Intervista a Luca Morganti

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Buongiorno Luca, presentati ai nostri lettori…

Buongiorno a tutti. Mi chiamo Luca Morganti e sono novarese, classe 1990. Nasco come cantante ed interprete nel 2009, insieme ad amici, un po’ per gioco. Ho iniziato facendo jam session, serate nei locali, matrimoni e feste private e cantando soprattutto cover straniere… la tipica gavetta insomma.

Innamoratomi immediatamente del mondo della musica e di tutto quello che lo circonda, decido da subito di essere seguito da un vocal coach, proseguendo nel mio percorso conoscitivo fino ad oggi. 

La carriera inizialmente era incentrata maggiormente su esibizioni live ed intrattenimento ma nel 2012 conosco Federico Sapia, autore e compositore del novarese, col quale intraprendo un percorso che si sposta sempre più verso l’interpretativo e il cantautorato. 

Nel 2014 partecipo al Festival di Castrocaro, fermandomi ad un passo dalle fasi finali. 

Dopo svariati tentativi riesco a trovare la mia vena interpretativa, grazie a ‘Lego’, il mio primo singolo, prodotto da McHub Studio Italia e scritto a quattro mani con Federico Sapia, al quale va anche il merito dell’arrangiamento e della produzione. 

In cantiere c’è già il secondo pezzo.

Trovo personalmente molto bello il messaggio di LEGO, ci racconti come è nato il brano?

Questo brano nasce da un’esperienza personale e dall’esigenza di esternarla, buttarla fuori. Quale miglior modo se non scriverci una canzone?

Quindi mi sono rivolto al produttore nonché caro amico Federico Sapia, in arte McAllister, esternandogli i miei pensieri e le mie angosce di quel periodo. Il resto è venuto fuori molto naturalmente… È una canzone che si è ‘scritta da se’, semplicemente lasciando fluire pensieri ed esperienze.

Il testo, incentrato sull’amore e sulla difficoltà di viverlo generosamente, senza privarsi dei propri sogni, è figlio dei giorni nostri, dove amore ed egoismo sono in continua lotta tra di loro. Dubbi e perplessità che emergono durante la vita quando, di fronte a delle scelte, non si ha la certezza di dove si andrà a finire. 

Il ricordo di un’infanzia in cui, con la semplice immaginazione, è tutto facile da costruire come un Lego, viene messo in discussione dal dubbio che ciò che costruisci possa rimanere in piedi se sei solo. Il brano si conclude con la speranza, che ognuno di noi ha nel proprio cuore, di trovare la persona giusta con cui condividere i propri sogni ed il proprio percorso. 

– Progetti futuri?

In cantiere c’è già il secondo pezzo, un racconto della mia vita artistica, dagli albori ad oggi. Un brano molto fresh, con un ritmo incalzante… non potrete non ballarlo!!

Nei progetti futuri c’è sicuramente l’idea e la voglia di incidere un EP di canzoni mie, sperando in una risposta sempre più positiva da parte del pubblico.

Sono un artista senza troppe aspettative ma con una grandissima voglia di cantare e soprattutto di far cantare le mie canzoni ad un pubblico sempre più vasto. 

Sogno nel cassetto?

Sicuramente mi piacerebbe vivere di musica, in tutte le sue sfaccettature, dai live al lavoro in studio. La speranza è di essere visto ed ascoltato da un pubblico sempre maggiore, senza però scendere a troppi compromessi. La rincorsa del mainstream ad oggi è un percorso molto difficile ed articolato… ma mai dire mai!

Ci lasci i tuoi contatti?

‘Lego’ è su tutte le piattaforme musicali.

Trovate Luca Morganti su:

www.youtube.com/watch?v=dgRmDYzcPJI&ab_channel=LucaMorganti

Facebook  https://www.facebook.com/luca.morganti.391

https://www.instagram.com/_luca_morganti_/                               

Indirizzo e numero di telefono per ora no… ci siamo appena conosciuti!! Ahahaha

Grazie per il tempo dedicatoci e buona musica.

Desa-comunicazioni

PAROLE IMBEVUTE DI ASSENZIO

Gino Cardone è un uomo anziano, che vive in una Roma che non riconosce più. Per questo si reca poco in città e preferisce stare da solo nella sua villa in campagna, fuori dal caos e dalla vita moderna. Gino è uno scrittore molto famoso.

Ha scritto numerosi romanzi, tradotti in tante lingue e collaborato con molti registi e sceneggiatori. Si è divertito a scrivere anche svariati racconti per alcune riviste letterarie che ancora lo cercano. Gino però ha smesso di scrivere già da qualche anno, non crea più storie ma si limita a leggere quelle degli altri.

Ogni mese il postino gli recapita molti manoscritti dalla sua casa editrice, progetti di giovani scrittori che lo venerano come un maestro e che vorrebbero intraprendere la sua stessa carriera.

