Dopo aver pubblicato i dischi Camper (2015) e, nel 2018, Dopo la guerra, Bonetti torna con il singolo Siamo vivi. Il brano, pubblicato con Bravo Dischi, è un pezzo che strizza l’occhio a un funk blando, ma ricco di sintetizzatori, su cui la voce del cantautore si inserisce con un testo tipicamente indie.
è più facile trovare un sorriso in galera piuttosto che a Novara Sotto sti palazzi che a guardarli si diventa vecchi Sotto questo cielo col colore degli specchi
Ci siamo noi
e siamo vivi
Siamo vivi è una canzone ballabile fin dalle strofe, ma il ritornello la movimenta ulteriormente, rimandando all’estate e aggiungendo vitalità al brano:
Arrivi
che siamo mattonelle in fila tutte colorate
io aspetto solo che arriva l’estate
Da Novara a Milano
Subito dopo il ritornello, l’atmosfera cambia improvvisamente: il giro funky passa in minore, trasformando completamente l’atmosfera e dando adito a un pezzo quasi rappato. Qui lo scenario cambia, passando da Novara al capoluogo lombardo: Bonetti racconta di un viaggio compiuto nella metropolitana mlianese e che lo porta fino a Chinatown, che lo riempie di malinconia.
Sono sceso
con la faccia seria e i movimenti tutti misurati
guardavo di continuo l’orologio
per confondermi con loro, loro che andavano al lavoro
Si torna quindi al ritornello, che riprende il clima allegro che si era presentato in apertura all’ascoltatore e porta Siamo vivi alla sua conclusione.
Graphic Video
Siamo vivi, oltre alla propria dimensione musicale, si presenta con una videoclip animata, creata da Francesco Pavignano, con la regia di Edoardo Rubatto, Gianluca Mamino e Francesco Pavignano. Le immagini accompagnano la musica, rispecchiando il testo e rappresentandolo come una sorta di racconto.
Con Siamo vivi, Bonetti dimostra di essere un musicista ben collocato nella scena indie e di meritarsi un pubblico pari a quello dei nomi più quotati all’interno del genere.
Un disco nero e una puntina sono la ricetta perfetta per dare inizio alla magia: il suono del vinile è inconfondibile, diverso e ha la capacità di trasportare in un’ottica nuova e antica allo stesso tempo, grazie ad una qualità del suono totalmente differente da quella in formato digitale. Ma come nasce un disco in vinile e, soprattutto, quali sono i 10 dischi più venduti di sempre?
Un po’ di storia
È il 1948 quando vengono ufficialmente introdotti sul mercato i dischi in vinile, in sostituzione dei 78 giri. Ma qual è la differenza sostanziale tra i due tipi di dischi? L’entrata in scena del microsolco cambia quasi tutto: realizzato in gommalacca e ruotando a velocità più bassa, il disco infatti consente di registrare per un arco di tempo più elevato e, di conseguenza, significa poter incidere interi album e non soltanto singoli.
L’arrivo del vinile, in ogni caso, viene ufficializzato nel 1948 quando la Columbia Records– negli Stati Uniti- ne rende fisso l’impiego. Arrivano ovunque: artisti di ogni Paese li utilizzano sempre di più e si diffondono a macchia d’olio, basti pensare che (in Italia) negli anni ’50/ ’60, un 45 giri costava 800 lire, un 33 giri 3000 lire. Negli anni ‘70 dalle 100 alle 500 lire per i 45 giriusati; dalle 500 alle 1500 per i 33 giri. La loro diffusione sembrava inarrestabile. Fino all’entrata in scena delle musicassette prima e dei CD poi. Fino ad arrivare ai primi anni ’90 quando la produzione di dischi in vinile è, praticamente, nulla.
E oggi?
Oggi il vinile continua ad essere un prodotto di nicchia ed è stato solo nel 2010 che i dischi sono tornati sugli scaffali dei negozi di musica. In ogni caso continuano ad essere molti gli artisti che optano per la registrazione su vinile, oltre (naturalmente) a quella in digitale: il mercato dei microsolchi ricomincia a girare e nel 2011, in Italia, registra 2,1 milioni di euro posizionandosi quinto nella classifica dopo Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi.
La creazione del disco in vinile
Il processo di creazione di un vinile prevede diverse fasi. L’emissione del suone si deve alla puntina magnetica che scorre nel solco inciso sul disco di cloruro di polivinile, essenzialmente plastica. L’incisione del suono avviene tramite un fonoincisore: una punta che imprime tutti i suoni, dal più alto al più basso. A questo punto la matrice del disco è pronta e subisce diversi processi che permettono, poi, di riprodurre il disco in serie. L’incisione su vinile è un processo altrettanto complesso e avviene grazie all’utilizzo di un tornio che trasforma il suono in solco a spirale (clicca qui per capirne la costituzione).
Si chiama Simone Iannella, in arte Simian, e “Guerra” è il suo nuovo singolo. Simian ha 21 anni ed è un giovane artista campano e studente dell’Accademia di Belle Arti. Noi abbiamo deciso di fare due chiacchiere con lui.
Ciao Simian, per cominciare ci parli un po’ di te? Com’è iniziato il tuo percorso musicale?
