrivato alla nostra redazione tramite la piattaforma GROOVER, i nostri feedback e le nostre impressioni sugli artisti emergenti presi dalla scena indipendente mondiale: “Retroceans” Claude Nori

“Claude Nori” è il nuovo brano di cui vi parleremo, un brano pop con sfumature di musica elettronica.

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Opinioni

Il brano “Claude Nori” dell’artista italiano Retroceans è di genere pop. Il titolo viene dal nome di un fotografo francese che immortalato le immagini di un’estate italiana. Un’estate fresca e luminosa, che adesso sembra un’utopia. Tra spensieratezza e serene giornate di sole, le immagini evocate da questo brano sono molto dinamiche. Fanno pensare alla giovinezza. Inoltre la traccia è evocativa. Emergono infatti ricordi estivi anche un po’ reconditi.

Nel complesso il brano è piacevole

Conclusioni

Ascoltare il brano “Claude Nori” significa immergersi in un’atmosfera tipica di una sera di fine estate.

“Forse dovremmo parlare” con Manuel Finotti – Intervista

“Forse dovremmo parlare” è un brano scritto per salvare una relazione anche quando si pensa che sia troppo tardi. È un brano che sa comunicare oltre le barriere degli errori.

L’autore, Manuel Finotti, ci ha raccontato non solo aneddoti sul brano, ma anche sulla sua storia personale.

Ciao, grazie per la disponibilità! “Forse dovremmo parlare” è un titolo che vorrebbe introdurre ad una conversazione. In che modo secondo te la musica abbatte il muro dell’incomunicabilità?

Ciao! La musica è legata per certi aspetti all’irrazionalità, che è quello che serve per vincere alcuni blocchi emotivi o la timidezza. Forse la musica è il metodo più adatto per dire delle cose che probabilmente non riusciresti a dire senza. Questa canzone è nata per questo motivo. Sono molto timido, questo brano mi ha aiutato a comunicare con una persona in particolare.

“Volevo soltanto dirti che parlo di te a tutte le persone”: in qualche modo questo brano racconta l’entusiasmo di una relazione. Come si conserva questa sensazione tipicamente iniziale?

Si conserva condividendo le cose più semplici, che sia anche il primo incontro davanti a un caffè! È quella naturalezza dei primi momenti che va conservata.

Parlando di sonorità, si avverte il tuo background un po’ londinese. Ma cosa ascolta Manuel nelle sue cuffiette?

In realtà oltre ad avere un background londinese, Manuel è totalmente innamorato della musica italiana. Si tratta di una delle lingue più belle e musicali. Per quanto riguarda la musica londinese, ha nel sound e nella ricerca sonora delle ambientazioni che riescono a catturare in pieno la nostalgia. Quindi mischiare questi due mondi è sempre stato un esperimento piacevole.

“Forse dovremmo parlare” – Manuel Finotti

Qual è l’esperienza che ha segnato maggiormente il tuo modo di scrivere testi?

Qualche tempo fa ho assistito ad una lezione dell’autore Giuseppe Anastasi. Quando cantai uno dei miei brani, lui chiese ai ragazzi presenti in sala di alzare la mano nel caso avessero compreso il testo. Il risultato? Nessuno. Poi abbiamo avuto una discussione costruttiva, in cui ho imparato che è più importante concentrarsi sull’essenza delle parole piuttosto che sull’estetica. Così si è avviata la ricerca che ho portato avanti negli anni per quanto riguarda la scrittura.

Mi racconti un aneddoto legato al tuo percorso musicale?

Un’esperienza particolare riguarda la mia esperienza da autore. Quando è stato presentato il brano “Come mia madre” che ho scritto con Giordana Angi a Sanremo. È stato un momento molto forte.

Grazie!

Grazie Manuel!

Fonte: Red&Blue Music Relations

Instagram: Manuel Finotti, Indielife

Curtis Walsh – Midnight

Curtis Walsh – Midnight

La recensione di un nuovo artista arrivato alla nostra redazione tramite la piattaforma GROOVER, i nostri feedback e le nostre impressioni sugli artisti emergenti presi dalla scena indipendente mondiale: Curtis Walsh – Midnight

“Midnight” è il nuovo brano di cui vi parleremo, un brano pop dalle sonorità internazionali.

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Opinioni

Il brano “Midnight” dell’artista irlandese Curtis Walsh è di genere pop. Si tratta di un brano romantico e cantabile. Inoltre è evocativo. Sin da subito emerge la potenzialità vocale dell’artista. La linea melodica è molto gradevole e facile da memorizzare. Molto apprezzabile la presenza di un bridge.

Nel complesso il brano è piacevole da ascoltare anche più volte di seguito. Notevole.

Conclusioni

Ascoltare il brano “Midnight” significa andare incontro ai propri sentimenti.