Lui cerca di dare una mano e sostenerli come può, legge tutto quello che gli arriva e segnala al suo agente quelli che secondo lui meritano di più. Ha sempre cercato di evadere dalla realtà, dal mondo moderno così lontano da lui e dal suo modo di pensare. La prima storia l’ha scritta a sedici anni, durante il primo anno di liceo. Era un racconto breve, un piccolo germoglio di quello che sarebbe stato poi tutto il suo mondo.

Per Gino inventare nuovi mondi è sempre stato naturale come riempire un bicchiere.

Da quel primo racconto e dai complimenti che l’intera scuola gli conferì, seguirono altre storie e soprattutto intere saghe fantasy che gli hanno portato fama e gloria in tutto il mondo.

Molti suoi colleghi americani, considerati maestri del genere, lo osannano e lo considerano un’istituzione. Lui si è sempre limitato a ringraziare con educazione, dichiarando che tutti esageravano.  

Si limitava a fare quello che gli veniva meglio, scrivere storie che lo portassero fuori dalla realtà. Con un carattere estremamente solitario, abbracciò da subito la passione per la lettura e la scrittura come strumento per placare la sua sete di evasione.

Ora Gino a novant’anni, vive da solo in una grande villa mentre il mondo lì fuori va avanti correndo ad alta velocità. Si limita ad osservarlo da lontano ed a scrivere quello che osserva. La sua anima da scrittore non è ancora morta, si è solamente trasformata. Invece di scrivere nuove storie, si limita ad annotare delle piccole frasi su dei pezzi di carta che poi mette all’interno di bottiglie di assenzio vuote.

L’idea gli è venuta in mente anni fa, mentre parlava al telefono con uno dei suoi pochi amici. Lorenzo ha sempre fatto il barman ed ora che l’età avanza, è proprietario di un grande bar al centro di Roma, Un giorno, parlando dei “poeti maledetti” e di come passavano le loro giornate tracannando assenzio, Gino realizzò che molte delle frasi o, come li definiscono adesso, aforismi, potevano essere imprigionati all’interno delle bottiglie vuote di assenzio.

In questo modo rimangono intrappolate nel tempo o finché qualcuno non rompe la bottiglia. Ormai sono anni che Lorenzo spedisce casse intere di bottiglie vuote. Quella mattina di fine inverno, Gino sta davanti alla finestra ad osservare le gocce di pioggia che si fanno strada sul vetro della sua finestra in salone, per poi andare a morire verso la fine.

Piove a dirotto ormai da diversi giorni e Gino sente l’umidità penetrargli nelle ossa, ha dolori ovunque e si sente affaticato. Il suo tempo sta per finire, lo percepisce nell’aria. Non è dispiaciuto anzi, per certi versi ne è sollevato.

Ha vissuto una lunga e piacevole vita, ha realizzato tutti i suoi sogni ed ha lasciato molte tracce di sé. Un giorno qualcuno gli ha detto che gli artisti non muoiono mai, e lui ci crede. Quante volte ha sentito la mancanza dei suoi amici e colleghi che ormai non ci sono più, ed ogni volta li ha ritrovati nei loro libri, nelle loro meravigliose storie.

Stesso discorso per i pittori e i musicisti, basta osservare o ascoltare le loro opere per farli rivivere ogni volta che vogliamo. Continua a starsene in piedi davanti alla grande finestra del salone, alle sue spalle c’è una libreria che percorre tutto il perimetro dellla stanza e al centro la sua scrivania. Ha in mano una tazza di caffè americano, è più lungo e fa meno male.

Il fumo sale dalla tazza portando nell’aria l’aroma della bevanda.

Osserva il mondo fuori, la natura che vive e pulsa davanti ai suoi occhi, poi si gira ed inizia a guardare i numerosi libri che occupano la biblioteca. Proprio dietro alla sua scrivania c’è un’intera parte dedicata ai suoi, compresi i volumi di tutti i paesi che hanno voluto comprarne i diritti. Sono tanti da perderci la testa e Gino ogni volta che li vede si ricorda da dove è partito.

Non ha mai scordato quel ragazzo impaurito nei corridoi di un liceo e delle parole incoraggianti del suo professore che aveva capito subito il grande talento. Non si è mai scordato nemmeno le critiche che negli anni gli sono arrivate, le brutte parole che molti giornalisti hanno usato per descrivere i suoi lavori. Lui ha sempre ringraziato tutti, continuando per la sua strada. Ora si siede sulla sedia, sente la sua vita agli sgoccioli, prende una penna e appunta una scritta, forse l’ultima della sua vita. 

“Mi è stata donata una sola vita, ma io ne ho vissute centinaia”. 

Piega il foglio e lo inserisce nell’ultima bottiglia semivuota, poi si alza e si siede nella poltrona davanti al camino. Aspetta la fine, con un sorriso tra le labbra e una tazza di caffè in mano. 