Per quanto riguarda il mio percorso musicale e le mie influenze, io vengo da una famiglia in cui la musica è tutto. I miei genitori mi hanno cresciuto con qualunque tipo di musica, a partire dal grunge con i Nirvana (infatti Kurt Cobain è uno dei miei idoli) e dall’alternative metal. Con i Radiohead mi si è aperto un altro mondo su un tipo di musica quasi più indie, più placata, e soprattutto mi sento vicino ai temi delle loro canzoni che sono molto sensibili, un po’ come me.
Poi, quando avevo 14 anni, ho iniziato a suonare il basso in una band con cui facevamo delle cover dei Rage Against The Machine. Direi che tutto è partito da qui, perché il desiderio di cominciare a scrivere è venuto dopo tutto questo. Scrivere all’inizio è stato più uno sfogo emotivo, partito da una delusione d’amore. Ma adesso si è rivelato essere per me un punto di svolta; mi sento un po’ come un poeta. Per quanto riguarda le basi, la musica che faccio la produco da solo ed ogni volta si instaura un feeling tra me e le mie strumentali.
Come hai vissuto questo momento particolare?La quarantena ti ha portato a scrivere di più o, come è successo a qualcuno, ha causato una sorta di blackout musicale?
In questa quarantena è stato più difficile scrivere nuove cose. Questo a causa dell’assenza di esperienze, del contatto con i luoghi. Mancava l’ispirazione. Però devo dire che Guerra, il mio nuovo singolo, l’ho scritto in dieci minuti. Forse perché avevo tutto dentro ed è uscito fuori quando Luciano, il ragazzo che mi ha prodotto il beat, me l’ha inviato. Guerra è esplosa così in poco tempo e l’ho scritta proprio durante la quarantena.
Ascolta “Guerra“, il nuovo singolo di Simian:
Nel ritornello del tuo nuovo singolo Guerra ad un certo punto dici: “il testo che ho scritto quasi mi detesta”. Sei in contrasto con te stesso mentre scrivi?
Diciamo che non solo quando scrivo… sono continuamente in contrasto con me stesso (ride, ndr). Il motivo è ancora da decifrare. Però in generale sto cercando di crescere e non solo a livello musicale. Mi sto affacciando alla vita e devo dire che sicuramente devo ancora trovare un equilibrio. Spero presto (ride, ndr).
Tralasciando gli artisti di cui mi hai parlato, che hanno influenzato la tua infanzia ed il tuo percorso, quali sono gli artisti del panorama musicale attuale (italiano e non) a cui ti ispiri?
Più che influenzarmi da un punto di vista musicale, gli artisti mi ispirano a livello di carattere, per la loro grinta ed emotività. Nel panorama italiano ce ne sono ben pochi, ma sicuramente uno di questi è Achille Lauro, soprattutto per come si è evoluto il suo personaggio. Preferisco la musica d’oltre oceano, perché non mi concentro molto sulle parole in quanto mi rilassa più la musicalità della voce e le tonalità. In America un artista che ammiro molto è 6ix9ine, come personaggio ma soprattutto come musicalità.
Immagina un futuro possibile e felice. Con quale artista ti piacerebbe fare una collaborazione?
Al momento in Italia la musica non mi esalta più di tanto. Ne stimo davvero pochi (come Sfera). Ma con chi collaborerei a livello musicale e per tutto quello che ha creato è sicuramente Noyz Narcos. È rimasto crudo, ed è anche grazie a lui se ho scoperto questo modo di scrivere. Lui è “cattivo” nei confronti del mondo e mi ha dato molta forza con i suoi testi e la sua musica. Poi è un tatuatore, come mio padre, e fa i graffiti, come me. È molto legato al mondo street. È sempre rimasto così, lo è tuttora. Per me è uno dei pilastri del mondo hip hop.
Grazie!
Abbiamo aggiunto Simian nella nostra playlist Spotify dedicata agli artisti emergenti. Guerra, il nuovo singolo di Simian, è invece disponibile su Youtube.
“We Were Grunge” non è solo un romanzo di formazione: si tratta di un dialogo immaginario con le icone rock degli anni Novanta. Non a caso la trama è suddivisa in quattro parti, dedicate a Chris Cornell, Kurt Cobain, Layne Staley e Eddie Vedder. La vicenda vede come protagonista un uomo che decide di intraprendere un percorso solitario tra i boschi dell’Appennino Tosco-Emiliano. L’esperienza di un cammino faticoso dal punto di vista sia fisico che spirituale lo aiuta nella stesura di un romanzo che gli girovagava per la testa da un po’. Un romanzo che si pone come punto d’incontro con il presente e il passato grunge pieno di luci e ombre.
“We Were Grunge” è il nuovo romanzo diAlessandro Bruni. Noi di Indielife l’abbiamo intervistato per curiosare in questa storia affascinante.
Questo romanzo è un intreccio fra le storie di vari protagonisti: quattro stelle del panorama grunge e un uomo che decide di scrivere un’ opera a cui probabilmente meditava da tempo. Così intraprende un cammino impegnativo, dal punto di vista fisico e mentale. Da dove deriva la scelta di impostare la storia come un racconto itinerante?
La scelta di intraprendere un cammino implica uno spostamento e spostarsi comporta sempre un cambiamento del punto di vista, una rottura. Un moto itinerante trasforma continuamente la percezione delle cose. Stiamo parlando della scoperta dell’acqua calda, ma sono proprio queste cose semplici a consentire un accesso al complesso involucro che racchiude l’essenzialità delle emozioni e dei ricordi. Per tornare a parlare del grunge, di un passato prossimo che sembra allontanarsi, il mio alter ego narrativo aveva bisogno di creare una rottura col suo presente e cimentarsi in un percorso diversamente faticoso, di fuga dalle strutture quotidiane esistenziali e urbane che lo circondano.
