UUUUUUUUUUEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!
La sirena strillava annunciando la fine del turno intermedio, quello che terminava proprio a metà notte. L’orologio grande sulla parete destra segnava le due spaccate. Carlo amava quel turno e quando il suono comunicò che per quel giorno aveva lavorato abbastanza.
Lavorava da cinque anni in una fabbrica di cosmetici, saponette e prodotti da bagno. Era una delle tante sedi appartenenti ad una grossa compagnia multinazionale con sede centrale a New York. Si trovava poco fuori Treviso, vicino ad un bosco che insieme ad altri ettari di campagna e montagne alle sue spalle, facevano parte di un parco regionale.
Nonostante il mal tempo che abitualmente si manifestava d’inverno in quelle zone, tra nebbia, ghiaccio e neve, Carlo amava molto mettersi in macchina a quell’ora, nel bel mezzo della notte.
Era un naturalista convinto, gli piaceva osservare la natura e quando era fortunato i numerosi animali che uscendo di notte si aggiravano nel parco e fuori. Per questo al contrario dei suoi colleghi che sceglievano di prendere l’autostrada per tornare a casa, preferendo la strada pulita ed illuminata ad un paesaggio che di notte poteva mettere d’avvero paura, lui percorreva sempre la strada secondaria.
Carlo non ci badava, nemmeno alle numerose leggende che imperversavano tra i colleghi e tra i contadini ed allevatori che abitavano nei paraggi. Percorreva quelle strade da cinque anni, a tutte le ore e non aveva mai visto cose particolarmente strane, era tornato sempre sano e salvo a casa.
Certo unica preoccupazione che metteva un po’ a disagio Carlo, era la totale assenza di segnale dei telefonini che durava per quasi tutto il percorso. Ma fino ad ora non aveva mai avuto problemi a tal punto da usare il telefonino.
Andò diretto negli spogliatoi salutando gli altri colleghi che avevano attaccato da poco, loro lo salutarono come sempre raccomandandosi che stesse attento ai mostri. Era uno dei più piccoli e lo prendevano spesso in giro ma sempre bonariamente, un po’ come succede spesso in una caserma, gli volevano bene tutti. Uscì dal capannone dirigendosi verso il grande parcheggio, la sua macchina, accanto alle altre, era una grande punto nera, nuova di tre mesi. L’aveva comprata appena un mese dopo il rinnovo del suo contratto a tempo indeterminato. Era contento, aveva superato il periodo iniziale, quando la lontananza da casa e la solitudine si manifestavano tutte le notti e tutti i giorni nel suo appartamento.
Era nato e cresciuto a Palermo, ma con l’avvento della tecnologia aveva iniziato, su consiglio dei suoi, a mandare in giro il proprio curriculum subito dopo il diploma. Venne contattato dall’azienda dove adesso lavorava. Aveva trovato subito un appartamento, era piccolo ma anche basso di affitto e per lui andava benissimo. Oramai si era ambientato bene in quel piccolo centro, aveva amici, quasi tutti colleghi conosciuti nei vari turni di lavoro e ogni tanto qualche storiella amorosa. Uscì dal capannone con il suo giubbotto allacciato fin sopra il mento.
Il vento, soprattutto nel mese di febbraio, soffiava intenso, veniva giù dalle montagne sottostanti talmente fitto che ti tagliava la faccia.
. Montò in macchina sorridendo, niente nebbia, poteva godersi il breve viaggio sulla sua strada preferita. Se era fortunato avrebbe rivisto quel bellissimo esemplare di gufo reale che ogni tanto si metteva sul grande albero che c’era poco dopo il capannone. Uscì salutando con la mano il guardiano notturno che un po’ assonnato si vedeva un film nel freddo gabbiotto, la strada era completamente buia, tranne solo per il tratto vicino alla fabbrica, erano anni che il comitato di quartiere protestava con il comune per mettere l’illuminazione, ma senza risultati. Carlo non ci faceva neanche caso, tanto era abituato a percorrere quella strada, anche al buio riconosceva esattamente ogni singola buca o dosso.