Clementi Simone

immagini prese da google immagini

#FUORIPOSTO, l’arte e la musica invadono gli spazi dove esibirsi è permesso

È passato praticamente un anno da quando tutto è cominciato, da quando la pandemia ci ha sommersi come un’onda devastante e incontrollabile.

Tutti siamo stati chiamati a fare dei sacrifici. Siamo stati costretti in una bolla senza più capire cosa è concesso e cosa no, quando, come e perché.

E sappiamo bene che uno dei settori ad essere stato maggiormente penalizzato è quello della cultura in generale, con la chiusura di musei, teatri, cinema, spazi culturali e sale da concerto.

Ed è proprio in questo momento che abbiamo capito con più forza quanto l’arte sia necessaria. Ne abbiamo bisogno sempre, e ancor di più in un momento in cui gli spiriti sono stati completamente svuotati.

Ma ieri sera, domenica 24 gennaio, è accaduto qualcosa di speciale.

Quattro giovanissime cantautrici hanno portato il loro #FUORIPOSTO all’interno di una chiesa, uno dei luoghi in cui esibirsi e avere un pubblico è ancora concesso.

#FUORIPOSTO

#FUORIPOSTO è “la richiesta democratica di regole in grado di permettere a chi lavora nello spettacolo di svolgere la propria professione”. Non una protesta anarchica, non un puntare un dito contro luoghi come le chiese, la cui apertura è concessa. Bensì un desiderio di esibirsi nel pieno rispetto di tutti, ubbidendo ad ogni regola necessaria e congrua con l’attuale situazione.

#FUORIPOSTO era già cominciato lo scorso novembre sulla Metro di Torino, quando le giovani cantautrici si sono esibite sui mezzi. Questo per dimostrare come i mezzi pubblici non siano in realtà più sicuri degli spazi culturali, che ad oggi sono ancora chiusi.

Così, ieri sera #FUORIPOSTO ha fatto tappa nella Chiesa di San Grato in Mongreno, sulle colline torinesi, trasformandosi in un concerto sotto forma di veglia. Assieme alle cantautrici Rossana De Pace, Francamente, Cheriach Re e Anna Castiglia si sono esibiti altri artisti, che hanno portato sull’altare diventato un palco la musica, la danza e il teatro.

30 i posti a sedere, con la possibilità di seguire l’intera serata in diretta streaming. Tutto si è svolto nel pieno rispetto delle regole anti contagio. Posti limitati, distanziamento sociale, obbligo di mascherina, rispetto del coprifuoco e divieto di assembramento.

Quella di ieri è stata una serata mistica e speciale. Un progetto di condivisione, una “comunione” fra sacralità, architettura, musica e cultura.

Il tutto portato avanti da quattro donne e cantautrici fortissime, determinate ed estremamente brave. Un segnale importante per il mondo della musica e della cultura italiana. Una protesta pacifica a cui tutti e tutte dovrebbero unirsi per riportare la musica nel posto che le spetta, sopra un palco.

Se vi siete persi #FUORIPOSTO, potete trovare il video a questo link.

Potete trovare i bravi delle cantautrici nella nostra playlist Spotify dedicata agli artisti emergenti.

Riccardo d’Avino racconta il suo singolo “Zanardi”

Riccardo d’Avino, cantautore torinese, lo scorso dicembre ha pubblicato un singolo dal titolo “Zanardi”, ispirato al noto atleta. Il brano  un invito a non rinunciare mai ai propri sogni e a essere sempre propositivi, nonostante le difficoltà che si possono presentare nel percorso.

Abbiamo scambiato due chiacchiere con l’autore del brano, Riccardo d’Avino.

Come è nata l’idea di scrivere un brano ispirato alla figura di Zanardi?

L’idea è nata in un momento di sconforto della mia vita. È stato allora che ho pensato alla tragica vicenda di Alex Zanardi e di come lui ha reagito. Ho sempre ammirato tantissimo Alex per la sua positività e la sua forza di volontà fuori dal comune, perciò ho scelto la sua vita come metafora della mia: una vita in cui, nonostante tutti i grandi o piccoli ostacoli, c’è sempre la speranza e l’inarrestabile desiderio di ritornare a correre.

Quando è stato registrato il brano? E come è avvenuta la scelta delle sonorità?

Ho registrato la canzone nell’estate del 2019.Queste sonorità sono sicuramente il risultato delle mie influenze musicali. Io amo la canzone d’autore, ma sono anche cresciuto ascoltando l’alternative rock di gruppi come Smashing Pumpkins, Fugazi, Verdena e Zen Circus, dei quali si possono senz’altro sentire diversi richiami.”

Come si “conquista” secondo te la forza di volontà?

Si conquista fermandosi a pensare a quanto si è fortunati a vivere. Suonerà banale, ma spesso tutti noi ce ne dimentichiamo. E quando capisci di essere così fortunato, allora ritrovi tutta l’energia di credere in ciò che sei ed in ciò che vuoi.