Come recita il sottotitolo, si tratta di un cammino non del tutto solitario. Infatti ci sono delle presenze costanti che scandiscono il ritmo della narrazione. È stato difficile immaginare Eddie Vedder come interlocutore?
Si tratta di un cammino alla ricerca di fantasmi. Eddie Vedder è una guida, una guida apparente. Interloquire con lui è stato inevitabile in quanto lui vivo rispetto agli altri; poi c’è questa sua presenza attuale pacificata, quasi da fratello maggiore, molto diversa dall’espressione rabbiosa e sofferente degli esordi. All’inizio della storia è come se il mio protagonista lo guardasse dal basso, come un bambino. Durerà poco, quello che mi interessava era ritrovare il Vedder rabbioso e litigarci anche.
Di certo è stato altrettanto suggestivo immaginare di incontrare gli altri musicisti che, appunto, possiamo solo immaginare. Com’è andata?
È stato complicato. La storia è divisa in quattro parti, una per Chris Cornell, una per Cobain, Layne Staley e infine Vedder. Ogni parte ha una sua anima peculiare. Dovevo affrontare personalità molto diverse e restare sincero. Nel caso di Kurt Cobain ad esempio il cammino si interrompe per una permanenza solitaria in una casa in mezzo al bosco. Si è trattato della parte forse più difficile da scrivere, più cerebrale. Può sembrare assurdo ma Cobain, l’icona principale del grunge, resta per me il più inafferrabile.
Alessandro Bruni, autore di “We Were Grunge”
Com’ è andato invece il processo di ricerca degli aneddoti degli artisti? Raccontare la loro storia integrando il percorso del protagonista richiede di certo molta riflessione.
Ho deciso di scrivere la storia dopo la morte di Chris Cornell. Ho letto alcuni saggi, biografie, interviste, poi mi sono reso che non funzionava ed era inutile continuare a leggere. Non volevo scrivere né la storia del grunge né la sua elegia, volevo solo ritrovare un passaggio di emozioni. Certo gli aneddoti possono servire come appigli narrativi, ma quello che contava era recuperare un certo spirito.
Il romanzo è caratterizzato da un dualismo tra resistere o soccombere: c’è una tecnica precisa per mantenere l’equilibrio narrativo tra l’attitudine di chi resiste e quella di chi in qualche modo soccombe, magari prima del tempo?
A volte sia nel vivere che nel raccontare la linea che separa la soccombenza e la resistenza è minima. Resistere comporta sempre una fatica, uno sforzo, mettere giù i piedi dal letto e alzarsi, scrivere la parola successiva, riprendere a camminare. Dopo la parte del romanzo dedicata a Cobain, il cammino riprende. Riprende con la convinzione di resistere pur senza certezze e la consapevolezza che chi soccombe non va condannato o dimenticato, va abbracciato anche se ci ha apparentemente abbandonato.
“Il rock ‘n’roll è una cosa difficile e semplice allo stesso tempo”, può spiegare questa affermazione?
Mi volevo riferire alla creatività e al desiderio di affermazione e originalità cui ambiscono i musicisti e più in generale gli artisti. Prendiamo ancora il caso di Cobain e dei Nirvana, i singoli ingredienti di molte loro canzoni possono sembrare poco rilevanti o in alcuni casi tecnicamente discutibili. In realtà l’insieme compositivo che Cobain riuscì a creare era espressivamente devastante. Quando penso alla musica dei Nirvana accade un corto circuito strano: penso al punk e ai Beatles insieme.
Nel titolo “We Were Grunge” il tempo verbale rimanda al passato, a qualcosa che ha avuto successo, ma che appunto, è già successo. Stiamo parlando del grunge. Allora per concludere, il grunge è eterno?
Il grunge è finito. È stato un modo di porsi della musica e del costume dei ragazzi in un certo periodo confinato nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso. La viscerale e originale ricerca di forme espressive è invece ciò che per l’eternità accompagnerà un vero percorso creativo. Il grunge aveva quel dono.
È uscito recentemente ‘Desperate (For Purpose)’ di Cristian Albani, artista emergente romagnolo, dallo stile elegante e sofisticato.
Già dal titolo è chiaro come Albani analizzi edaffronti, in questo brano ed in generale nella sua musica, il tema dell’ansia, le paure ed i propri demoni interiori. In un viaggio interiore che va a scavare nei meandri più profondi della propria anima.
I temi dell’irraggiungibilità e dell’insufficienza sono – infatti – frequenti nell’artista, e sono ripercorsi con la determinazione di volerne superare i limiti. La musica procede di pari passo alle parole, e fornisce la dimensione d’essere delle emozioni trattate.
Perché la musica di Albani è un messaggio di speranza, una forma di empatia e di incoraggiamento per i suoi ascoltatori, una spinta ad esplorare l’interiorità sia dell’artista, sia della persona; nonché una spinta ad esplorare e conoscere se stessi.
Musicalmente parlando, il sound è molto vicino agli ultimi Bon Iver, ad Agnes Obel, a Jack Garratt, ricadendo in generale nel filone indie-folk elettronico, purtroppo ben poco presente in Italia.