In breve tempo si ritrovò a percorrere la strada statale e con un’andatura modesta percorreva quel tratto adiacente al parco naturale, la musica leggera a volume basso usciva dalla radio mentre fuori nella campagna buia, la notte si faceva sentire nei suoi rumori più comuni. Il vento portava lontano i versi degli animali che uscivano a cercare cibo, una civetta cantava sperando di avvistare un topolino. Occhi solitari nella notte accompagnavano guardinghi l’auto lungo il ciglio della strada, Carlo sapeva di cosa si trattava, di chi erano quegli occhi, che un po’ impauriti aspettavano nascosti nell’erba il passaggio delle auto per riprendere la caccia.
Negli ultimi anni, grazie a leggi severissime e a controlli più intensi da parte degli uomini della forestale, la popolazione delle volpi era aumentata e gli incontri, soprattutto nelle notti calme, erano divenuti molto più frequenti. Era partito da circa una mezz’ora, si trovava proprio nel bel mezzo della vallata, lì in quel tratto di strada dove nemmeno il più sofisticato e moderno telefonino riusciva a prendere qualche tacca, l’auto di Carlo iniziò a singhiozzare. Mentre Carlo un po’ stupito un po’ preoccupato si accostava al ciglio della strada, dall’auto fuoriuscì del fumo denso dal cofano.
La preoccupazione terminò all’istante lasciando posto alla rabbia, scese dall’auto e alzò il cofano, una vampata di fumo lo invase facendolo tossire vistosamente. Non ci aveva mai capito niente di meccanica e per questo la portava spesso dal meccanico.
“Domani vado da Roberto e gli faccio un casino “pensò rabbioso mentre con forza chiudeva il cofano della macchina e si guardava intorno cercando una soluzione al problema. Guardò distratto il cellulare, come previsto non prendeva e quindi era scartata l’idea di chiamare qualche suo collega che insieme a lui aveva staccato alle due. Nessuna macchina passava, a quell’ora quella strada era disabitata, si guardò intorno ed effettivamente, complice il buio e la nebbia che stava salendo ora che il vento aveva terminato di soffiare, quel posto non solo metteva i brividi ma sembrava un’altra terra.
Una di quelle terre isolate e dannate che venivano fuori dalle menti degli scrittori. Cercò razionalmente di allontanare quei pensieri che in quel contesto potevano creare danni e si concentrò sul problema cercando una soluzione. La macchina era fuori uso, doveva lasciarla lì, sarebbe tornato l’indomani a riprenderla con il carro attrezzi di Roberto, dopo avergli fatto una lavata di testa.
Non gli restava altra soluzione che quella di avviarsi a piedi, nella notte buia, cercando di farsi luce con il telefono ed una torcia, fortunatamente la teneva sempre in macchina per qualsiasi evenienza, e ultimamente aveva anche ricomprato le batterie. Almeno quella era una buona notizia in quel contesto sfortunato, avrebbe camminato con una discreta illuminazione davanti. Chiuse rammaricato la macchina, si mise le chiavi in tasca e si avviò lungo il ciglio della strada.
Nonostante tutto Carlo rimaneva tranquillo, almeno per il momento, camminava con passo svelto cercando di sentire o vedere qualche animale selvaggio. Ma la tranquillità stava scemando, la situazione, le terribili storie che aveva sentito su quei posti e la stanchezza dovuta al lavoro lo stavano agitando, sperava di incontrare qualche macchina o magari una casa di qualche contadino, anche se sapeva che difficilmente avrebbe ricevuto un aiuto.