Questo brano anticipa qualcosa di più ampio?

 Vorrei pubblicare un nuovoalbum. Sto continuando a scrivere nuovomateriale. Quando avrò un buon numero di canzoni da cui scegliere, allora sarò pronto a registrarlo.”

C’è un brano nella storia della musica italiana che avresti voluto scrivere tu? Qual è?

“Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco. La più bella e malinconica canzone d’amore mai uscita in Italia, secondo me.

Grazie!

Leggi anche l’intervista a Meise!

Take it slow: con gli Artica torna il rock

Take it slow è il disco d’esordio degli Artica

Puro rock’n’roll: non si può descrivere altrimenti Take it slow, prima fatica discografica degli Artica uscita per Volcano Record. Dieci tracce di batteria, basso, chitarra e voce; un quartetto che, a rievocarlo, sembra di ricordare il Brasile di Pelé o il Grande Torino, storie dimenticate ma leggendarie.
Gli Artica sono usciti con un ottimo disco che, senza troppi fronzoli, trasmette grinta e passione, che è tanta roba.

Dieci tracce di rock

Psycho Soul mette subito le cose in chiaro, con il “Come on” urlato nel ritornello ed un riff di chitarra che trascina subito in medias res, dritti sotto il palco (per ora virtuale) a ballare sotto cassa.
Dopo una transizione soft con All we need, la chitarra torna protagonista con I don’t know why, mentre le atmosfere si fanno R&B in Call the police.
Superato il giro di boa, c’è un’incursione negli anni ’90 con una traccia di synth in Fired Up, caratterizzata da una doppia line vocale che ricorda il punk rock a cavallo tra il XX ed il XXI secolo ed un bridge spettacolare suonato da pianoforte sintetizzato, cassa in quarti e chitarra.
Dopo Drive my way e Lost my soul, due canzoni orecchiabili e molto piacevoli, si torna a sfiorare l’hard rock con Knife’s dance, dove la ritmica la spadroneggia nel rendere possente la sonorità della strofa, che però si scioglie nel ritornello reso melodico dal controcanto che è, evidentemente, una delle armi migliori del gruppo.
Arrivati al decimo brano di Take it slow, gli Artica offrono Shuld not be, che si apre con un arpeggio di chitarra che sembra congedare l’ascoltatore, ma in realtà si sviluppa in un brano carichissimo che conclude il disco su una nota tenace che è specchio delle nove tracce precedenti.

Molti riferimenti per un disco utile

Nel genere che propongono gli Artica inventare è difficile ed è pericoloso.
Take it slow è un ottimo album, difficile non volerlo riascoltare ed è difficile non apprezzarlo.
Ci sono moltissimi riferimenti al rock che è stato, dalle incursioni punk in stile Anti-Flag e Green Day alla vena à la Oasis che emerge in diversi punti, dai riff al cantato.
I brani migliori sono sicuramente quelli che si spingono di più agli estremi, ma in generale, quest’album ha il pregio di risultare quasi innovativo in una scena musicale che il rock è sempre meno abituata a sentirla. Dunque, Take it slow è un disco che fa piacere trovare e sentire.

Milella è meglio di Skywalker

Milella è la nuova scommessa di Revubs Dischi, da ieri fuori con il suo primo singolo “Guerre Stellari”, un inno catartico alla disperazione che ci rende vivi, al dolore che fortifica e alle cicatrici che non si cancellano.

Il cantautore pugliese è uno che il suo bagaglio competenziale sembra avercelo: idee chiare, scrittura pulita e poetica riconoscibile derivano da un ascolto attivo e cosciente (o almeno, così sembrerebbe) della tradizione italiana, senza precludersi di spaziare verso sonorità esterofile, con baricentro sugli anni Novanta.

Sì, perché Milella, tra le venature del suo alto lirismo, sembra nascondere un approccio alla musica vero, liberatorio quanto doloroso, grunge: “Guerre Stellari” è un pezzo che funziona perché funzionale, terapeutico. Per capire quanto la musica aiuti il cuore, e per scoprire dov’è diretto il progetto Milella, non perdetevi la succosissima intervista che segue.

Ciao Milella, tre aggettivi per raccontarci chi sei e uno che non ti appartiene proprio!

Ciao Indielife! Milella è un pignolo, logorroico e nostalgico cantautore, sicuramente non calmo; purtroppo la tranquillità non mi appartiene.  

Come nasce la tua passione per la musica? Facci una radiografia della tua esperienza. Da dove sei partito, e oggi quanto sei cambiato (e in cosa) dalla tua prima volta?