La canzone, diversamente dal precedente singolo autoprodotto ‘Archimede’, è in lingua inglese ed è stata co-prodotta e mixata con un proprio team di management e produzione. Il mastering è, invece, a cura di Giovanni Versari dello studio “La Maestà” (Muse, Fabi e Battiato…)
Cristian Albani nasce nel 1996 a Cesena ma vive e studia pianoforte e canto nella vicina Cesenatico. Nel corso degli anni approfondisce anche lo studio della lingua anglosassone, trasferendosi per ben due anni a Londra e frequentando il BIMM Institute. Attualmente studia musica applicata presso il Conservatorio di Bologna.
Con il suo team sta già lavorando a nuova musica e ad una prossima ripresa dell’attività live, fermata dalla recente pandemia di Covid-19.
Genio e sregolatezza: la pazza vita delle rockstar – parte II
Genio e sregolatezza… quante volte abbiamo sentito questo detto? Se hai letto la prima parte degli articoli dedicati alla pazza vita delle rockstar, avrai sicuramente viaggiato alla scoperta dell’eclettismo di Freddie Mercury, della follia pura di Phil Spector. Anche tu probabilmente sarai stato stregato dal fascino ammaliante di Syd Barrett e ascoltato, come rapito, la voce della bellissima Nico, tanto bella purtroppo quanto bugiarda.
Come loro, tantissime rockstar e popstar, prima di salire nell’olimpo delle stelle hanno vissuto la loro vita tra eccessi e follia, alternando al contempo a momenti di lucidità. A ben pensarci, una vita di genio e sregolatezza appare quasi come una condizione necessaria per poter realizzare opere musicali fuori dal comune. In questa seconda parte, esplorerò, se possibile, personalità ancora più folli rispetto a quelle che ho già presentato. Nell’ordine parlerò di Giovanni Lindo Ferretti (storico leader dei CCCP), Jim Morrison, e infine di Kurt Cobain.
Giovanni Lindo Ferretti – l’operatore psichiatrico
Giovanni Lindo Ferretti – indielife.it
Chi ha detto che il matto deve essere solo quello che da curare? Lo sa bene Giovanni Lindo Ferretti, leader del gruppo punk CCCP – Fedeli alla linea, che in gioventù ha lavorato per ben 5 anni in un ospedale psichiatrico. Giovanni era finito a lavorare in psichiatria un po’ per caso e quasi per gioco. Nel 1977, incontrò durante un autostop il dottor Polletta, responsabile del servizio materno – infantile dell’USL di Reggio Emilia.
Durante questo viaggio, Giovanni Lindo Ferretti sente per la prima volta parlare di psichiatria. In particolare il dottor Polletta gli parla di un ragazzo Dario. Un caso difficile dice, perché è entrato in manicomio a soli 4 anni ed è uscito a 16 anni. Ora doveva essere ricoverato in modo coatto.
Da cosa nasce cosa. Così Giovanni accetta la sfida del suo insolito accompagnatore. Nel 1981, il superamento ufficiale del manicomio lo porta ad abbandonare il posto di lavoro e a trasferirsi per un periodo a Berlino. Berlino in quegli anni era una grande fucina musicale che ha dato vita a tanti gruppi e album cult. Come per uno strano scherzo del destino, Giovanni Lindo Ferretti incontra Massimo Zamboni, un suo compaesano che all’epoca conosceva solo di vista. Da questo fortunato incontro nascono i CCCP, che vengono considerati uno dei primi gruppi punk sulla scena italiana.
L’esperienza in Lotta continua e il primo album
Giovanni Lindo Ferretti è anche un attivista convinto di Lotta Continua, il leggendario movimento studentesco di orientamento comunista attivo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni ‘70. Il suo essere rivoluzionario, unito al suo aver lavorato per così tanto tempo in mezzo ai “matti”, lo ha portato a scrivere delle canzoni dal mix insolito. Uno degli esempi più magistrali è il brano iconico “Emilia Paranoica” il cui titolo è tutto un programma. Questa canzone assieme ad altri capolavori come “Curami” e “Valium Tavor Serenase” sono contenute nel primo album “1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età”, abbreviato in Affinità e divergenze e pubblicato nel 1986. L’album sarà un vero e proprio caposaldo e ispirerà altre band come Modena City Ramblers e i Subsonica.
I CCCP, si sciolgono nel 1990, proprio quando il comunismo si stava disintegrando. Dalle loro ceneri nascono i CSI (consorzio suonatori indipendenti). In questo nuovo gruppo ritroviamo oltre ai pilastri Ferretti e Zamboni (il nucleo emiliano), anche Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli allora fuoriusciti dai Litfiba e con i quali avevano già collaborato in alcuni precedenti lavori (il cosiddetto nucleo toscano). Il punto di forza dei CSI era quello di essere totalmente indipendenti nella produzione musicale, avendo messo in piedi una loro casa discografica. Nel 2002, alcuni componenti dei CSI confluiscono a loro volta nei P.G.R. (per grazia ricevuta).
Ora ritorniamo a Giovanni Lindo Ferretti. Esperienze di genio e sregolatezza come la sua, hanno dimostrato che niente di quello che abbiamo vissuto va dimenticato. Possiamo dire infatti, che il suo essere stato un rivoluzionario, unito al suo amore per la musica e ai suoi cinque anni passati a lavorare in un ospedale psichiatrico lo hanno portato a esplorare il mondo della follia in un modo tutto nuovo.