La gente aveva paura e non apriva a nessuno soprattutto nel cuore della notte, quanto alle macchine poi, non tutti erano come lui che camminavano piano con l’auto e guardavano lungo il ciglio della strada. La maggior parte degli automobilisti a quell’ora viaggiava nell’autostrada e i pochi residenti che ci passavano, correvano tutti come pazzi, non si sarebbero accorti di lui così come non si accorgevano degli animali che attraversavano la strada uccidendoli puntualmente. Ombre scure, forse partorite dalla sua mente suggestionata dalle storie che improvvisamente riaffioravano come piccoli diavoli malefici e dispettosi, iniziarono a venire fuori da dietro gli alberi posti sparsi nella campagna che circondava la strada dove stava camminando.
Fantasmi di gente scomparsa e successivamente uccisa nel peggiore dei modi lo seguivano al buio, lui non li vedeva ma si sentiva osservato. Tra i suoni tipici della notte riusciva a sentire perfino il loro respiro rauco, sporco ed affamato. In lontananza lupi ululavano alla luna piena. Decise di girarsi mosso da quella strana curiosità masochista tipica di chi ha paura, quello che vide non gli piacque per niente. Corpi smembrati, fatti a pezzi e sporchi di terra lo minacciavano prima nascosti dietro gli alberi, ora dietro di lui, in mezzo alla strada, una volta scoperti, la rabbia mista alla fame di carne fresca ed umana aumentò facendoli diventare spavaldi. Li vide dietro di lui, con i loro organi putrefatti e penzolanti dalle loro carni smembrate.
Si mise a correre, più forte che poteva e dietro di lui quei corpi, quelle persone una volta contadini ed allevatori, ora cadaveri affamati. Percorse a perdifiato circa tre chilometri, la folla impazzita di cadaveri dietro di lui si era affievolita molto, alcuni erano diventati tanti pezzi di carne sparsi qua e là per la strada, le condizioni dei loro corpi non ressero alla corsa e finirono di smembrarsi. Alcuni, avvistato un branco di cervi, si concentrarono su quelle carni, più ricche di grasso e più semplici da prendere.
Ma restava uno sparuto gruppetto di irriducibili che continuava a correre dietro lui con la bava alla bocca, o quello che ne restava di essa. Vide una grande casa davanti a lui, il suo cuore batteva forte, sembrava volesse uscirgli dal petto, raccolse le ultime forze che gli rimanevano nei muscoli e si diresse verso quella villa, che strano ma vero aveva ancora luci accese.
In meno di venti minuti coprì quei cinquanta metri che lo separavano dal cancello, era stranamente aperto, entrò un po’ sollevato, un po’ sorpreso. Intorno alla grande casa, una struttura vecchia e con la vernice consumata dagli anni e dalle intemperie, si estendeva un’immensa distesa di campagna, prato ed alberi, chiunque abitava lì era ricco e con grandi quantità di ettari di terra.
Si stupì che nonostante fosse minacciato da strani cadaveri famelici, aveva pensieri banali, pensava ai soldi di questa gente mentre rischiava di morire, ironico, ridicolo ed esilarante.
Il viale d’entrata era fatto di un vecchio porfido montato male e con il tempo si stava alzando, rischiò di caderci un paio di volte durante la corsa. Si girò ed una cosa lo sorprese quasi quanto scoprire quei cadaveri. Non erano entrati, il grande ed arrugginito cancello era sempre spalancato e dall’aspetto sembrava aperto in quel modo da anni, ma loro non erano entrati a seguirlo. Si bloccarono davanti a quel cancello e sembravano impauriti mentre guardavano la casa dietro di lui. Non si fece altre domande, emise un grande sospiro di sollievo e continuò ad avventurarsi in quella strana villa che per il momento gli aveva salvato la vita. Tutto intorno era sporco, disordinato ed abbandonato. Un vecchio lavatoio pieno di acqua piovana era diventato la casa di muffa e rane.