Anzitutto, la passione per la musica nasce in casa, tramite i miei genitori, fra il cantautorato italiano di mia madre e il rock di mio padre.
Il primo approccio con lo strumento avviene in seconda media, quando il nuovo professore di musica porta una chitarra al primo giorno di scuola per farci star buoni e ci canta in acustico “Don Raffaè”; lì c’è stato l’imprinting con lo strumento a sei corde, che da quel momento non mi ha più abbandonato: come i tanti cantautori apprezzati dai miei genitori, potevo anche io “convertire” le tante parole (sì, sono logorroico, quindi troppe) in una sintesi perfetta, la canzone! E in realtà sono rimasto lo stesso nostalgico di quando ero bambino, però una volta sognavo di sfoggiare la mia Gibson al Wembley Stadium, mentre attualmente le priorità – almeno in quello – sono cambiate, mi piacerebbe semplicemente raccontarvi i film che nascono all’interno mia testa. 

Sei al primo singolo per Revubs Dischi, “Guerre Stellari”. Ma la celebre epopea cinematografica ha in qualche modo influenzato la tua ballad?

Assolutamente sì. “Guerre Stellari” ci mostra come in un universo sconfinato, nonostante i conflitti galattici, ci sia sempre spazio per i rapporti umani e, soprattutto, spazio per le loro difficoltà, per l’infinito rincorrersi fra le persone che in fondo non si sono mai slegate. Come detto sopra, sono un nostalgico e un romantico, quindi credo che il vero amore possa sopravvivere anche a miliardi di anni luce. 

Come nasce il brano? Raccontaci qualche retroscena…

Il brano nasce come mia personale terapia durante il primo lockdown, in seguito a un messaggio arrivato da un mittente particolare, una persona dal mio passato. La prima quarantena ha sorpreso tutti, quindi ha spinto molti di noi a ricongiungersi con il proprio passato, soprattutto quello non del tutto chiuso e, nel mio caso, è stato il passato che a tornare da me, facendomi esclamare istantaneamente: questa si che è una guerra stellare

Momento varietà: un libro, un disco e un film (non vale nessun episodio della saga “Guerre Stellari”) che ti senti di consigliarci.

“Norwegian Wood” – Haruki Murakami

“Afrodite” – Dimartino

“Il Postino” – Massimo Troisi 

Sono per me tre inni alla bellezza e al saper tramutare qualsiasi cosa in una cicatrice che non fa male, ognuno nel proprio campo. 

E se dovessi un giorno fare un feat., con chi lo sogneresti?

Gino Paoli, vero poeta applicato alla musica, nulla mi regala brividi più di una sua frase. 

Salutaci con un proverbio delle tue parti.

Ammìnete che l’acque iè vvàsce!“. Che dice letteralmente: lanciati, l’acqua è bassa. Ciò che i miei genitori continuano a ripetermi sin dall’adolescenza, per spronarmi a non fermarmi mai, qualsiasi situazione mi si pari davanti, quindi auguro anche a voi di Indielife di lanciarvi sempre nella vita, perché l’acqua è bassa. 

L’Anything degli Hiroshi

“Ciao a tutti, siamo Niccolò Bacalini, Lorenzo Renzi, Alessio Beato e Luca Torquati degli Hiroshi e siamo qui per rispondere a delle domande poste da Indielife.it.” Comincia così l’intervista alla band di Fermo (FM), intervistata in occasione dell’uscita di Anything, il nuovo album pubblicato con NufabricRecords. Durante l’intervista agli Hiroshi mi sono soffermata sulla loro storia e sul brano che ha dato il via a questo nuovo album della band marchigiana: Run Ran Run.

● Da dove nasce il nome d’arte Hiroshi

Il nome d’arte Hiroshi nasce molto tempo fa, spontaneamente mentre stavamo guardando un film molto bello di Gus van Sant, Restless (L’amore che resta, 2011). C’era un personaggio che ci interessava particolarmente, il fantasma di un kamikaze che appunto si chiamava Hiroshi e abbiamo decido di dare nome a questo progetto in suo onore.

● Quali sono le vostre influenze musicali? 

Quali sono le nostre influenze musicali… Non è una questione per nulla scontata! Si può chiaramente percepire quanto la nostra musica debba a diversi artisti, correnti e generi sia del presente che del passato. I brani di Anything si compongono del bagaglio culturale di ciascuno di noi, un background comune ben radicato nell’alternative ma con  diverse sfumature chiaramente leggibili. Per fare alcuni nomi, da un punto di vista musicale, dobbiamo molto a band come Radiohead, Notwist, Animal Collective, LCD Soundsystem, Beach House e Apparat, anche se i nostri ascolti poi spaziano in qualsiasi direzione, dagli Offlaga Disco Pax a Nick Cave, dagli Arcade Fire a Chet Baker.