Genio e sregolatezza: Jim Morrison – il poeta maledetto
Ora parliamo di una rockstar le cui follie non hanno davvero bisogno di presentazioni. Parliamo di Jim Morrison, mitico leader carismatico del gruppo “The Doors” e simbolo della ribellione giovanile degli anni ‘60. Una vita, la sua, vissuta dal primo all’ultimo giorno tra genio e sregolatezza.
L’infanzia di Jim è stata, fin da subito, molto movimentata. A causa del lavoro del padre, Jim Morrison ha trascorso la sua infanzia viaggiando tra l’Australia (paese dove è nato) e gli Stati Uniti. Per il giovane Jim, fu dunque difficile farsi delle amicizie stabili. Era però un ragazzo molto sveglio e intelligente e durante il suo percorso scolastico si distinse per la sua bravura e la fame di libri, che lo portarono a ricevere una menzione d’onore.
A prima vista sembra il ritratto di un ragazzo modello, ma non è tutto oro ciò che luccica. Nei primi anni ‘60, divenne insofferente alle regole, il che lo portò ad avere diversi problemi con la legge. In quel periodo inizia anche a frequentare i café Beatnik, che a quel tempo erano il ritrovo di artisti e poeti appartenenti alla Beat Generation. Il nome Beatnik deriva appunto da Beat e Sputnik il cui termine facilmente ci rimanda ad idee di sinistra.
In questo tipo di ritrovi, oltre a scambiarsi idee di arte, politica, cultura ecc. si esploravano anche altre sfere come quella sessuale, che veniva vista come un modo per purificarsi. Neanche a dirlo, era facile assumere in questi ambienti ogni tipologia di droghe.
Nel 1964, Jim entra in contrasto con il padre. Ha infatti pensato per il figlio la carriera militare, mentre Jim ha deciso di intraprendere gli studi universitari al corso di cinematografia alla UCLA. Alla fine di quell’anno romperà dunque i rapporti con i genitori, dichiarando addirittura che sono morti.
La nascita dei Doors nel 1965
the doors – indielife.it
Durante i suoi studi universitari, Jim Morrison conoscerà quelli che di lì a poco diventeranno i Doors. Ciascuno dei membri come Morrison era caratterizzato da un modo di suonare eccentrico e fuori dal comune. Ray Manzarek aveva un modo tutto suo di scrivere le liriche, John Densmore era nella scena rock psichedelica già da tempo e Robby Krieger era solito suonare con il collo di vetro di una bottiglia in puro stile flamenco.
I presupposti per una band altrettanto folle c’erano tutti. Il nome “the Doors” venne scelto da Jim Morrison in riferimento ad una frase famosa di William Blake: “Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo com’é: infinita”. Ritorna dunque il concetto di catarsi pienamente sperimentato nei locali Beatnik.
Il primo flop e il successo con La casa discografica Elektra Records
Nonostante un inizio non brillante, dove la Columbia propose loro un contratto a termine, il successo non tardò ad arrivare quando agli inizi del 1967 i Doors firmarono con la Elektra Records. L’album “The Doors” fu subito record di vendite e riuscì ad eguagliare l’album “Sgt Pepper’s lonely club hearts band” dei Beatles. Le esibizioni di Morrison divennero famose ovunque. Sul palco infatti, si muoveva con estrema sensualità. Le movenze sinuose unite a vestiti rigorosamente di pelle ricordavano le mosse del serpente. Il tono, da garbato e cordiale, improvvisamente diventava roco e duro, quasi animalesco. Venne quindi soprannominato “il re lucertola”.
L’ascesa della carriera dei Doors fu tanto fulminea quanto lo fu la loro caduta. L’abuso sempre maggiore di droghe, alterò lo stato psicologico di Morrison che presto divenne incapace di sostenere dei tour sempre più stressanti. Già nel 1969, arrivò il primo flop e il tour del 1970 fu estremamente altalenante in quanto sempre più di frequente Morrison non era nemmeno presente sul palco.
Gli ultimi mesi a Parigi e la morte
Nel febbraio del 1971, Jim Morrison si trasferì assieme alla sua compagna di una vita Pamela, a Parigi. Le sue condizioni di salute sempre più disastrose a causa dell’abuso di alcool, fumo e droghe, lo portarono ad avere asma e altri problemi respiratori. Questo periodo fu particolarmente introspettivo per lui, tanto che passò gran parte del tempo a scrivere poesie immerso nel clima bohemien francese. Il 3 luglio accade la tragedia. Jim Morrison viene ritrovato morto nella vasca da bagno nell’appartamento di Parigi. Molti aspetti riguardo la sua morte, rimangono tuttora un mistero. Agli occhi di tutti noi però, Jim Morrison rimarrà sempre il bel ragazzo dallo sguardo limpido e l’anima che graffia.
Genio e sregolatezza: Kurt Cobain – il ragazzo che voleva solo essere felice
Kurt Cobain nel 1991
Parliamo di un’altra rockstar che come Syd Barrett e Jim Morrison, brillò nel firmamento della musica rock solo per pochissime stagioni. Si tratta di Kurt Cobain, mitico frontman dei Nirvana che grazie all’album Nevermind, riuscì a battere ogni record.