Alberi pieni di frutti che marcivano ai loro piedi senza essere raccolti, la luce al piano di sopra era sempre accesa, da lì una dolce melodia di musica classica suonata al piano
risuonava nell’eco della notte. Alle sue spalle un ragazzo, sui trent’anni, biondo e sporco gli passò accanto. Era molto secco, debilitato, indossava dei vecchi jeans, una camicia ed un paio d’infradito. I vestiti erano molto trasandati e lui aveva l’aspetto di un drogato, gli occhi spiritati e il passo veloce.
Gli passò accanto non curante di lui, come se fosse normale che un estraneo nel pieno della notte fosse in casa loro. Carlo provò a parlargli per spiegargli quello che era successo, ma non ebbe fortuna, la sua voce sembrava senza suono alle orecchie di quel ragazzo che continuò il suo cammino verso una grande discesa che portava ad un garage. Lo seguì incuriosito e con la speranza di trovare qualche mezzo da prendere in prestito per tornare a casa. In fondo alla discesa il garage era aperto, due macchine ed una moto spiccavano e diedero una piccola speranza a Carlo, “di sicuro uno di questi mezzi funzionerà”, pensò felice.
Durò poco, molto poco la felicità e la speranza di andarsene da quell’incubo. Erano tutti fuori uso, tre mezzi davanti a lui e tutti fuori uso, chi aveva tutte e quattro le gomme bucate, chi non aveva la batteria chi addirittura era senza motore.
Ma le brutte sorprese non finivano di certo con i mezzi in disuso, oltre a quelle carcasse di auto e della moto, Carlo vide una scena che gli gelò il sangue nelle vene. Vide il ragazzo di prima accanto ad un altro, si assomigliavano, erano fratelli si vedeva benissimo, ma non fu questo a sconvolgerlo, bensì la visione macabra e assurda di due persone una accanto all’altra con le siringhe ancora nelle braccia, apparentemente senza vita. Rimase lì per una serie lenta di minuti, in silenzio, bianco in faccia, aveva talmente paura e stupore per quello che gli occhi gli stavano trasmettendo a tradimento che non trovava neanche la forza di urlare. Come se urlando avesse risolto il problema, era lui solo in una landa desolata piena di nebbia e buio e due possibili cadaveri davanti.
Dopo lo stupore iniziale si fece forza e si avvicinò ai corpi inermi stesi addosso al muro. L’odore acre che già aveva sentito nell’aria, mischiato a quello delle gomme e della polvere, che aveva sentito appena entrato nel garage, lo investì come una macchina in piena faccia. Il ragazzo più grande era anche quello sicuramente morto, molti e molti mesi prima. La siringa ancora infilata nel braccio era l’unica cosa ancora integra in quel ragazzo, il resto era un corpo visibilmente decomposto, si riconoscevano a malapena la pelle mischiata alle fasce muscolari che spuntavano attaccate alle ossa ma ancora per poco.
Si coprì il naso con la maglietta, l’odore di morte e sangue rappreso gli fece venire su conati di vomito. L’espressione del viso era spenta, occhi inermi, spalancati e fissi verso il vuoto, i vestiti sembravano la fotocopia più sporca, sudicia e malridotta di quelli che portava suo fratello più piccolo accanto a lui. Quell’immagine continuò a sconvolgerlo. Il suo petto non si muoveva, si fece coraggio e gli toccò con due dita la vena del collo e non sentì nemmeno il cuore, era morto anche lui.
Davanti a lui adesso aveva l’immagine del passato, presente e futuro di quei due ragazzi, poteva vederlo chiaro e nitido come se anche lui fosse cresciuto in quella casa e avesse respirato la loro stessa aria. Il ragazzo più grande, sicuramente era stato lui ad iniziare a bucarsi trascinandosi nel baratro subito dopo anche suo fratello. Poi lui era morto e il fratellino aveva continuato, accanto a lui sperando di raggiungerlo il prima possibile e quel giorno era arrivato. Ora dopo averlo raggiunto attendeva di trasformarsi come lui, di vedere il suo corpo deteriorarsi da solo dopo averlo distrutto per anni.