● Com’è nato il singolo Run Ran Run

Il singolo Run Ran Run è abbastanza indicativo del nostro processo musicale compositivo. Questo brano é nato da una cosa che non assomiglia assolutamente al prodotto finale, è nato a distanza, fra le Marche e il resto del mondo (ai tempi eravamo sparpagliati in diversi punti) ed è nato sull’internet scambiandoci dati, sensazioni, che poi sono state messe insieme in sala prove attraverso un lavoro, fondamentale per noi, che è quello di lavorare di persona sui brani perché da una base, dopo, nasce un amalgama del pezzo stesso. Succede che dall’idea iniziale ci si discosta diametralmente e quello è il risultato finale!

Hiroshi band

Ecco come gli Hiroshi descrivono il brano Run Ran Run

É un brano che vuole descrivere il tumulto di essere qualcuno ed agire in una maniera del tutto opposta, la lotta interiore generata dalla discrepanza fra la propria apparenza ed il proprio essere. Il brano è strutturato come un dialogo fra una personalità lucida, interpretata dalla voce, e la sua caotica controparte, il subconscio, che si esprime attraverso i synth finali: la voce si domanda disperatamente cosa stia accadendo e perché, ottenendo come risposta nient’altro che rumore.

● Cosa vorreste trasmettere con i vostri brani? 

Questo si ricollega a come va letto il nostro album. Il nostro album va interpretato come un prodotto di noi stessi che riflettiamo sulle nostre esistenze e mettiamo su un oggetto tangibile le nostre sensazione, le nostre emozioni, consci però del fatto che qualcuno effettivamente fruirà di questi contenuti. É come la metafora della nuvola che vista da due persone può essere descritta in due modi totalmente diversi. L’album vuole parlare a qualcuno presentando noi stessi, in modo da leggere, su questo disco, ciò che è più affine al mood di chi ascolta, quindi comunicando agli altri passando attraverso le loro emozioni.

● Qualche chicca sul nuovo album? 

Il nuovo album è fatto per essere fruito al meglio in vinile. C’è stata una particolare attenzione al suono, come durante la composizione, e il supporto é parte di questo lavoro. Tutto è stato studiato, dalla grafica ai suoni alla composizione fino al supporto per offrire e per esprimere un’esperienza che sia unitaria e dia il massimo, soprattutto in questa modalità di fruizione. É un album che vi darà tante sensazioni positive esattamente come quelle di Niccolò. 

hiroshi band

● Con chi vi piacerebbe collaborare per un nuovo singolo?

Qui penso di parlare a nome di tutti. Il nostro idolo assoluto è Max Collini (conosciuto per essere stato autore e voce dei testi degli Offlaga Disco Pax). Ci piacerebbe veramente suonare con lui, parlare con lui, comporre qualcosa con lui, anche perchè siamo di Fermo e va da sè che Fermo sia uno dei nostri pezzi preferiti.

Gli Hiroshi ci salutano così:

Grazie di averci seguito! Vi rimandiamo all’ascolto del nostro album Anything! Speriamo di avervi dato sensazioni positive esattamente come quelle di Niccolò.

Guarda la video intervista sui nostri account social o leggila nel magazine di gennaio di Indielife! Grazie agli Hiroshi e all’ufficio stampa UnoMundo

Uno scrittore intervista gli scrittori

Questo mese partirà ufficialmente il mio progetto denominato “uno scrittore intervista gli scrittori”. Ho deciso di creare questo Salotto Virtuale per dare spazio a chi, come me, ha la passione per la scrittura creativa e dedica il suo tempo libero ad inventare storie. Questo mese il mio salotto ospiterà la scrittrice Arianna Calandra che ci parlerà di lei e dei suoi libri.

1 Presentati, parlaci di te.

Mi chiamo Arianna Calandra, ho 31 anni e sono di Roma. Oltre a scrivere romanzi, lavoro come restauratrice pittorica e come redattrice e articolista per testate giornalistiche.

2 Quando è nata la tua passione per la scrittura?

Già da piccolissima ho iniziato a scrivere i primi racconti e fiabe. Questa passione mi ha accompagnata in ogni fase della crescita, fino a trasformarsi in qualcosa di molto serio, una parte fondamentale della mia esistenza.

3 Uno scrittore è prima di tutto un lettore, che genere prediligi?

Leggo di tutto e non disdegno nessun genere, anche se ovviamente ho delle preferenze. Amo i fantasy e tutti i suoi sottogeneri.

4 Parlaci del tuo ultimo lavoro e della tua scrittura

L’ultimo lavoro pubblicato è stato La Forma della Luce, un dittico urban fantasy che tratta tematiche spirituali del nostro mondo in chiave fantasy, edito dalla casa editrice IDEA Immagina Di essere Altro. Nel 2020 il dittico ha ricevuto il primo premio Books For Peace, nella categoria di appartenenza. È stato un momento magico e un bellissimo traguardo.

Nel 2020 ho ultimato la stesura di un nuovo romanzo autoconclusivo che verrà pubblicato nel 2021.

Nel frattempo mi sto dedicando a un’altra storia, guidata dai maestri del Master in Tecniche della Narrazione della scuola Palomar che sto frequentando.