L’infanzia di Kurt, potrebbe essere in apparenza simile a quella di molte altre. I genitori, persone comuni sotto ogni punto di vista, si erano sposati troppo giovani e divorziano quando il figlio ha solo otto anni. In questo periodo iniziano i primi piccoli problemi. Kurt Cobain è un ragazzino biondo un po’ grassoccio e allo stesso tempo complessato. Nessuno almeno all’epoca, avrebbe mai potuto pensare che un giorno sarebbe diventato un divo del rock. Ha però una grande passione che è quella del disegno. La svolta arriva quando suo zio Chuck gli regala una Lindell che lo accompagnerà per tutta l’adolescenza.
Kurt comincia a studiare con passione la chitarra e, almeno in questo periodo, sembra che tutto possa andare bene (o quasi). Il divorzio dei genitori è un dolore che lo condizionerà per tutta la vita, tanto da avere paura a stare insieme agli altri. Questo suo essere asociale porta il nome di ansia sociale e sarà la molla che lo porterà verso la fase esistenzialista della sua vita.
La prima chitarra e l’adolescenza
La musica che più lo influenza durante la sua crescita come musicista, è la musica punk che proprio a metà anni ‘70 si stava diffondendo a gran velocità. Kurt Cobain tuttavia, era diverso dai punk che si vedevano in giro. Non indossava voluminose giacche di pelle, né tanto meno si era sognato di pettinare i suoi capelli con tamarre creste piene di gel.
Nonostante tutto, rimaneva il solito Kurt che amava la musica punk, ma al contempo ascoltava i Beatles, gli Aerosmith e tanti altri gruppi considerati all’epoca già “fuori moda”. Nasce in questo modo, un bizzarro connubio che potremmo definire come punk-esistenzialista e che confluirà in quello che sarà il movimento grunge. Nel 1987 si formano ufficialmente i Nirvana. Il nome non è un caso. Richiama in un certo senso, tutto quello che voleva Kurt. Liberarsi dal dolore e dalla sofferenza.
L’ancora di salvezza, Kurt la trova (almeno così sembra) in Courtney Love che incontra per la prima volta nel 1990. Più che una love story da romanzi rosa, sembra più una copia di quello che furono Sid&Nancy negli anni ‘70. Courtney era già notoriamente famosa per essere una ragazza tutta pepe. Insieme fecero un uso smodato di droga e il successo che arrivò troppo velocemente, lo rese incapace di gestirlo. Questo lo portò verso una lenta e graduale autodistruzione. Quando la coppia si sposò nel 1992, il fotografo vide una Courtney Love incinta e ciononostante strafatta di qualsiasi cosa.
L’ultimo anno di vita e la nascita della figlia
Kurt Cobain, nel 1993, è già un uomo stanco, dallo sguardo oscuro e spiritato che non trova felicità in ciò che ha, nonostante gli sia nata una figlia. Nel 1994, registra la sua ultima esibizione all’MTV unplugged. L’atmosfera dello show appare quanto mai spettrale. Troviamo ovunque sul palco i crisantemi bianchi, che come tutti sanno sono i fiori dei funerali, quasi come se sapesse che di lì a poco avrebbe lasciato questo mondo.
La morte di Kurt Cobain come quella di Jim Morrison rimane tuttora un mistero. entrambi vengono ritrovati morti uccisi da sostanze stupefacenti ed in entrambi i casi si hanno dei dubbi se si tratti di omicidio o di un suicidio. Infine, entrambi sono entrati di diritto nel club dei 27 assieme a stelle come Brian Jones, Janis Joplin e Jimi Hendrix.
Genio e sregolatezza: follia e creatività
Cos’è in fondo la creatività se non quella capacità di pensare fuori dagli schemi? La follia come l’arte in fondo ci permettono di osservare il mondo con occhi diversi. Comunque sia andata la vita di questi artisti ribelli, ci hanno insegnato che con un pizzico di follia e un po’ di immaginazione possiamo creare qualcosa di speciale nel mondo.
Fonte: storie di ordinaria follia rock di Massimo Padalino, edito da Giunti Editore spa, ed. Febbraio 2019
Questa pandemia ci ha reso orfani della musica dal vivo, chiusi in casa abbiamo ascoltato e riascoltato interi album e playlist fino alla noia, speranzosi di rivivere al più presto quelle stesse emozioni live. L’estate sta per ricominciare, i cantanti e le case discografiche hanno fatto sentire la loro voce con “La Musica che gira”, un documento programmatico proposto dai lavoratori del mondo dello spettacolo per far luce sulle grandi difficoltà che stanno vivendo a causa delle misure restrittive legate alla covid-19 e allegato dalle proposte concrete per tutelare questa industria molto a rischio.
“Siamo la musica che gira, nelle vostre cuffie e sui palchi. Siamo un motoreche deve continua a girare. Siamo la musica che ha deciso di voltare pagina”
Senza musica non si può stare
#Senzamusica è l’hashtag lanciato dagli artisti indie e non sui social, per ricordare che senza musica non si può stare e che anche i concerti sono parte dell’esperienza transmediale di noi ascoltatori.
Artisti come Willie Peyote, Vasco Brondi, Lodo Guenzi dello Stato Sociale, Premiata Forneria Marconi, Negrita, Frankie Hi-Nrg, Claudio Coccoluto e tantissimi altri hanno postato sui loro profili social e l’icona del volume disattivato, nerasu uno sfondo arancione, che l’hashtag #senzamusica per lanciare questo appello al Governo Italiano:
“Sono state depositate alla Camera le proposte di emendamento necessarie a far sì che il Dl Rilancio non sia di nuovo una legge discriminatoria per il settore musicale, ma una reale occasione di ripartenza alle giuste condizioni. Chiediamo con forza al governo che queste istanze vengano ritenute prioritarie. No a un DL #senzamusica!”