Un rivolo di sangue gli uscì dal buco del braccio e gocciolò a terra, fu letteralmente l’ultima goccia. Scappò da quel posto risalì la salita e corse nel viale, al secondo piano la luce era accesa, ma la musica non si sentiva più, alzò gli occhi vide una grossa sagoma alzarsi da dietro una tenda. Si nascose temendo che il padrone di quella che sembrava una squallida casa uscita da un film horror
americano, l’avesse sentito. Si mise dietro un grande cespuglio da dove si vedeva la porta d’ingresso. Da quella porta uscì un altro ragazzo, più grosso degli altri due, sia di età che di corporatura. Aveva capelli ricci e sporchi che sembravano uno di quei vecchi ed impolverati cespugli del deserto. Era letteralmente un gigante rispetto agli altri due, che erano più bassi e con il corpo secco e denutrito. Anche con quest’ultimo ragazzo, nonostante l’enorme stazza del suo corpo, era visibile la somiglianza con gli altri che stavano giù nel garage, sperò per un secondo di poter chiedere aiuto e magari informarlo della tragedia, ma quel pensiero si gelò nella sua mente e tornò indietro, quando la luce del lampione acceso sopra il portone lo illuminò meglio. Quello che vide Carlo, era un omone di circa due metri, con una corporatura ed un peso non inferiore ai cento chili.
Portava i pantaloni di una vecchia tuta anch’essa molto sporca e macchiata. Dal suo aspetto era evidente la sua sporcizia e l’assenza di un’igiene personale, lo sguardo ed il modo di camminare gli fecero capire la sua instabilità mentale appena lo vide spuntare. Ma quello che scaturì il vento gelido nelle sue ossa fu la felpa azzurra che portava e il grembiule legato intorno alla vita, un tempo bianco, ora macchiato visibilmente di rosso sangue, sangue umano.
Non credeva più ai suoi occhi, a quello che vedeva e a quello che stava vivendo, sembrava di vivere in un vecchio romanzo horror. Il ragazzone pazzo prese una carriola vuota e si diresse verso un antico sentiero che si perdeva in mezzo al campo di erba incolto. Decise di seguirlo, ormai era dentro quell’incubo e se voleva uscirne doveva trovare il modo di sfruttare i demoni che vi ci abitavano. Il lungo sentiero conduceva ad un’antica baracca metà costruita in cemento e mattoni e l’altra metà tirata su con lamiere di metallo. Più si avvicinava più sentiva sempre più intenso l’odore degli incubi mischiati alla paura e a quell’odore acre e denso che aveva già sentito nel garage, ma molto più forte.
Era odore di sangue, di morte. Si fece coraggio e andò avanti, come arrivò nelle vicinanze della baracca, l’omone era già dentro, stava lavorando e i sentiva tipici rumori di chi batte qualcosa su un piano di lavoro. La struttura era molto grande, sembrava un’antica officina di un fabbro e i rumori che venivano da dentro sembravano confermare questo, ma l’odore tradiva quei pensieri. Vide da lontano volare qualcosa dal lato sinistro, all’inizio pensò che potesse essere cascato dal tetto, ma da una debole luce proveniente dall’interno, intuì che c’era una finestra sul quel lato e decise di avvicinarsi per vedere se poteva esserci qualcosa di utile per lui e osservare cosa facesse quell’omone a quell’ora della notte, quest’ultima cosa non era proprio sicuro di volerla scoprire ma si fece coraggio. L’odore era insopportabile, si mise la sciarpa sul naso per attutire l’impatto con l’aria acre.
Una piccola lucina usciva dall’officina e strani rumori sinistri uscivano dalla finestra, sembrava stessero tagliando o segando qualcosa che gli ricordava troppo delle ossa, si sforzò di pensare che se davvero erano ossa, sarebbero state di animali ma una parte di sé non ci credeva. Si acquattò per non farsi vedere, ma la luce tascabile che aveva in tasca l’aveva spenta e non vide in cosa era inciampato. Intuiva che proprio sotto la finestrella c’era una montagnola d’immondizia forse.