5 Editoria classica o Selfpubblishing?

Ho pubblicato con una Casa Editrice e non tornerei mai indietro. Credo che pubblicare non sia solo una questione di guadagno, per questo ho preferito affidarmi a figure professionali, che oltre a curare il libro in ogni aspetto, si occupano di distribuzione, canali di vendita, fiere, ecc.

Tutte cose importantissime per un esordiente e molto complicate da raggiungere per un singolo senza conoscenze.

6 Scrivici la citazione preferita del tuo scrittore preferito

Amo Zafón, che purtroppo in questo disastroso 2020 ci ha lasciati. Questa è una delle sue citazioni più belle:

Ogni libro possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso”.

7 Scrivici la citazione preferita di una tua opera

Il bene non dipende dalla razza a cui appartieni, ma dal tuo “essere” umano

(Tratto da: La Forma della Luce)

Ringrazio Arianna Calandra per il tempo che mi ha dedicato ed invito tutti a leggere le sue bellissime storie.

Immagine donata dall’autrice

Clementi Simone

Frida, chi è chi sa di non voler essere più

Frida è una delle voci nuove del cantautorato femminile: tre singoli attivo, un timbro graffiante e una scrittura in fase di costante crescita – in rincorsa verso la definizione di un’identità che, di questo passo, non tarderà ad arrivare e a farsi inconfondibile – fanno da corredo alla presentazione minima di un progetto che, dalla provincia pugliese, sembra destinato a guardare al mercato nazionale e a platee importanti per vocazione personale, per debito con sé stesso.

Sì, perché Frida di esperienza alle spalle ne ha già un bel po’, e la musica è diventata una componente fondamentale di quella sua piccola terapia quotidiana fatta di resistenza, e resilienza: scrivere per dimenticare, per ricordare a sé stessi chi si è; cantare per sentirsi, e non arrendersi al silenzio del rumore.

Era triste Bologna” dipinge la trama di un amore intento a ricorrersi sotto i porticati materni della città felsinea, iconica ambientazione di una storia che di mainstream (smettiamola di etichettare negativamente questa parola, perché sarebbe ipocrita da parte di tutti; proprio noi, consumatori compulsivi!) è intrisa fino al midollo, e che trova nell’arrangiamento curato da Molla il giusto trampolino di lancio, utile a spizzare il cuore fuori dal petto e lasciar scender giù dalla frontiera delle ciglia la giusta dose di empatica, catartica disperazione.

Alla fine, “Era triste Bologna” strappa la lacrimuccia raccontando la storia di chiunque, proprio perché così intensamente privata, sincera, umana. Ultima nota, ma non per importanza – e a mò di postilla: Luppolo Dischi conferma la sua attitudine allo scouting e continua il filotto di buone uscite che, negli ultimi mesi, sta consacrando l’etichetta romana a nuova potenziale next big thing della discografia emergente; occhi aperti sul loro roster, più che mai in ebollizione. Noi, per ora, ci siamo fatti qualche chiacchiera con Frida.

Ciao Frida, tre aggettivi per presentarti ai nostri lettori.

Ciao lettori di IndieLife! Per presentarmi userei: malinconica, sognante e sensibile.

Frida, hai un nome che sa di arte allo stato puro. Ce ne spieghi la scelta?

Io vivo di arte a 360 gradi. Amo l’arte in tutte le sue sfaccettature. Il mio nome ricorda appunto la celebre pittrice Frida Kahlo, una donna che ammiro molto perché nonostante il suo dolore interiore, gli infiniti tradimenti da parte del marito e gli svariati incidenti, non ha mai smesso di amare la vita. È l’incarnazione della resilienza, è anticonformista, è indipendente ed è da sempre la mia musa ispiratrice (ho anche tatuato sul mio braccio il suo volto, a metà con quello di Amy Winehouse).

Regalaci due aneddoti diversi: il primo, riguardo al momento più bello che hai vissuto sul palco. Il secondo, invece, riguardo quello più imbarazzante!

Penso che il momento più bello sia quando vedi la gente cantare con te, le tue canzoni e non più quelle di altri artisti. Di imbarazzanti invece, ne avrei a bizzeffe ma ve ne cito solo qualcuno, altrimenti staremmo qui ore a parlare solo delle mie gaffe. Sono parecchio impacciata a volte e mi capita tipo di inciampare fra i cavi, di balbettare o di inventarmi parole di sana pianta. Insomma, ci si diverte ai miei concerti! 