Lingua dello spirito
Ci auguriamo che le istituzioni intervengano per tutelare i lavoratori e presto tornar in sicurezza a godere dei concerti live dei nostri artisti indie preferiti.
“La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta.” Khalil Gibran
La musica è la nostra compagna di vita: secondo il Music Consumer Insight report 2019, ascoltiamo brani musicali per ben 18 ore a settimana! Il mondo della musica è pieno di aneddoti curiosi, sconosciuti ai più ed è proprio per questo che oggi ripercorriamo insieme 10 curiosità musicali che (forse) non conoscevi!
Un brano da record
È il 1973 quando i Deep Purple pubblicano uno dei brani più famosi al mondo destinato a sancire la storia del rock: Smoke on the water. Con un’intro particolare e riconoscibile, diventata ben presto inno dei rockers, i Deep Purple entrano anche nel Guinness dei primati: 1680 chitarristi riunti per fare la storia suonano simultaneamente l’intro del brano, battendo il record della canzone suonata simultaneamente da più persone e surclassando We will rock you!
Occhiali storici
Roma nel cuore, nel cuore di Roma. Per la prossima curiosità siamo in Italia, nella magica capitale raccontata (fin dal ’72) attraverso gli occhi e le parole di Antonello Venditti. Avete mai visto Venditti senza occhiali? La risposta è probabilmente No e chiunque, nel pensare al suo viso, lo visualizzerebbe con le sue classiche RayBan Aviator. Perché? Semplicemente perché il cantautore porta lo stesso tipo di montatura da ben 40 anni!
Oh, mama mia, mama mia…
Così cantavano Freddie Mercury e i Queen nella loro Bohemian Rhapsody: un titolo, mille record. Film più visto della storia, primo videoclip ad essere stato trasmesso sulla rete televisiva e primo video (precedente agli anni ’90) a raggiungere il miliardo di visualizzazioni su Youtube! Insomma, i Queen continuano ad essere una garanzia!
I Don’t Want to Miss a Thing
Scritto da Diane Warren e registrato dagli Aerosmith, negli anni il brano ha conquistato numerosi successi: tra i tanti, la candidatura agli Oscar del 1999 come miglior canzone e un ottimo piazzamento nella classifica Billboard Hot 100 debuttando al primo posto e tenendoselo stretto per ben 4 settimane. In pochi però sanno che la canzone fu originariamente scritta per essere cantata da Celine Dion. Di sicuro in Armageddon avrebbe avuto un impatto molto diverso…
Musica nello spazio
Per restare in tema viaggi spaziali, la prossima delle 10 curiosità musicali che (forse) non sapevi riguarda proprio lo spazio. Il 16 dicembre 1965 i due astronauti dell’ Apollo 13, Schirra Jr. e Thomas P. Stafford, decisero di fare uno scherzo al centro di controllo. In orbita spaziale finsero un avvistamento UFO e dopo poco iniziarono a cantare- accompagnati da un filo con dei campanelli- Jingle Bells, che divenne la prima canzone ad essere stata cantata nello spazio!
Quella canzone nella testa
A tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di avere una canzone nella testa e non riuscire a mandarla via neanche ascoltandola più e più volte! La soluzione al problema arriva direttamente da Londra e più precisamente da un gruppo di studiosi guidato dal Prof. Kelly Jakubowski: masticare una gomma aiuterebbe a togliersi una canzone dalla testa! Chewing-gum alla mano e…non vi resta che testare!
Dale a tu cuerpo alegría Macarena!
Ammettiamolo, nessuno conosce davvero il testo della Macarena. Di certo conoscere le parole non è utile quanto conoscere i passi per ballarla e forse è proprio per questo che nessuno si è mai domandato di cosa, effettivamente, parli la canzone. In realtà il testo racconta di una donna (di nome Macarena, naturalmente) impegnata a divertirsi con alcuni amici mentre il suo ragazzo è via con l’esercito!
La telefonata tra Gaga e Beyonce
10 curiosità musicali che (forse) non conoscevi, non poteva tralasciare l’iconico singolo di due altrettanto iconiche artiste: Telephone -uscita nel 2010 e contenuta nell’album The Fame Monster- avrebbe potuto non vedere mai la luce. Il pezzo, infatti, fu inizialmente scritto per Britney Spears e il suo album Circus. Tuttavia la cantante lo scartò e Gaga decise di cucirgli una nuova veste… iconica!
Michael Jackson e l’orecchio musicale
Anche il Re del pop nasconde una curiosità che in molti non conoscono: non sapeva leggere gli spartiti! Molti tra i musicisti che ebbero la fortuna di collaborare con Michael Jackson raccontano di come, quando avesse in mente una nuova canzone, la componesse suonando gli strumenti a orecchio. In studio di registrazione, il Re era solito cantare le note ai musicisti che successivamente le riproducevano con gli strumenti.
No Woman Nuh Cry
Ultimo, ma non per importanza è il grande Bob Marley con la sua No Woman Nuh Cry. Esattamente, cari uomini all’ascolto! Il brano scritto da Marley non è esattamente una canzone di conforto per gli uomini senza una donna, bensì il contrario! Il titolo, infatti, si traduce con No, donna, non piangere.