Pregando di non essere scoperto riaccese la lampadina tascabile, attutendo la luce con la mano davanti. Carlo dovette soffocare un urlo di paura, sorpresa e altri conati di vomito. La montagnola dove era inciampato non era affatto immondizia o comunque non di quella comune che pensava di trovare lui. Sotto e affianco a lui c’erano resti di uomini, donne e bambini brutalmente assassinati e fatti a pezzi. Una mano inerme e insanguinata gli
prendeva dolcemente una caviglia, mentre una testa bionda, spaccata a metà che ricordava vagamente una donna, lo guardava con quello che gli era rimasto degli occhi vitrei e senza espressione se non quella che aveva lui in quel momento, paura e sgomento. Si rialzò di corsa e andò a vomitare nascosto pochi metri più in là , dietro un albero. Ripresosi da quell’impatto, si fece coraggio e tornò ad affacciarsi di nascosto alla piccola finestrella, ora era mentalmente pronto a quello che realmente avrebbe trovato lì dentro.
Le leggende che aveva sentito in questi anni dai suoi colleghi, di gente pazza che uccideva di notte le persone sventurate che si trovavano a passare da quelle parti, i fantasmi di quella gente che continuavano a vagare per quelle lande desolate e piene di nebbia, era tutto vero e lo confermò ancora una volta l’attività macabra che l’omone pazzo stava facendo all’interno della casupola.
Su un piano di lavoro un tempo di legno marrone, ma ora pieno di tagli e sangue vecchio misto a quello nuovo, giaceva un corpo muscoloso di un uomo, forse un contadino a giudicare dai vestiti. Era sicuramente morto, brutalmente tagliato e massacrato, senza gambe, con l’addome aperto a mo’ di autopsia e gli occhi spalancati come tutte le vittime che quel pazzo amava uccidere. Una sega elettrica messa a riposare ancora accesa, giaceva sul tavolo e sputava piccole gocce di sangue sul muro dalle lame.
Il pazzo era occupato con un piccolo bisturi a tagliare in maniera molto precisa tutti gli organi vitali del defunto per poi metterli separati in un barattolo pieno di una sostanza liquida per la conservazione. Sopra di lui in una mensola attaccata al muro, posizionati come una macabra e strana collezione, c’erano molti di quei barattoli con altrettanti organi di varie misure e colori appartenuti a tutte quelle persone che giacevano a pezzi sotto la finestra. Approfittò dell’intensa attività del pazzo per concentrarsi su cosa potesse tornargli utile, se non a scappare almeno a difendersi e mentre faceva con gli occhi e mentalmente l’inventario degli attrezzi utili e che poteva prendere senza farsi sentire, scivolò sopra una gamba o una testa, ma la cosa più grave fu che arrampicandosi al marmo della finestra per non cadere a terra, fece un gran casino che lo tradì.
L’omone si girò distratto, lo sguardo da pazzo assunse un’angolatura sorpresa, non si aspettava di essere spiato, di solito era lui che rimaneva in ombra a spiare le sue prede in attesa del momento giusto per prenderle. Ma un sinistro sorriso prese a disegnarsi sul suo volto subito dopo, non parlò, non disse nulla ma urlò, un urlo disumano, alieno, poi prese la sega elettrica ancora accesa e corse fuori per giocare con il suo nuovo amico. Carlo si fece controllare completamente dal panico, cercò di scappare e nel farlo cascò un paio di volte tra i resti umani, corse cercando di ritrovare la strada del viale principale, di trovare l’uscita, dietro di lui sentiva i passi pesanti e perfino l’alito guastato e fetido dell’omone che lo chiamava così come un bambino che al parco chiamava un altro bambino con una palla in mano per invitarlo a giocare.