Sei oggi al tuo terzo singolo per Luppolo Dischi. Ci racconti un po’ com’è nato il tuo percorso con l’etichetta? Quanto realmente è importante oggi, secondo te, avere il supporto di una realtà discografica? In tanti, intraprendono la via dell’”indipendenza”…

E’ successo tutto un po’ per caso e inaspettatamente. Subito dopo aver prodotto i primi brani, ho deciso di inviarli all’etichetta, la Luppolo Dischi di Roma, e con mio enorme stupore ho ricevuto subito risposta positiva. Non riuscivo a crederci, ma era tutto vero. Mi hanno sin da subito accolto nella loro famiglia e fatto sentire a casa, lasciandomi libera di esprimere, sia nella scrittura che nella composizione. C’è stato un bel lavoro di squadra sin da subito. Confido molto in loro, nei loro consigli, nella loro esperienza. Sono davvero delle splendide persone!

Secondo me è molto importante avere il supporto di una realtà discografica, perché ha un ruolo fondamentale nella produzione, distribuzione e promozione della musica, soprattutto in questo periodo in cui il mercato musicale è ormai saturo di roba. L’etichetta valorizza le potenzialità dell’artista e lo segue passo dopo passo nella sua crescita artistica. È un punto di riferimento.

Parliamo di “Era triste Bologna”. Come nasce il brano?

Allora il brano nasce ad aprile del 2020, durante la prima quarantena, nel silenzio della mia stanzetta, tra fogli di carta sparsi, luci soffuse e candele profumate. Mi sono ritrovata, forse per la prima volta, davvero da sola con me stessa, spogliandomi delle mie insicurezze e riversandole dentro un testo, questo appunto. Dopodiché ho finalmente trovato il coraggio di farlo leggere ad un amico produttore, Molla, a cui è da subito piaciuto e dopo una lunghissima chiacchierata, abbiamo deciso di metterci al lavoro, a distanza (causa Covid), scambiandoci audio, registrazioni su WhatsApp e successivamente registrando ognuno dal proprio studio.

Facciamo un giochino, che ammicchi al gossip con eleganza; nel tuo ultimo singolo, si racconta una storia di emozioni intense finita non propriamente bene. Lascia qui un messaggio per il destinatario della canzone, se ti va: il tuo personale invito ad ascoltare questo pezzo di te.

Grazie per aver tirato fuori la parte migliore di me, che per troppo tempo è restata nascosta perché non avevo il coraggio di mostrare; grazie per aver tirato fuori le parole giuste che non pensavo di avere; grazie perché finalmente ora so chi sono e cosa NON voglio. Se sono arrivata fin qui, lo devo anche e soprattutto a te.

Lasciaci con un consiglio da intenditrice: un film da guardare stasera, che in qualche modo ti appartiene e che senti possa raccontare un po’ di te.

Uno dei miei film preferiti è “Mine Vaganti” del grandissimo regista Ferzan Özpetek. Se l’avete guardato bene, se non l’avete fatto, vi prego fatelo subito. Tocca diversi temi importanti come la famiglia, l’omosessualità e l’amore, con continui intrecci fra passato e presente, mescolando sapientemente commedia e dramma. Il film è ambientato a Lecce, quindi nella mia bellissima Puglia, e racconta la difficoltà di due fratelli, di essere omosessuali in un ambiente ancora retrogrado e pieno di pregiudizi e tabù. 

Il Vento Contro ” Ricordo ancora tutto”

“Ricordo ancora tutto” è il primo album della band italiana “Il Vento Contro”.

Registrato presso PMS STUDIO, il giovane terzetto lombardo ci presenta una sorta di grido di battaglia per tutti quelli che si sentono inadeguati, giudicati e controllati dalla società, da persone esterne o addirittura da se stessi.

L’album contiene 11 tracce che variano dal pop al rock, fino ad arrivare a sfumature più indie.

“Luci di Piccadilly” è la canzone di apertura del disco, che si apre con energetiche note pop-punk mentre la voce malinconica di Giulio rende graffiante il pezzo.

“Mindelo”, invece, é il brano di chiusura. Una ballad rock, che ci ricorda di non smettere mai di sognare, e che conclude in maniera eccelsa la prima fatica discografica de “Il Vento Contro”.

Un album che mette in musica lo stato d’animo che ognuno di noi prova quando ogni cosa va male, quando ci sentiamo nemici di noi stessi, ma che ci ricorda anche come ci si rialza e come affrontare i problemi quotidiani.

“Ricordo ancora tutto” è disponibile in tutti i digital stores.

“Il Vento Contro” è formato dal cantante e chitarrista Giulio Tellarini, il bassista Roberto Bonozzoni e il batterista Daniele Cataldo.

Daniele nasce in una famiglia musicale, appassionato di batteria decide di studiare alla Drummer collective school of music di New York.

Roberto e Giulio, appassionati anche loro da sempre di musica e compagni di università, formano i loro primi progetti insieme.

Mentre Roberto verte su generi musicali più inerenti al pop e metal, Giulio è da sempre appassionato di sound inglese e Brit-pop fino a spaziare all’alternative italiano.

Insieme formano nel 2016 la band “Il Vento Contro” e nel 2020 esce in tutti i digital store il loro primo album “ Ricordo ancora tutto”.

Elsa Ciullo