“Abbiamo perso le parole, le abbiamo ritrovate dopo un sorso di liquore”. Questo è l’inizio del nuovo singolo di Samuele Cara dal titolo “Vertigini”. Una ballata romantica e dalle note soft che trasmette il desiderio di superare la paura delle vertigini appunto, quelle sensazioni che in una storia d’amore si possono incontrare, per approfondire, guardarci dentro e comprendere le potenzialità nascoste. Ci posti questa domanda, com’è ritrovare le parole in un bicchiere di liquore? L’abbiamo chiesto proprio a Samuele.
Hai iniziato ad appassionarti alla musica a 13 anni. Da cosa nasce questo interesse?
Quando avevo 13/14 anni, avevo iniziato a fare la cover di Rino Gaetano perché sono un suo grande fan. Ho provato ad imitarlo e da lì è iniziato il mio amore per la musica. Sono stato anche al Verano a vederlo e ho avuto il piacere di suonare con la sorella, Anna Gaetano.
Ho trovato il testo molto profondo e intenso, tipico della canzone d’autore. Ci sono degli artisti da cui prendi spunto prima di buttar giù un testo?
Normalmente ascoltiamo sempre troppa musica e involontariamente lo spunto lo prendiamo ovunque. Questo brano non l’ho scritto tutto io, ma mi hanno aiutato anche Eros Pancrazi e Molla.
Ad un certo punto della canzone canti: “E soffro ancora di vertigini se guardo fuori dalla finestra, però sei tu quella che mi fa girar la testa”. E’ proprio qui che ascoltiamo per la prima volta la parola vertigini, nonché titolo del tuo nuovo singolo. Che cosa intendi per vertigini? Cosa sono per te in questo caso?
Non voglio dare un senso e un’interpretazione al brano, preferisco solitamente che la persona che ascolta ne dia uno proprio, altrimenti svanisce quella fantasia che fa bene alla canzone.
E’ una ballata molto romantica che trasmette la voglia e la determinazione di andare oltre, oltre qualsiasi tipo di problema che nella vita possiamo affrontare e incontrare, ma soprattutto quei problemi in cui le coppie possono imbattersi. Ad un certo punto, infatti, dici proprio: “Se l’amore ci frega, ci scombussola i piani, se c’è un muro davanti, se saremo distanti, tu grida ancora più forte”. L’ispirazione per questo brano da dove deriva?
E’ un brano che ha basi molto vecchie, di quasi un annetto. Il testo inizialmente era molto diverso e aveva anche un altro titolo, volevo scrivere un brano un po’ più sociale. Successivamente grazie ad Eros, che aveva anche lui un’idea di testo, lo abbiamo iniziato a cambiare. E’ un singolo che è nato in vari step, non in un momento esatto. Ci sono all’interno vari momenti e varie emozioni di giornate diverse. Un periodo preciso non ce l’ha e né tanto meno una storia.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto registrando un EP di 5 pezzi che farò uscire entro gennaio. Con la ripresa dei live ricomincerò anche con qualche concertino.
Lasciamoci con un augurio!
Mi auguro che la prossima intervista me la farai in una situazione più importante, dove gli stream saranno maggiori (sorride). A tutti faccio l’augurio di stare bene.
Interno 29è l’album d’esordio di LefrasiincompiutediElena
Con Interno 29 il progetto romano LefrasiincompiutediElena si lancia nel mercato discografico, e lo fa pubblicando un’opera prima incentrata sulla malinconia e dedicata alla Capitale. La classica forma voce-chitarra-basso-batteria è ampliata da un uso misurato quanto efficace dei sintetizzatori; il risultato è un disco nostalgico e pervaso da un’atmosfera malinconica che fa da sfondo alle storie di addii e amori finiti tra le vie e gli angoli di Roma. Dopo l’inizio col singolo Ciglia, il disco procede con una sequenza di canzoni tristi, ma mai deprimenti: Incenso (uno dei testi miglori dell’album), Fiori e camomillae Libiasono tre esempi perfetti di questa formula che, nell’economia del disco, si rivela vincente.
Roma: tra appartamenti e luoghi speciali
Interno 29 è un lavoro che, coerentemente con le tematiche classiche dell’indie italiano, approfondisce molto le sensazioni provocate da sentimenti che oscillano tra la felicità e il dolore e rispecchia quindi le emozioni dell’io narrante. Lo scenario delle vicende di questi personaggi normali (e unici) è Roma. Le vicende si svolgono tra un appartamento, indicato all’ingresso come Citofono Lavagna, interno 29, e gli anfratti della città dei sette Colli, che diventa materna e matrigna: alcuni dei luoghi citati (la stazione Termini, le panchine di Villa Torlonia) rispecchiano le sensazioni dell’autore, velandosi di pioggia e solitudine, altri invece osservano indifferenti il trascorrere della vita e dei turbamenti cantati nel disco; è il caso del Policlinico e della Sapienza. L’album diventa quindi un viaggio emotivo e al contempo urbano che porta l’ascoltatore, per 10 tracce, lungo un itinerario di sensazioni e anfratti cittadini sincero quanto simbolico.
L’introspezione di Interno 29 non deve spaventare. Questo disco è una piccola perla che, anche in un ambiente ricco di proposte come quello della musica indipendente, può lasciare un segno nel pubblico, facendogli scoprire LefrasiincompiutediElena e ri-scoprire una città meravigliosa come la capitale d’Italia.