Il buio e la nebbia ancora rendevano confuse le stradine di campagna. Con gli occhi annebbiati dalla paura correva non sapendo dove stava andando, vedeva ombre di alberi che scorrevano ai suoi lati con la coda degli occhi, dietro di lui, come in un film horror di serie B, l’omone correva goffo e pesante chiamandolo a gran voce.
Una voce rauca di chi era abituato a fumare una quantità esagerata di sigarette. Vide una volpe che con un uccello in bocca scappava in velocità verso dei cespugli fitti e là invidiò con tutto se stesso, invidiò quel piccolo animale che seguendo il suo istinto senza ragione, fuggiva dalla paura nascondendosi tra i cespugli con la sua cena in bocca. Vide una piccola casa di legno su un albero, l’ultima traccia di un passato felice e spensierato vissuto da tre bambini che ora erano diventati due tossici morti e un pazzo omicida che si divertiva a fare a pezzi la gente. Salì sulla casetta, come il resto degli edifici, anch’essa era visibilmente sporca, sudicia ed abbandonata da tempo. Sperava di nascondersi bene almeno fino alla mattina poi, con l’aiuto del giorno
sarebbe scappato con più facilità. Non fece in tempo a rilassarsi che sentì le grida dell’omone in lontananza sempre più forti e accompagnate dal rumore arrugginito della sua sega elettrica. In meno di mezz’ora fu raggiunto, era goffo, camminava lentamente ma sapeva sempre dove si nascondeva e lo raggiunse in pochi minuti.
“ma quanto dura questo stupido film “
Pensò tra il sarcastico e lo spaventato, mentre l’omone dava due accelerate alla sua sega e ad iniziava a segare l’albero chiamandolo a gran voce:
RAGAZZO, RAGAZZO, RAGAZZO !!!!!
Lo chiamava tra risate stridule e divertite, era come un bambino ed aveva la stessa felicità di quando a natale stava a scartare i suoi regali sotto l’albero. I pezzi di legno schizzavano, lentamente l’albero si inclinò verso destra, le grida divertite dell’omone si mischiavano a quelle di paura provenienti dalla casetta.
Ad un tratto sentiva le grida dell’omone chiamarlo sempre da più lontano;
RAGAZZO, RAGAZZO !!
Sentiva le voci e le sentiva provenire da un posto lontano, un’altra realtà parallela.
Aprì gli occhi e d’improvviso si ritrovo dentro la macchina, si guardò intorno stordito e tutto era come l’aveva sempre visto. La strada ormai illuminata da un tiepido sole invernale era come sempre l’aveva lasciata, senza fantasmi, senza morti o pazzi omicidi, solo un uomo, un poliziotto che da fuori al suo finestrino lo chiamava bussando sul vetro. Abbassò ancora stordito e un po’ impaurito il vetro.
<< Signore tutto bene ? serve aiuto ? >> lui si calmò, tornò alla normalità e spiegò quello che era successo, tralasciando tutto quell’incubo.
<< Sì sto bene devo essermi addormentato questa notte dopo il guasto alla macchina. Ho finito il mio turno di notte alle due, sono un operaio della Endemol. >>
<< si la conosco, ci lavora mio fratello più piccolo. Allora se non le serve un aiuto o
un’ambulanza le chiamo il carro attrezzi. Va bene? >>
<< la ringrazio, come le ho già detto sto benissimo, ho
provato a chiamare anch’io un carroattrezzi questa notte, ma qui il cellulare non prende. >>
<< non si preoccupi ci penso io con la nostra radio. Arrivederci e buon rientro. >>
<< grazie mille e buon lavoro >>
Vide andar via il poliziotto con la sua macchina ed un brivido di paura percorse tutta la schiena.
Il poliziotto era il fratello maggiore tossico che aveva visto nel sonno morto giù nel garage.
Clementi Simone
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